ALCUNE NOTE PERSONALI DI UN EMIGRATO SARDO SUL FILM "BELLAS MARIPOSAS" VISTO IN UN CINEMA A MILANO


di Paolo Pulina

“Bellas Mariposas” –  Trama

Tratto dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni. Cate, undicenne aspirante rockstar, viene svegliata dalle grida di una stravagante condomina. Nella sovraffollata cameretta la ragazzina stenta a riprendere sonno. In un viavai senza fine fanno il loro ingresso i numerosi e problematici fratelli. Cate sopporta aspettando il giorno in cui diventerà una cantante famosa. Vorrebbe scappare subito da quella casa e dal padre tiranno che le impedisce persino di cantare. L’odio per suo padre è esteso a tutti gli uomini. L’unico a meritare la considerazione di Cate è Gigi, suo innamorato, troppo timido per mancarle di rispetto. Cate vuole rimanere vergine per non finire come sua sorella Mandarina, rimasta incinta a tredici anni o come Samantha, ragazza desiderio ed oggetto del quartiere. Ma oggi 3 agosto la vita di Gigi è in pericolo: Tonio, fratello di Cate, lo vuole uccidere. La mattina stessa Cate corre ad avvisare Luna, la sua migliore amica con cui condivide sogni e paure. Le due trascorrono il giorno più lungo della loro vita tra la città e il mare. Solo sott’acqua Cate riesce a dimenticarsi i problemi, la sua famiglia e il suo quartiere. Ma la realtà torna a galla e Cate deve correre a casa per proteggere Gigi. Quando ormai tutto sembra perduto, durante la notte compare dal nulla una bellissima donna: la coga Aleni, una strega che legge la sorte degli abitanti del quartiere. Solo grazie a questa magica presenza Gigi verrà salvato e Cate inizierà una nuova vita insieme a Luna, amica riscoperta sorella.

“Bella Mariposas ” visto in un cinema di Milano

Milano, mercoledì 15 maggio, ore 13,00, prima proiezione presso Apollo SpazioCinema di “Bellas Mariposas” di Salvatore Mereu tratto dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni (1952-1995).   Siamo una quarantina di spettatori. Davanti a me due anziani coniugi indubitabilmente sardi (lui, appena prima che cominci lo spettacolo, dice alla moglie: “càgliadi!”-“taci!”). Quando poi, nello sviluppo della fiction cinematografica voluto da Mereu, la madre della  ragazzina Cate (e di tanti altri figli)  spegne il televisore commentando  «ma questi qui parlano solo di Nuoro !” (nel racconto di Atzeni in realtà viene citato «il telegiornale di Tele Campiranis») quel CÀGLIADI mi fa venire in mente un gioco di parole da applicare al senso civile/sociale/psicosessuale/linguistico/culturale di questo film: Mereu intende comunicarci che CÀGLIARI vuol proprio dire al resto della Sardegna: CÀGLIADI! (TACI!). Sono io la capitale morale (anche in campo sessuale) nonché linguistica dell’isola, sono io la modernità, sono io il cuore metropolitano che pulsa all’unisono con le altre capitali “nazionali” del mondo: Kasteddu come castello di ambientazione di ogni possibile complicata storia  denotativa dei costumi di oggi, in particolare dei quartieri periferici.  Chi, dopo aver visto il film di Salvatore Mereu, ritorna sulle pagine del racconto di Sergio Atzeni che lo ha  ispirato (come si sa, è uscito postumo presso Sellerio nel 1996), non può non notare che  la cruda, dura realtà familiare-sociale descritta dal narratore non poteva e ancora oggi non può  assestare dei veri pugni  allo stomaco come riesce a fare  invece la trasposizione cinematografica. Registro una reazione “scandalizzata” durante la proiezione milanese: i due anziani spettatori  di cui ho detto saltano su dalle  poltrone  e guadagnano velocemente l’uscita prima che finisca la scena della ragazza  Luna che «ha preso  in bocca la minghilledda del motociclista [nel film; nel libro «uno di quaranta  incontrato al Bar Europa»] e ha morsicato forte» (così Atzeni, pagina 94). Insomma, è come se – di fronte a quelle scostanti, disturbanti  immagini – avessero implicitamente voluto dire, alla maniera moralistica (ma improntata al “comune senso del pudore”) dell’autista dell’autobus del racconto e del film:  «Bella barra po essi pippias». Diceva lo scrittore-poeta-regista Pier Paolo Pasolini (di cui non è superfluo ricordare, in questa circostanza, la conoscenza delle periferie romane) : «Il cinema non evoca la realtà come la poesia, non copia la realtà come la pittura, non mima la realtà come il teatro, il cinema riproduce la realtà di immagine e suoni, è semiologia naturale della realtà, è lingua scritta della realtà». I colpi che possono derivare  al lettore da pagine “evocatrici” della realtà sono molto meno forti  di quelli che riescono a suscitare nello spettatore  immagini che rappresentano “la lingua scritta della realtà”. La bravura di Mereu è stata proprio quella di trarre, dalle righe sincopate del racconto di Atzeni (nessuna punteggiatura, tranne i punti interrogativi ed esclamativi; nessuna maiuscola ad inizio riga dei frammenti del soliloquio di  Cate; insomma uno sperimentalismo espressivo da avanguardia letteraria che ricorda quello del “Gruppo ’63” in Italia ),  lo “sgomitolarsi” di un intreccio di storie nella quotidianità dello spazio della «palazzina 47C di via Gorbaglius quartiere di Santa Lamenera periferia di Kasteddu», in generale elevato a rappresentare tutti i quartieri periferici  che moralisticamente potremmo definire “degradati” e “promiscui” (e anche “pieni di drogati”) di un ambiente  metropolitano che nel nostro caso ha per i suoi abitanti il nome di Kasteddu (Cagliari è la denominazione che usano solo quelli di fuori).

Ha scritto Mereu: « L’errore più grande sarebbe quello di  trattare “Bellas Mariposas” e Sergio Atzeni solo come una faccenda isolana da dibattere tra conterranei. Le “zazies” di Atzeni (che si aggirano nella città di Cagliari come quella di Raymond Queneau faceva a Parigi) potrebbero avere ugualmente vita allo Zen di Palermo, a Scampia, o nelle periferie di Caracas. Sono cittadine del mondo come del resto amava definirsi il loro padre letterario: “…sono sardo, sono italiano, sono europeo…”». A maggior ragione noi emigrati sardi – anche se non siamo cagliaritani – ci teniamo stretti Sergio Atzeni come scrittore “universale” e Mereu come regista il cui valore artistico è stato apprezzato da  giurie di festival  internazionali  perché sono stati capaci  – l’uno con l’opera letteraria, l’altro con le immagini cinematografiche – di far diventare mondo la metropoli di Kasteddu e a far diventare storia materiale e psicologica (ossessionata dal sesso) il dipanarsi della cronaca – materiale e psicologica (ossessionata dal sesso)  –  di una giornata cagliaritana di inizio agosto. Cate e Luna nel giro (e nel “girone” infernale) di un giorno speciale, da “bellas pippias”  diventano “bellas  mariposas”, pronte a volare  come farfalle leggere nel mondo, di cui conoscono le pieghe e le piaghe: gli uomini in generale affetti  da “mandronite”  (fannullaggine)  acuta e da “fissazione”  sessuale, le donne coscienti di doversi sobbarcare in toto la gestione della “baracca” familiare, facendo le pulizie in casa e arrotondando i guadagni con le pulizie fuori casa e con  “servizietti” più redditizi. Riprendendo il titolo dell’opera di Elsa Morante “Il mondo salvato dai ragazzini”, potremmo dire :  Cagliari-mondo salvata dalle ragazzine! Lasciamole quindi libere queste “farfalle”, loro hanno le idee chiare : «a noi nessuno deve chiedere conti». A chi tuttavia volesse chiedere loro conti sono sicuro che – secondo un a noi simpatico  stilema della lingua sarda (che non si ritrova certo né a Scampia né nelle periferie di Palermo, o di Caracas) che ricorre nel parlato del film – in italiano cortesemente questa volta le due ragazzine risponderebbero: “Non disturbateci;  non vedete che stiamo facendo cose?”. Insomma, l’equivalente gentile delle espressioni logudoresi: “Lassade nos  sa conca” (“lasciateci la testa”) e “no nos rumpedas sa matta” (“non rompeteci la pancia”)! Lasciamo dunque che le due “bellas mariposas” facciano “cosas”: saranno sicuramente “bellas”, dato il livello di coscienza da loro raggiunto nell’arco del giorno più lungo (e rivelatore di verità) della loro esistenza.

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3 commenti

  1. Roberta Pilia (Losanna)

    Ma che libro! Talmente “talmente” che il nostro chalet si chiama… Is Mariposas… Ci sono libri così, non vedo l’ora di vedere il film

  2. Simonetta Seu (Portland)

    andate a vedere il film, a me é piaciuto moltissimo, e fortunatamente é più ottimista del libro…

  3. Libro originalissimo di Sergio Atzeni trasposto da Mereu per il cinema con grande maestria e sensibilità. Ottimi gli attori professionisti e non. Da non perdere.

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