LE BONTA' SARDE NEL CUORE DI BUENOS AIRES: "SA GIARA", DAL 2001 NELLA CAPITALE ARGENTINA, IL RISTORANTE DI ANGELA NULCHIS

Angela Nulchis nella foto di Antonio Mannu


di Antonio Mannu – Progetto Migrazioni

Questa pagina, già pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna, nasce dal progetto: “Migrazioni – In viaggio verso i migranti di Sardegna”, un lavoro collettivo di ricerca sulla migrazione sarda. Durante lo sviluppo del progetto sono stati sinora visitati 11 paesi. “Migrazioni” è sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Provincia di Sassari, dalla Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi e dalla Visual E di Sassari. Al progetto è dedicato un sito web: www.deisardinelmondo.it

 

«Sono nata in Sardegna, a Carbonia. Con la famiglia siamo partiti per l’Argentina dopo la guerra, nel 1950. Avevo tre anni, tre sorelle e un fratello. Ci siamo stabiliti a Buenos Aires, dove sono arrivati prima un altro fratello, Luigi, poi mia sorella Giovanna. Abito ancora qui, a Palermo, un cuore di questa città». Nel quartiere “absolutamente especiale” di Jorge Luis Borges, qualche anno fa Angela Nulchis ha aperto un ristorante. Luogo povero e violento quando Borges era adolescente e le strade in terra battuta. Violento e affascinante: “Palermo del coltello e della chitarra” ha scritto il poeta. Oggi è un quartiere alla moda. Angela, al tempo della crisi del 2001, ha pensato bene di reagire, trasformando la casa di famiglia in un accogliente locale. Lo ha chiamato “Sa Giara”, in omaggio alle origini della madre, Eleonora Aracu. In questa impresa è stata aiutata. «L’ultima crisi è stata feroce – racconta Angela –. Dalla Regione Sardegna è arrivato un sostegno, un piccolo contributo che ci ha permesso di cominciare. E’ stata una spinta in un momento di difficoltà, ma più dell’ausilio economico, importante ma tutto sommato di poca entità, è stato di conforto il supporto all’idea. Mi son detta: “Non siamo soli, non ci hanno dimenticati.” Dall’isola è arrivato anche un cuoco, che ha coordinato l’apertura del locale». A Sa Giara si fa cucina sarda. Lo chef è Rodrigo, figlio di Angela. L’aiuta la moglie Lorena, che lavora anche in sala. Angela si occupa della produzione: pasta fresca, dolci eccellenti e il pane. Con lei lavora un’assistente, l’ha aiutata a lungo la sorella Vincenza, mancata di recente. «Mia madre era di Gesturi, la nostra cultura gastronomica è agropastorale. Ho pensato: se vogliamo distinguerci dobbiamo partire da quello che abbiamo sempre fatto in casa, poi si allarga lo sguardo, ma la linea è quella. Facciamo i culurgionis, di patate e di formaggio, i malloredus e le sebadas. Prepariamo la torta di ricotta, gli amaretti, i pabassinos, i bianchini e s’aranzada. Il pane lo facciamo noi, anche una specie di carasau. Lo usiamo per fare una sorta di pane frattau, che serviamo con i ravioli, o lo utilizziamo per accompagnare gli antipasti. Poi carne alla griglia, siamo in Argentina! E su porcheddu, ma solo su richiesta». Per Angela, Baires è una città speciale, l’Argentina un paese meraviglioso e accogliente. Ciclicamente arriva una crisi, a suo parere principalmente per responsabilità di chi governa. Ma poi dalla crisi si esce. «Qui – aggiunge – alle tempeste dell’economia si è fatta l’abitudine. L’ultima volta però è stata grave. Non c’era lavoro, i negozi chiudevano, la gente, spaventata, ritirava il denaro dalle banche. Hanno congelato i conti bancari per un anno, potevi prelevare solo piccole somme. Ma è arrivata la ripresa, perché qui ci sono molte possibilità. E’ un paese grande e ricco, con pochi abitanti. C’è anche tanta povertà, tanti qui non lavorano, non hanno proprio la cultura dell’impegno come la penso io, come mi è stata trasmessa». Per Angela parte del problema è legato al sistema dei sussidi, alle politiche populiste. Dice che è giusto aiutare. «Ma insieme dovrebbe arrivare l’istruzione: uno impara un mestiere, s’impegna a fare qualcosa che non sia solo riciclare immondizia. Durante la crisi è diventato un mezzo di sopravvivenza; oggi i cartoneros (raccoglitori di materiali riciclabili) non sono tanti, ma ci sono e questo non va bene. Così com’è, per me non è un lavoro, non dovrebbero andare in strada, nella sporcizia. Va organizzato diversamente, ma a qualcuno va bene così». Povero e alla mercé del sussidio, debole e quindi ricattabile, sembra pensare Angela. «Ho visto passare tanti governi, ma ad Antonio Nulchis, mio padre, nessuno ha regalato niente. Quello che ha realizzato lo ha fatto con il lavoro. Faceva il “mattoniere” (il muratore). Ci ha cresciuti, educati, ha costruito la casa. Ho visto questo sacrificio. Lo incontravo solo la domenica, perché negli altri giorni usciva presto al mattino e tornava la notte. I genitori – dice Angela – hanno tramandato ai figli la cultura del lavoro, il rispetto per chi si da da fare. Questa per me è una cosa “firme” e molto sarda». Angela racconta che il padre e la madre, pur essendo di luoghi differenti, tra loro parlavano in sardo, varianti diverse, ma si capivano. Lei non lo parla. «Il sardo è una lingua e tutta la mia famiglia in Sardegna lo parla. Si deve insegnare nelle scuole perché la lingua è cultura. Quello che faccio, come lo faccio, viene dalla Sardegna. Sardo è radice, terra, forza, volontà. Siamo forti in questo senso, così mi hanno insegnato». Ricorda quando i sardi d’Argentina si riunivano la domenica. Uomini da una parte, le donne tra loro. Gli uomini cantavano. Uno cantava, sembrava recitasse poesie, gli altri facevano coro. Era piccola e le piaceva. «Adesso mi piace di più. Mi piace quello che fate, raccogliere notizie sui sardi per vedere cosa hanno fatto quando sono andati via. Per voi e per noi è importante sapere». Angela è tornata una prima volta in Sardegna a 23 anni. E’ stata a Gesturi, dalla nonna materna. «E’ stato meraviglioso incontrarla, una vecchietta bellissima, in pace con la vita e il poco che le ha dato. Sono stata sulla Giara, ho visto i cavalli, raccolto i carciofi selvatici e gli asparagi. Sempre ho questa mancanza, non so come spiegarlo, è una cosa molto intima». Racconta che il padre è tornato una sola volta. «Prima non voleva andare. Diceva sempre: “La Sardegna che mi ha dato?!” era arrabbiato. Solo alla fine, malato, ha avuto bisogno di rivedere la sua terra. E’ stato a Sassari, dove è nato, e in qualche altro posto. E’ morto poco dopo il ritorno in Argentina».

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Un commento

  1. Marie Enna Cocciolone (Sidney)

    FROM THE SYDNEY SARDINIAN CULTURAL ASSOCIATION
    WE SEND EACH OF YOU THE VERY BEST FOR AN
    INCREDIBLY SUCCESFUL 2013!

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