INCANTO SARDO CON IL GRUPPO "SA OGHE DE SU CORO": METTI UNA SERATA PRESSO L'ASSOCIAZIONE "PAOLO PINI" NELLA FREDDA MILANO

Sa Oghe de su Coro


di Sergio Portas

Metti una sera di sabato di volerti immergere nell’atmosfera incantata di una festa sarda. E’ al Paolo Pini che “Sa Oghe de su Coro” di Pino Martini Obinu fa da apripista ai balli di Ines Sau, l’organetto diatonico di Gonario Ultei è la ciliegina che ci voleva per una torta già di per sé ricca. Un  bicchiere di vino nero di Sorso a buttare giù un po’ di pecorino e qualche fetta di sattizzu ha separato il momento del canto da quello del ballo, il tempo di liberare la sala dalle sedie che l’avevano stipata all’inverosimile, segno che l’iniziativa è corsa sulle ali di una voce isolana che si è amplificata di suo, superando ogni previsione. Prima che i balli la facessero da padrone, e la hybris (furia) si impadronisse dell’animo dei presenti, riportandoli con la magia che sa l’organetto alle cento e mille piazze di Sardegna mettendo le ali ai loro piedi, il coro meticcio aveva esordito “alla maniera di Gramsci”. Dichiarando tutto il suo odio per gli indifferenti, come l’Antonio nostro nel suo celeberrimo pamphlet, ma non solo. Nessuna indifferenza per il rincaro delle tariffe dei traghetti (fino a punte del 70%) per rientrare nell’isola. Nessuna indifferenza per lo spopolamento dei comuni interni di Sardegna, causa prima il dissolversi di ogni tipo di occupazione, per cui ad alta disoccupazione giovanile corrisponde una propensione all’emigrazione che non è più una scelta ma una necessità di vera e propria sopravvivenza. Nessuna indifferenza per la sorte dei 350.000 sardi (su poco più di un milione e mezzo) che vivono sotto la soglia della povertà. Nessuna indifferenza, ma piena solidarietà, per i lavoratori della Vinyls di Porto Torres, per quelli dell’Alcoa dell’iglesiente, per la lotta dei pastori che vorrebbero vedere pagato il latte dei loro greggi almeno al prezzo di un litro di Coca Cola. Nessuna indifferenza per l’uranio impoverito dei poligoni di tiro, eterna servitù militare che uccide tre volte: la vita dell’uomo, della flora e della fauna. “Procura de moderare barones sa tirannia/ chi si no pro vida mia torrades a pe’ in terra, declarada è già sa gherra contra de sa prepotenzia e cominza sa passienza in su populu a faltare…”. Così ha esordito “Sa Oghe”. E il cuore dei presenti ha fatto da tamburo alle strofe della canzone di Mannu. A due giorni da quello “della memoria” non si poteva passare sotto silenzio:  le note di “Tempus passadu”sono di Gavino De Lunas, di Padria, le scrisse nel 1930. Il destino lo portò nei carceri romani, lui antifascista, quando si trattò di fucilare alle Fosse Ardeatine per dare sfogo alla rappresaglia tedesca. “Ajò lassademi stare pensamentos chi mi occhides, ello a ite mi cherides  su passadu ravvivare…”. Eppure tocca di ricordare se non si vuol correre il pericolo di ripetere questo passato. La voce di Joice Lussu nella sua poesia sulla tragedia della shoà che termina: “…c’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald/ quasi nuove/ perché i piedini dei bambini morti/ non consumano le suole”. Ma non pensate a una serata tutta nel segno della commozione, i muttettus del “Laire lellara”, le strofe de su “Passu torrau cantau (Hoi Sardigna bella in altu mare!), i dilliri dilliri dilliriana di Nanneddu meu hanno fatto da contrappunto. L’organetto e i balli hanno fatto il resto. Metti, una sera di sabato milanese, al Paolo Pini.

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Un commento

  1. Saludos ma mi paret chi no azas iscrittu tottu de cussa serada. saludos

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