RICORSI PATOLOGICI: CASO KELLER, L'ENNESIMA MAZZATA AL TESSUTO SOCIO ECONOMICO SARDO

lo stabilimento della Keller a Villacidro

lo stabilimento della Keller a Villacidro


di Omar Onnis

Non ha lasciato molti segni di sé la ricorrenza del 4 settembre, anniversario dell’eccidio di Buggerru. Era il 1904 e allora le manifestazioni sindacali non erano propriamente tollerate di buon grado. I minatori lavoravano in condizioni che definire disumane è fare un torto alle altre specie animali. La protesta si tramutò in repressione manu militari e in sangue versato. Da lì, il primo sciopero generale della storia italiana. Poi si dice che la Sardegna è sempre stata fuori dalla Storia… Forse si intende dire: fuori dalla sua storia. La dimenticanza è tanto più notevole in quanto cade praticamente nelle stesse ore dell’ennesima mazzata ricevuta dal tessuto socio-economico sardo e dal settore industriale in particolare. Questa volta, non da un’azienda decotta o anacronistica, ma da una in piena attività, con prospettive notevoli e un mercato ancora a disposizione: la Keller di Villacidro. Il fatto è emblematico. La società Trenitalia (partecipata dal governo italiano) revoca una grande commessa (si parla di 16 milioni di euro) e manda gambe all’aria un’intera azienda, decine di lavoratori e le loro famiglie, con tutto ciò che ne consegue. Dei gran cattivoni, questi di Trenitalia? Be’, dipende. Se si guarda alla cosa con gli occhi del servo grato della propria sottomissione, forse si potrebbe avere qualcosa da recriminare sulla malvagità del padrone. A guardarla da cittadini liberi la cosa assume i contorni di una normalissima misura economica presa in totale buon diritto da una società che sceglie dove e come investire i propri soldi. Ancor più legittima la decisione di Trenitalia in un’ottica italiana. L’Italia è in mutande, non ha nemmeno gli occhi per piangere: vorremmo davvero che investisse le sue magrissime risorse in Sardegna? Qui il fattore geografico conta ancor più di quello demografico e politico. Certo, c’è da dire anche che Trenitalia impone alla Keller di non prendere commesse dall’estero. Una forma di monopsonio che aggiunge la beffa al danno. Ma una volta che si accetta la propria subalternità, la si deve accettare in tutto e per tutto. Gli esponenti della destra Storica, al governo in Italia 150 anni fa, dichiaravano apertamente che se i sardi volevano le ferrovie dovevano pagarsele loro, senza pretendere investimenti da parte dello stato centrale, dato che si trattava di infrastrutture che interessavano solo i sardi medesimi, senza ricadute oltre i confini dell’Isola. Un ragionamento che fila ancora oggi. Siamo noi che non l’abbiamo ancora capito. Siamo noi che non ci siamo ancora liberati dall’ipnosi collettiva della nostra italianità a tutti i costi. Nemmeno ora che i costi diventano insostenibili vogliamo aprire gli occhi? La manifestazione sindacale del 6 settembre appare dunque in una luce ancor più tetra. Da un lato la rimozione dei morti di Buggerru, dall’altra l’ottusità dei sindacati sardi (o meglio, italiani in Sardegna) che contestano il governo italiano perché moderi la sua tirannia, ma senza il coraggio di minacciare sul serio la rivoluzione. E senza uno straccio di consapevolezza di sé, di ciò che un sindacato serio, responsabile, inserito nella storia del suo tempo, legato al suo territorio, dovrebbe fare. I sindacati confederali italiani in Sardegna sono uno dei maggiori agenti della conservazione della nostra subalternità. Questo è evidente quanto triste. A parte fare da intermediari nelle assunzioni, con pratiche non di rado clientelari e familistiche; a parte promuovere vertenze di cortissimo respiro, senza uno straccio di progettualità, spesso a danno del territorio stesso; a parte pretendere nuovi fantascientifici Piani di Rinascita, qual è oggigiorno l’apporto dei sindacati in Sardegna? È una questione che andrà affrontata presto e anche bene. Prima di tutto in nome e per conto di tutti i lavoratori sardi, che sono sempre più le ultime ruote del carro di un carro già di suo malandato, pedine sacrificabili in una scacchiera altrui.

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