A CINQUE ANNI DI DISTANZA, RITROVIAMO BARBARA SERRA, LA GIORNALISTA SARDA CHE LAVORA AD "AL JAZEERA INTERNATIONAL"

Barbara Serra, vive e lavora a Londra

Barbara Serra, vive e lavora a Londra


di Luca Telese

 

A volte, capita: ripercorri il filo della memoria a ritroso, e poi – quasi per caso – trovi la chiave di tutta una vita. Barbara Serra, “l’italiana di Al Jazeera”, ti racconta del giorno che non potrà mai dimenticare, quando una mattina va scuola, e scopre che tutti i bambini hanno iniziato a parlare una lingua che lei non capisce. Solo che non si trattava di un incubo. Aveva cambiato paese. Era cresciuta a Milano, e proprio quel giorno, invece, era arrivata in Danimarca. Aveva otto anni. Era il 1984. Oggi, che di anni ne ha 35, ed è seduta a ricordare nel salotto con parquet di una meravigliosa casa d’epoca inglese di Londra (la sua). Oggi, ripensando a quella mattina dice sorridendo:

Non sapevo parlare inglese: ero tagliata fuori, la lingua è quello che ti da la percezione più chiara di essere minoranza. E io mi sentii così: diversa e sola.

su tottus in pari già nel 2006

su tottus in pari già nel 2006

A pensarci bene, anche adesso che è  una faccia che fa il giro del pianeta, un personaggio, una vincente, quella percezione si è modificata, ma non è cambiata: perché Barbara è ancora una che si distingue, una ragazza cresciuta in Inghilterra, ma che ha scelto di lavorare per la più araba delle tv, il canale che – nel pieno del presunto “conflitto di civiltà” – è stato messo all’indice persino dal sottosegretario di stato Usa Donald Runsfield. Un canale che qualcuno in Occidente ha considerato una emanazione del nemico. Anche ora quella notorietà può pesare. Così le chiedo: quale è l’insulto più feroce che hai ricevuto?

Un ascoltatore mi ha scritto che vedere Barbara Serra ad Al Jazzera  è come vedere una puntata dei Sopranos con Bin Laden guest star.

Però, spiritoso!

Ohh, è una vita che mi dicono cose così.

Perché?

(Ride) Perché la mia è una identità… complessa? Sono di lingua e famiglia italiana ma non sono del tutto italiana; sono anglicizzata ma non sono del tutto inglese; sono cresciuta in Danimarca ma non sono danese. Così, di tanto in tanto, c’era sempre qualcuno che mi chiedeva se era vero che mangiavo solo spaghetti e che eravamo tutti mafiosi.

E tu cosa gli rispondevi?

Oddìo, uno dei problemi era che a casa mia davvero si mangiavano sempre spaghetti.

Come nasce questa carta di identità complessa?

Semplice: Mio padre è ingegnere chimico. Sono nata a Milano. Bambina normalissima, a scuola dalle suore, due sorelline.

Poi vi trasferite all’estero …

E passo da Holly e Benji e dal Bim bum bam di Bonolis alla scuola internazionale. Ovviamente, quando inizi a capire, diventa subito bellissimo. Ti siedi e intorno hai tutto il mondo, i miei primi amici musulmani li ho avuti in quarta elementare!.

Paese nordico, libertà totale. 

(sospiro ironico) “Non conosci mio padre.

Paghetta o pozzo di San Patrizio?

Né l’uno né l’altra. La domanda mi fa ricordare degli amichetti americani pagati sempre lo stesso giorno, con cifre rigorose, come se fosse uno stipendio.

A casa Serra, invece …

Paghetta elastica. Ma se poi ti serviva un extra, potevi chiederlo.

Quanto sapevi dell’Italia?

Nel 1987 un compagno mi gridò in faccia: vergognati! Voi italiani avete messo una pornostar in Parlamento. E tu? Chiesi a mio padre: ‘Ma è vero?’ E lui: ‘Sì: ma non durerà molto’.

Aveva ragione Papà Serra. Dove pensavi il tuo futuro?

Laurea in relazioni internazionali alla London School of Economics: mi immaginavo funzionaria della comunità europea, o all’Onu.

E il primo lavoro?

In Sardegna, durante una vacanza, a Videolina. Un mio zio raccontò a Grauso che aveva una nipote che parlava le lingue, mi diede un nome da chiamare.

Assunta?
Macchè! Però – senza nessuna retribuzione! – mi ritrovai a fare interviste per ‘Nottemania’, all’uscita dai locali della bella vita.

Lo rinneghi?

Affatto! Ho sempre pensato che se riesci a farti dire tre cose sensate da un ubriaco in pigiama, in inglese, in una discoteca, dopo puoi anche intervistare un primo ministro.

La febbre della tv la contrai subito. Hai partecipato ad un reality.

Non era un reality! Si chiamava “Blind date”. Era il 1995, era una vacanza in Cile con le telecamere al seguito.

E’ vera la leggenda che tua sorella ha mandato le tue foto a un settimanale, per un concorso di bellezza? (Altro sorriso) Era Gioia. Quella foto, è qui sulla libreria, a ricordarmi di quando ero ‘giovane’.

Ti sei ritrovata a Salsomaggiore per Miss Italia.

Un’esperienza su cui scrivere un libro! Io ero già laureata, arrivo da Londra, e mi ritrovo in un mercato di facce e corpi, con le madri che dicevano alle figlie di buttarsi sui giudici.

Eri competitiva?

(Risata) Mi hanno scartata subito!

La prima vera gavetta è a Capital, una stazione radio londinese …

Sì, ma non posso dire che facessi la giornalista. Portavo i giornali e preparavo il caffè, ecco.

E per guadagnarti da vivere?

Commessa in un negozio. Turni di otto ore, a volte era massacrante.

Però da lì passi alla Bbc …

Sì, ma sempre a quella di Londra. La grande scuola dei programmi della mattina. Praticamente scrivi sempre di tempo, traffico e underground.

Una noia mortale?

Grande scuola! Se devi capire la differenza fra il giornalismo italiano e quello anglosassone basta lo sciopero della metro. Alla Bbc devi scegliere la sera prima un signor Smith da raccontare, prendere appuntamento, andare a casa sua alla 5 del mattino, fare con lui il percorso che avrebbe fatto, arrivare al lavoro dove non è potuto andare. Insomma, un film! E’ la forza della storia che funziona sempre.

Siamo nel 1999…

E il mio ruolo è ancora Broadcast assistent, poco più che una segretaria.

Nel 2000 finalmente arrivi alla Bbc nazionale. Quale fu il tuo primo scoop?

(Ride) Riuscii ad intervistare Silvio Berlusconi.

E come hai fatto?

Semplice. Ho telefonato a Palazzo Chigi e ho detto: Sono Barbara Serra della Bbc.

 Lui come fu?

Molto serio. Nessuna battuta.

E la tua carriera?

Scelgo di tornare in una redazione regionale. Ma finalmente reporter. Uno scoop dell’epoca? C’era un negozio, credo italiano, che vendeva camicie con collo di pelliccia. Telecamera nascosta: appuro che è davvero pelliccia, faccio il servizio. Scoppia una polemica furibonda. In Inghilterra, un prodotto la cui produzione implica crudeltà contro gli animali è socialmente inaccettabile!.

Quando parli dell’Italia dici che anche le veline lo sarebbero.

Questa è una cosa fantastica. Non c’è paese d’Europa dove le veline potrebbero esistere.

Proprio tu lo dici, che sei cresciuta in un paese nordico.

La velina non è la modernità, ma il medioevo. E’ la cosa televisivamente più antica che posso immaginare. Non lo dico da bacchettona… In Danimarca ci sono i film porno in chiaro dopo la mezzanotte. Ma sia a Londra che a Copenaghen contro le veline farebbero i comitati!.

Quante raccomandazioni hai avuto?

(Ride) A parte Videolina … nessuna. Il lavoro più grande di quegli anni è stato riscrivere ogni volta il mio curriculum.

Come sei entrata a Sky?

E’ un motivo di grande orgoglio, per me: leggendo nelle offerte di lavoro del giornale che stanno cercando un reporter. Pensa, ho trovato lavoro con il Guardian!

E la collaborazione con Rai educational?

Un giorno un mio amico italiano mi passa al telefono Giovanni Minoli. E lui, senza conoscermi, in tre minuti mi propone una rubrica

Esiste una scuola murdocchiana? La riassumerei nella massima: ‘Non puoi mai avere il cellulare spento’. Quando hai pensato di esserti avvicinata al successo?

Quando per la prima volta la mia diversità è diventata un valore.

A chi devi molto?

Al mio vicecapo, Simon Call: ha pensato una carriera per me. Ho lasciato un posto fisso da 22mila sterline da assistente, perché volevo  fare la giornalista. Mi dicevo: se avessi voluto fare il soldi sarei andata in banca, come i miei compagni di università che guadagnavano 5 volte più di me.

Com’è la Tv?

Bella ma ti erode. Ti fa diventare proprietà pubblica. Ci sono persone che vogliono andare in video per acquisire sicurezza. Non sanno che ogni minuto  di video te ne toglie un pò.

Dal 2003, sei una conduttrice ad Al Jazeera, che per qualche inglese è il nemico.

Una stupidaggine. In metà dei paesi arabi, i nostri  cronisti sono considerati dei nemici, perché raccontano verità sgradite ai governi. In Egitto ce n’è uno in carcere, anche ora. Da non so quanti paesi ci hanno persino buttato fuori! Nel nostro spot abbiamo messo il portavoce di Saddam che ci attacca!

Fate una battaglia lessicale con i canali inglesi.

A volte. Noi per esempio, definiamo le truppe israeliane ‘Esercito’. Altri dicono ‘Forze di difesa’. Ma io credo che sia giusta la prima definizione: la seconda implica un giudizio.

E’ vero che non definite mai terroristi i kamikaze?

Per noi sono ‘suicide bombers’. Non è mica un complimento. Il principio quale è? Che in Inghilterra i giornali sono molto più liberi di avere delle opinioni, ma siccome la tv è per tutti, deve tendere all’imparzialità del racconto.
Il giorno di conduzione peggiore.

Quello delle bombe a Londra. I cellulari non  funzionavano, e io andavo in onda senza sapere nemmeno dove fosse mia sorella. Pensavo a tutti quelli che avevano perso qualcuno e sentivo una responsabilità enorme. Fammi un esempio di conflitto di civiltà nei media. Ogni tanto, magari anche da voi, c’è qualche commentatore che attacca Obama dicendo indignato: ‘Obama ha studiato in una madrassa!’. Peccato che questa parola, in arabo, significhi semplicemente ‘scuola’.

Una cosa che non capisci dei politici italiani?

Da noi è impensabile che un politico non risponda a una domanda. La prima lezione di qualsiasi media training è: il no comment non esiste!.

Da noi lo fanno tutti, primi ministri compresi.

Che ci provino non mi stupisce. Mi preoccupa che non arrivino lettere di protesta.

In Inghilterra è più facile per i giovani?

Sì, ma io non sono più giovane. Ho già 35 anni!

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