FAI LA COSA GIUSTA, MANGIA COME PARLI! LA FIERA A MILANO DOVE E' PROTAGONISTA ANCHE LA CUCINA SARDA


di Sergio Portas

Mi veniva in mente quel film che Madonna girò da protagonista negli anni ottanta: “Cercasi Susan disperatamente” mentre mi aggiravo tra i banchetti di “Fai la cosa giusta” (Fiera di Milano), sezione “Mangia come parli”. Gli è che qui c’erano ben duecento espositori (sono 750 i totali, 22% in più rispetto l’anno scorso) e non riuscivo proprio a impattare i sardi di S. Vito , quasi quattromila abitanti tra i monti del Serrabus e dei Sette Fratelli, in una piana fertile ai piedi della “Serra matta de Abramu”. Il catalogo online diceva dei loro “Bioagrumi di Monteporceddus” e già quattro anni fa mi ero imbattuto, sempre in fiera eco solidale, nelle loro marmellate che più biologiche non si può, fantastica quella di limoni. Quest’anno mi sarò lasciato sviare dalle crepes biologiche, dolci senza latte e uova, farcite con cioccolato e crema, o sarà che venivo da quel gruppo di birrerie artigianali che non ho proprio potuto non visitare, se non altro per fare un confronto con le “Birras” guspinesi che si trincano d’estate a Montevecchio. Insomma non li ho proprio trovati e allora mi sono diretto alla sezione “Sprigioniamoci- Economia Carceraria”, dove gli espositori sono molto meno numerosi (comunque più di venti) e tra loro anche il banchetto del “Progetto C.O.L.O.N.I.A.” che coinvolge detenuti e operatori delle tre Colonie penali agricole della Sardegna: quelle di Isili, Mamone (Nuoro) e di Is Arenas, nella costa Verde di Arbus, che se uno, oggi, scende sulla spiaggia di Scivu e prende a camminare sulla destra, dribblando i tre tedeschi che rendono meno deserta la distesa di rena color miele, prima o poi ci finisce dentro. Dentro i confini del carcere, che sbarre non ce ne sono. Non per nulla quel bel tomo di Castelli, quando faceva il ministro padano della giustizia per conto del Berlusca, se ne veniva qui a fare le vacanze estive. Mi imbatto prima nel ragionier De Muru, che a Is Arenas opera, mi dice che al progetto sono interessati praticamente tutti i 160 detenuti per 2300 ettari di territorio, a Isili sono un centinaio, 360 a Mamone. Di questi il 70% sono extracomunitari. Costoro, a legge Bossi-Fini imperante, una volta scontata la pena dovrebbero essere rimpatriati. Dopo che qui hanno imparato ad allevare le bestie, a macellarle, o sono diventati apicoltori provetti e coltivatori di orti biologici nonché di ulivi centenari. Il Ministero della Giustizia, che mette i soldi per questo splendido progetto di rieducazione alla legalità, al lavoro, alla vita, segue la schizofrenia dei suoi massimi dirigenti (leggi politici che ci governano): una volta reinseriti nell’umano agire, la gran parte dei detenuti viene espulsa dall’Italia. E a guardare la torma di disperati accampata nelle lande di Lampedusa viene da pensare che questo 70% di detenuti non italiani sia destinato a lievitare enormemente, se non si cambiano le politiche di accoglienza. Se si continua a non avere uno straccio di politica di accoglienza. Mauro Puxeddu, arburesu, tecnico agrario, è uno dei responsabili di questo progetto: prima cosa è la qualità dei prodotti ottenuti, nei tre istituti penitenziali si mettono assieme 400 quintali di formaggio e 20 quintali di miele. L’olio si ottiene quasi tutto a Mamone, dove erano state abbandonate 4-5.000 piante di ulivo, che piano piano si stanno riportando a produzione. Già adesso si producono quasi trecento litri di olio, a etichetta “Annunziata”. 500 quintali di verdure biologicamente coltivate hanno preso la via del mercato di Arborea. A Is Arenas si sfruttano anche le essenze di lavanda, rosmarino, elicriso, mirto. Un litro di quest’olio costa 6 euro, il miele viene sui 7-8 euro al chilo, il pecorino anch’esso sugli otto euro, nei supermercati di Milano costa il doppio. Coi proventi dei prodotti si pagano i “capi d’arte” che insegnano ai detenuti i nuovi mestieri. Non è certo il fine economico che regge tutta l’impalcatura del progetto, si tratta come è ovvio, una volta tanto, di dare retta a quel capitolo della nostra Carta Costituzionale, che dice della necessità di una pena detentiva atta al recupero sociale dell’individuo che ha sbagliato. In grazia di quella Bossi-Fini che muta i clandestini senza permesso di soggiorno in abitanti delle patrie galere, queste ultime stanno sopportando la pressione di quasi 70.000 detenuti a fronte di 45.000 posti disponibili. Il disagio degli agenti carcerari aumenta quasi nella medesima percentuale di quello dei detenuti, che drammaticamente si misura nell’aumento del numero annuo dei suicidi, già rilevante in carattere di non affollamento. Eppure se ne potrebbero fare di cose. Leggo dal depliant “Gale ghiotto”, vale la pena, buoni dentro, di progetti già finanziati dall’Unione Europea, per la casa circondariale di Cagliari e Iglesias (Gagli-Off), un altro a Nuoro (produrre e vendere piante officinali) e Lanusei , costituzione di una falegnameria, (il progetto si chiama Filiera dell’Inclusione) e poi detenuti che lavorano all’esterno nella zona archeologica di Fordongianus. Ed è già in atto il (sacrosanto) progetto per la costituzione di un istituto a custodia attenuata per le detenute madri, in provincia di Cagliari,il secondo in Italia dopo quello già operante a Milano. Che se le madri dichiarate colpevoli di reati finiscono in galera, con esse ci finiscono anche i figli piccoli, ontologicamente innocenti. L’associazione “bambinisenzasbarre” opera nelle carceri milanesi, per gli internauti esperti www.bambinisenzasbarre.org, da dieci anni si fa carico delle innumerevoli problematiche relative a questo orrore. Vale la pena di ricordarsi di loro in sede di dichiarazione dei redditi destinandogli il famigerato 5 per mille. E i sardi che si possono permettere di utilizzare la Sardegna tutta da liberi cittadini cosa ne fanno dei loro coltivi ancorché biologici? I cagliaritani di “Iliana Cosmesi Naturale” hanno avuto l’onore della citazione nel comunicato stampa ufficiale della mostra, le loro piante aromatiche ed officinali da cui estraggono preziosi oli essenziali vengono armonizzate con saponi naturali, oli e creme vegetali, derivati dal miele, la Iliana crea poi la propria linea per l’aromoterapia e la fitocosmesi funzionale di altissima qualità. Questo a leggere il loro depliant. Giacomina Cocco che esprime in massima parte le qualità di simpatia e di energia irrefrenabile delle donne del Logudoro, è di Monti, mi racconta meglio a voce. Con due altri soci (Massimo Ghiani e GianLuigi Virdis) ha coltivazioni di piante officinali in tutta la Sardegna, a Ittiri a Monti. Di dieci ettari sei sono di elicriso che, mi dice, ha grandi proprietà fitoterapiche e aromatizzanti, splendido per contusioni o bruciature. Altre sei essenze sono poi tutte distillate in corrente di vapore in orizzontale a Monti, nei laboratori di Cagliari e di Tratalias (vicino Carbonia) saponificano con olio biologico naturalmente prodotto in Sardegna. C’è una linea viso, una linea corpo, e poi bagni schiuma e sciampo, crema per mani (elicriso e alloro) e piedi (timo e salvia), olio per il corpo. Asciugamani e ceramiche per i prodotti diffusori sono di cooperative che operano secondo i criteri che li contraddistinguono: rispetto per la natura, energie verdi , relazioni dolci con le persone. Per chi sa comprare con internet: www.iliana.it . Giacomina presidia lo stand con Giuliana, di Ittiri; in Sardegna, nelle pieghe di tempo che si ritaglia da questa sua frenetica attività, rivolge anche l’attenzione a quella meraviglia del creato che è il vitigno del vermentino della cantina sociale di Monti, di cui è socia e consigliera. Quando l’andrò a trovare a Tratalias (io che sono un chimico che ha insegnato a torme di studenti la distillazione in corrente di vapore) più che della crema corpo emolliente ed idratante (ai principi di mirto e di miele), confesso, le chiederò della vendemmia dell’Aghiloia, uno dei grandi “bianchi” di Sardegna.

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