IL TERZO MONDO SIAMO NOI! CRONACA DI UNA MATTINATA A CAGLIARI PER LA PROTESTA DEI PASTORI SARDI


di Valentina Lisci

Facce dure. Facce durissime. Rabbia? Piuttosto tanta delusione nei visi delle decine e decine di pastori che hanno manifestato stamattina davanti al Palazzo della Regione. Hanno lasciato il gregge e di buon mattino da ogni parte dell’Isola hanno raggiunto il capoluogo. Alcuni a cavallo, altri accompagnati da sindaci e preti. Molti con bambini e famiglia dietro. C’era pure qualche tenero agnellino buono buono tra le braccia dei padroni. Cosa dire di questa protesta? Tante, troppe cose, eppure troppo poche. Si potrebbe discutere sul prezzo del latte pagato con cifre vergognose ai pastori e ai consorzi. Si potrebbe discutere della carne, ma quale carne? quella degli sparuti agnelli che si vendono prima delle festività? quella carne che i pastori chiamano “farci l’elemosina”? o la carne prodotta in remoti paesi dell’est (nemmeno tanto remoti) a cui viene sovrapposto il marchio sardo? Si potrebbe discutere del formaggio e di tutti i derivati, nemmeno loro esenti dalla crisi. Ma le manifestazioni sono fatte di persone e mi pare giusto dare voce a loro, che di voce in tutti questi anni ne hanno avuta ben poca. “Vogliamo solo lavorare ed essere pagati il giusto, non vogliamo di più”. Il Giusto? Nella società del tutto e subito, del forte che vince sul debole, del liberismo sfrenato, della concorrenza acerrima, è anacronistico chiedere “il giusto”? Pretendere di essere pagati quanto il loro lavoro vale? Ma quanto vale il lavoro del pastore? “Ho iniziato a fare il pastore a otto anni, non avevo nemmeno una coperta per dormire, un giorno ho trovato un materasso per strada e ho usato quello”. Storie come tante, storie di una Sardegna che ha dimenticato il suo passato davvero prossimo di allevamento e agricoltura, che ha sognato l’industria chimica ma è caduta dal letto, che vuole il turismo ma non sa farlo. Che ha lasciato i pastori a sé stessi. “Scusate se parlo in sardo, ma non conosco l’italiano, ci ho provato e mi sono iscritto alle serali, ma con la storia della Gelmini non c’è posto per tutti e forse sarò ripescato più in là”. Storie di pastori che hanno sopportato inverni e pestilenze, transumanze e riforme, hanno resistito a lungo pur di non vendere il gregge ed emigrare, pur di restare nei loro paesi spopolati, per “studiare” i figli. Si proprio studiare con tanto di complemento oggetto, perchè quei figli “studiati” sono la loro vera gioia, il loro orgoglio, quei figli non dovranno ripetere l’errore della loro vita di sacrifici. A fianco a me un passeggino con due vivaci gemelline di pochi anni. Il papà si avvicina per giocare qualche attimo con loro e poi torna alla protesta. Mi chiedo: con gli spiccioli del latte come potrà pagare la retta universitaria in un prossimo futuro di tasse sempre più alte e di diritto allo studio sempre più ristretto? Qualche giovane tra i manifestanti con campanacci e vettovaglie per attirare l’attenzione dei politici, quei politici che “non sanno cosa vuol dire..”, che “hanno promesso e non hanno mantenuto”. C’è pure un servo pastore, rumeno, giovanissimo, che sventola la bandiera della Sardegna e non parla con nessuno, i suoi occhi valgono mille discorsi. Ci guardano, vogliono essere fotografati. Ringraziano le persone di aver partecipato alla loro causa. Anche le universitarie come noi. “Che cosa studi? Psicologia? Segnati il mio numero che io di problemi ne ho molti”. Dimenticano che noi siamo parte attiva della loro causa, perchè se non i nostri genitori, allora i nostri nonni, bisnonni, trisnonni, i nostri avi facevano il loro stesso lavoro. Quel pastore che ha significato per la Sardegna un marchio di infamia e di ignoranza. Pastore depositario di arte, di poesia, di tradizione, di cultura materiale, a cui la nostra terra deve parecchio. Non chiedono molto i pastori. Chiedono solo la dignità di poter lavorare, di poter sopravvivere in un mercato lupo che non li vuole, di smettere di vivere di sovvenzionamenti e diventare davvero competitivi. Quattordici Settembre Duemiladieci. Italia. Sardegna. Il terzo mondo siamo noi.

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Un commento

  1. Grazie a voi che siete così disponibili! non è facile dare voce a tutti, ma proprio a tutti, come fate voi!
    Questa Isola meravigliosa ci fa soffrire, però siamo giovani e la lotta per il miglioramento è appena iniziata 🙂
    Ancora grazie!

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