L'AMICO SALVATORE TOLA, ESPERTO COMUNICATORE, E LA "LETTERATURA IN LINGUA SARDA"


di Paolo Pulina

Jonathan Swift nei “Viaggi di Gulliver” ha immortalato il paradosso logico dal quale erano partiti tre studiosi impegnati a Lagado a migliorare la lingua del paese: “Poiché le parole non erano che i nomi delle cose, sarebbe stato assai più comodo che ognuno si portasse dietro le cose delle quali intendeva parlare in ogni sua faccenda”. Salvatore Tola con il suo ponderoso volume “La Letteratura in Lingua sarda. Testi, autori, vicende” (Cagliari, Cuec, 2006, oltre 550 pagine) ha voluto contrastare in anticipo l’idea balzana di qualche bello spirito sardo secondo la quale chi vuole conoscere i testi, gli autori, le vicende della letteratura in lingua sarda debba caricarsi sulle spalle i libri di una ricca biblioteca. Tola naturalmente una ricca (anzi ricchissima) biblioteca di lingua e letteratura sarda se l’è costituita nei decenni ma con quest’opera ha voluto sintetizzare e divulgare le acquisizioni maturate in lunghi anni di ricerca e di studio. Il volume si compone di dieci ampie parti: dalle origini della letteratura sarda a un quadro, secolo per secolo, del suo sviluppo dal Quattrocento al primo e al secondo Novecento, cioè fino all’ultimo tratto in cui non è più assente, come era avvenuto praticamente in tutti i periodi precedenti, la prosa letteraria “in limba”. Ogni parte è suddivisa in densi capitoli (in totale sono quasi 120). Ciascun capitolo propone l’inquadramento storico del fenomeno considerato o l’essenziale scheda biografica dei personaggi presi in esame, seguiti l’uno o l’altra da una disamina degli scritti storico-critici che vengono messi a confronto con intelligente articolazione dialogica o dialettica. Quest’ultima pregevole caratteristica dà a tutta l’opera vivacità e brio. Il volume, quindi, per dirla in sintesi, è insieme una storia della letteratura sarda, un’antologia dei suoi testi più significativi, una rassegna ragionata dell’antologia critica sui suoi momenti qualificanti e sui suoi protagonisti. Lodevole è l’intento didattico, che continua quello già dispiegato da Tola in quello che lui definisce il saggio-antologia “La poesia dei poveri” (1997), nel cui primo capitolo l’autore, di padre sardo ma nato in “continente”, racconta come è avvenuto, da parte sua, l’apprendimento della lingua e l’approfondimento della conoscenza della poesia sarda. Notevole è quindi l’utilità di questo volume per chi vuole avere una bussola per orientarsi nel grande mare del “patrimonio letterario” in lingua sarda anche se non possiede una attrezzata biblioteca sulla materia. Abbiamo detto che Tola dà la parola ai critici, ma bisogna tener conto che Tola dà innanzitutto la parola ai testi, scelti tra quelli più importanti certo ma senza trascurare quelli più curiosi. Tutti i testi sono sistematicamente e scrupolosamente tradotti: anzi, nel lavoro di traduzione credo che Tola trovi una particolare soddisfazione intellettuale, quella che deriva dalla comprensione (derivante da un allenamento costante) del testo parola per parola e dalla combinata capacità di rendere il giro delle frasi e le singole unità lessicali nel più appropriato dei modi. Tradurre per lui non significa “tradire” ma semmai, come dicevano i latini, “tradere” (tramandare), ed egli interpreta con rigore questo suo ruolo di “comunicatore” della cultura sarda con operazioni di divulgazione che riescono a contemperare, con indefettibile accuratezza, il rispetto delle fonti con le esigenze dei lettori non specialisti (che sono obiettivamente diverse da quelle degli accademici), consolidando così la base di massa che sola può garantire la prospettiva di una “molecolare” (avrebbe detto Antonio Gramsci ) democratizzazione della cultura. 

 

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