L'ENIGMA DE "SA FEMINA AGABBADORA" PER UN AMARO RITRATTO DI FAMIGLIA. E CHE "DEU CI SIA", IL CORTOMETRAGGIO DI GIANLUCA TARDITI

l'articolo è tratto dal sito www.cinemecum.it


di Anna Brotzu (cinemecum.it)

Segreti di famiglia in un crescendo di “sussurri e grida”, preludio al buio, nel fluire inarrestabile delle esistenze in “Deu ci sia”, il cortometraggio scritto e diretto da Gianluigi Tarditi (che firma anche le musiche) ispirato a sa Femina Agabbadora, prodotto dalla sassarese (con base a Roma e respiro internazionale) Ophir Production, presentato in anteprima alla Società Umanitaria – Cineteca Sarda di Cagliari.

Così il regista, studi alla New York Film Academy, esperienze nel cinema indipendente e sui set italiani di Luca Miniero e Paolo Genovese, Lamberto Bava e Abel Ferrara, già autore di short stories nel segno della settima arte come “Pisa” e “Charles Delano”, racconta la genesi del film:  “Deu ci sia” è il frutto di una seduzione, mi ha affascinato la figura de sa Femina Agabbadora,  avvolta nella leggenda ma significativa al di là della documentazione storica come parte di un immaginario collettivo. Nel corto diventa il motore della storia incentrata sul dramma di una famiglia costretta ad affrontare la morte imminente e soprattutto le sofferenze per la malattia di una persona cara.

Come dar corpo al sogno, forse l’incubo di colei che pone fine (drasticamente) al dolore terreno? Sullo schermo s’Agabbadora ha il volto intenso di Clara Murtas, che racchiude la forza ma anche la fragilità e il mistero di questa donna, rispettata ma non amata. Una distanza che ho voluto sottolineare attraverso le parole, inserendo una nota antistorica: è l’unica che parli in limba, gli altri le rispondono in italiano, proprio per dare l’idea di questo personaggio che viene capito ma non compreso. E’ una figura che vive ai margini, custode dei segreti della nascita e della morte: viene chiamata perché serve, ma la sua sapienza incute un certo timore. La sua presenza si avverte in tutto il film: apre e chiude una trama fatta di ricordi e sentimenti contrastanti dei parenti riuniti intorno al morente.

Quindi le emozioni in primo piano? Il racconto si sviluppa nel dialogo, a senso unico perché l’infermo non può rispondere, tra il capofamiglia costretto a letto e la moglie, i figli, il fratello e la nuora, nell’alternarsi di narrazione lineare e flashback: ho utilizzato il rito dell’ammentus, in cui si ricordavano le colpe per ottenere il perdono divino, per far vomitare ai personaggi i veleni, i rancori non sopiti. Affiorano le cose mai dette in una sorta di confessione alla rovescia: sono i parenti che denunciano ingiustizie e soprusi, tradimenti e perfino delitti davanti all’uomo che pure muto e prossimo alla fine, conserva il suo ruolo e il suo potere. Se poi a muovere i personaggi sia un desiderio di aiutare o di vendicarsi, se il voler bene sia una maschera, sarà lo spettatore a deciderlo: proprio quest’ambiguità degli affetti è il fulcro del cortometraggio.

Dove e quando si svolge la storia descritta in “Deu ci sia”? La vicenda è ambientata in una Sardegna di fine Ottocento, è un film “in costume” ma non un documentario: quello che con la collaborazione preziosa della costumista Stefania Grilli ho cercato di preservare è stata la realtà di certe atmosfere, ma senza eccessi filologici, prendendomi anche delle libertà. In particolare per la lingua: è stato girato in Gallura (con l’apporto della STL) con attori provenienti da diverse parti dell’Isola (oltre a Clara Murtas, Clara Farina, Mario Olivieri, Daniele Meloni, Michele Carboni, Carla Orrù), tranne s’Agabbadora tutti parlano in un italiano in cui ho voluto (e non è stato facile!) anche le inflessioni sarde; nelle versioni per l’estero probabilmente queste sfumature andranno perse, ma mi è sembrato importante per restituire alla vicenda una sua autenticità.

Dalla teoria alla pratica, dalla poesia al “vile denaro”: i costi? Per l’aspetto finanziario sarebbe meglio chiedere ai produttori: Simone Montaldo e Felicina Della Vecchia. Posso dirle che il corto è costato sui 70mila euro, e per ora abbiamo ottenuto un finanziamento del ministero. So che la Ophir ha fatto richiesta anche alla Regione Sardegna attraverso il bando della Legge Regionale per il Cinema, ma come saprà il meccanismo non è ancora operativo. Girare un film è sicuramente molto impegnativo sul piano economico, ma l’importante è crederci fino in fondo: io non ho scelta, la forma d’espressione a me più congeniale, forse l’unica, è proprio il cinema.

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