LA RICERCA DI ANTONIO PIGLIARU SULLA VENDETTA BARBARICINA: PUBBLICATI GLI ATTI DEL CONVEGNO AL CIRCOLO "LOGUDORO" DI PAVIA

il convegno al "Logudoro" di Pavia il 24 ottobre 2009 con Gesuino Piga, Amedeo Giovanni Conte, Salvatore Tola e Paolo Pulina

il convegno al "Logudoro" di Pavia il 24 ottobre 2009 con Gesuino Piga, Amedeo Giovanni Conte, Salvatore Tola e Paolo Pulina


di Paolo Pulina

Il Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia ha  pubblicato  nel marzo 2010 gli atti del convegno “La ricerca di Antonio Pigliaru sulla vendetta barbaricina”  organizzato, presso la sede sociale, il 24 ottobre 2009, e dedicato alla memoria del grande filosofo sardo a 40 anni dalla morte (era nato a Orune nel 1922, è morto a Sassari nel 1969). Sono intervenuti – dopo la lettura di una  lettera inviata dalla vedova del filosofo, Rina Fancellu – Gesuino Piga (presidente del “Logudoro”),  Amedeo Giovanni Conte (docente di Filosofia del Diritto nell’Università di Pavia, dell’Accademia dei Lincei), Salvatore Tola  (autore di “Gli anni di ‘Ichnusa’: la rivista di  Pigliaru nella Sardegna della rinascita”,1994) e Paolo Pulina (responsabile Comunicazione della FASI). Il volume con gli atti del convegno (che può essere richiesto a circolosardopv@libero.it) contiene  anche contributi pervenuti ai curatori (Piga e Pulina), dopo lo svolgimento dell’incontro di studio, da diversi docenti universitari: Gianni Francioni (Pavia), Paolo Carta (Trento), Paolo Di Lucia (Milano, Statale), Giuseppe Lorini (Cagliari e Pavia), Stefano Colloca (Pavia) e Mauro Zonta (Roma, La Sapienza).

Qui di seguito pubblichiamo il testo dell’intervento di Pulina, intitolato “Antonio Pigliaru, un mito culturale per più generazioni”.

Oggi noi stiamo provvedendo di fatto ad una commemorazione ufficiale di Antonio Pigliaru a 40 anni dalla morte da parte dell’emigrazione sarda organizzata nell’Italia continentale: oltre i vertici del Circolo “Logudoro” di Pavia  è presente Filippo Soggiu, che fa parte, come me, dell’esecutivo nazionale della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) in qualità di presidente onorario dopo essere stato presidente del Circolo sardo di Pavia e della stessa FASI. Quando come Circolo e come FASI  ci  capita di proporre il ricordo di avvenimenti importanti della storia sarda e di figure rappresentative della cultura isolana, ricorriamo spesso al dato esteriore – che però, sappiamo, colpisce l’immaginazione del pubblico – della  ricorrenza di un anniversario particolarmente significativo. Il 1969 è l’anno della morte di Antonio Pigliaru  (circa alla stessa età di Antonio Gramsci – tanto per rimanere in tema di collegamenti tra i grandi sardi del Novecento); siamo quindi a distanza di quaranta anni esatti dalla prematura scomparsa del più profondo filosofo sardo della seconda metà del secolo scorso. Tranne che per un’iniziativa realizzata a Ghilarza non mi sembra che  in Sardegna si siano preoccupati in maniera speciale di commemorare questo anniversario, e noi qui oggi abbiamo l’onore, come Circolo e come Federazione, di dare l’esempio non solo agli altri Circoli FASI ma anche alle stesse istituzioni culturali della Sardegna. Siamo orgogliosi di aver coinvolto per la nostra iniziativa, come relatori e uditori,  alcune personalità dell’Accademia pavese. Il prof. Amedeo Giovanni Conte è qui non solo a rappresentare  l’Università di Pavia ma anche a significare un prestigioso riscontro, fuori dei confini isolani, dell’importanza della ricerca di Antonio Pigliaru  in campo  filosofico e antropologico. Non credo infatti che il prof. Conte e i suoi allievi si sarebbero dedicati ad approfondire la conoscenza di una materia come questa del codice della vendetta barbaricina, lontana dai loro interessi materiali concreti in quanto non sono nati in Sardegna, se non fosse stato per la profondità dell’elaborato argomentare di Pigliaru, caratterizzato da uno stile espressivo impervio (il ragionamento di Pigliaru non ama la paratassi, anzi è frequentemente molto complesso).  Io sono stato allievo del prof. Manlio Brigaglia, al Liceo “Azuni” di Sassari,   negli anni scolastici 1964-1967. Brigaglia era allora uno tra i più stretti collaboratori di Pigliaru nella redazione della  rivista “Ichnusa”, e anche dopo la sua chiusura partecipava ai progetti culturali elaborati da Pigliaru. Al contrario di altri compagni di classe e di scuola residenti a Sassari  (Luigi Manconi, Bruno Paba, Guido Melis, Federico e Gianni Francioni, Sandro Ruju) io non ho avuto la possibilità di incontrare personalmente Pigliaru. Tutti noi però, anche per l’influenza del positivo giudizio che ne esprimeva il prof. Brigaglia, avevamo una specie di venerazione per lui e fummo molto soddisfatti di vedere che lui, Brigaglia e Giuseppe Melis Bassu   avevano finanziato la pubblicazione dei primi numeri del giornale progressista dell’ “Azuni” intitolato “Iniziativa”. Così Brigaglia descrive l’attività che si svolgeva in casa Pigliaru: “Pigliaru passava gran parte del giorno a letto o seduto in poltrona: ma dalla camera da letto la gente straripava nello studio, nel salotto, nel soggiorno. Viveva in pubblico, si può dire, e lavorava in pubblico: se è vero che a molti amici era permesso sedersi al suo tavolo, leggere le sue ultime cose, correggere i dattiloscritti, persino scartabellare la sua corrispondenza privata” (“Se muore un uomo”, necrologio su “L’Unione Sarda” del 30 marzo 1969).  La casa laboratorio di Pigliaru era nota anche fuori della Sardegna, oltre la cerchia degli addetti ai lavori della  disciplina accademica (Filosofia del diritto) da lui insegnata. Questo grazie alle inchieste sulle nuove forme di banditismo in Sardegna (che vedevano predominante  il  sequestro di persona) svolte da  tre inviati speciali, di quelli che una volta facevano le inchieste serie, che erano passati a casa Pigliaru per capire le ragioni di questo “malessere” della società sarda. Questi tre inviati, Franco Nasi de “Il Giorno”, Gigi Ghirotti de “La Stampa” e Giorgio Pecorini de “L’Europeo”, certamente avevano una volontà di capire le motivazioni profonde dei  fenomeni di banditismo in Sardegna. Teniamo conto che sulle pagine del settimanale “Epoca” Ricciardetto  (Augusto Guerriero) proponeva di incendiare coi lanciafiamme l’intero Supramonte: così, a suo avviso,  si sarebbero snidati i banditi e si sarebbero estirpate per sempre le radici del banditismo. Questi tre inviati speciali hanno fatto sì che la casa di Pigliaru, dove naturalmente andavano a prendere documentazione per capire questi fenomeni e magari anche copie del suo libro sulla  vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (la prima edizione è del 1959), diventasse un luogo che attirò  idealmente  l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Ho avuto riscontro di questo fatto con un docente dell’Università Statale di Milano e  con una figura di rilievo della cultura pavese. Entrambi, sollecitati dal forte dinamismo culturale della rivista creata da Pigliaru, avevano seguito non solo i dibattiti proposti su quelle pagine ma anche quelli organizzati dalla redazione sui temi cruciali della pace, della non violenza, dell’antifascismo. Mi riferisco in particolare al vogherese prof. Ugoberto Alfassio Grimaldi, che è stato direttore della rivista socialista  “Critica sociale” e che era  collegato al gruppo di “Ichnusa”:  non a caso poi fece scrivere a Giuseppe Melis Bassu – uno dei fondatori della rivista  –  un pezzo per quel volume edito da Laterza, “La generazione degli anni difficili” (Bari, 1962), che conteneva le testimonianze degli intellettuali che erano stati fascisti. Antonio Pigliaru lo era stato, così come Ugoberto Alfassio Grimaldi; poi avevano fatto una scelta diversa. Un altro esempio. A me, che sostenevo l’esame di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano, il prof. Franco Catalano, leggendo il mio cognome, chiese: “Lei, Pulina, da dove viene?”. “Vengo dalla Sardegna”. “Da quale zona della Sardegna?”. “Vengo da Sassari”. “Di Sassari io conosco l’attività culturale  del prof. Antonio Pigliaru”. Pigliaru e la sua rivista erano conosciuti a livello nazionale come, per fare un paragone, Francesco Compagna e la sua rivista “Nord e Sud”. Ecco un altro collegamento simbolico importante tra l’azione di “Ichnusa” e un intellettuale  molto rappresentativo della cultura del Nord Italia (nato peraltro a Voghera): Franco Antonicelli, invitato dal gruppo di “Ichnusa”, nel 1965 venne a Sassari per allestire una delle prime rappresentazioni del suo testo teatrale “Festa grande d’aprile”. Si è trattato di un evento di grande significato sociale e culturale non solo per gli studenti liceali di allora, tra i quali io stesso. Per quanto riguarda poi l’elaborazione del rapporto fra politica e cultura, il dibattito va rinchiuso in due formule antitetiche, facili  da memorizzare. Pigliaru si distingue per una posizione che contesta sia il “regionalismo chiuso” sia il “cosmopolitismo di maniera”. Ciò significa che non ci si può chiudere nell’assolutizzazione di una cultura sarda e che bisogna in qualche modo aprirsi al resto della cultura nazionale. Allo stesso tempo, però, non bisogna troncare le radici dicendo semplicemente “siamo cittadini del mondo”: questo sarebbe il cosmopolitismo di maniera. Se è giusto riconoscere l’importanza della scuola di formazione di Pigliaru per i grandi uomini sardi che poi, magari incoraggiati da lui, sono arrivati ad essere conosciuti dall’opinione pubblica nazionale, è altrettanto doveroso sottolineare la profondità della sua influenza presso le classi popolari. Se vi riportate alla prima
metà degli anni Sessanta, diventa veramente unico il caso di un docente universitario come Pigliaru che andava a fare delle lezioni alle commesse dell’UPIM oppure  ai frequentatori del dopolavoro ferroviario per parlare di questioni che certamente non riguardavano gli aspetti giuridici del codice della vendetta barbaricina, ma erano le questioni della pace e della Resistenza. Pensate che in Sardegna soltanto nel 1986 è stato possibile pubblicare l’ “Enciclopedia dell’antifascismo”, perché non c’era l’abitudine di celebrare il 25 Aprile, la Festa della Liberazione dai nazifascisti. Ecco perché prima parlavo della eccezionalità dell’evento organizzato alla presenza di Franco Antonicelli: era la prima volta che si faceva questo tipo di manifestazione. Per tutti questi motivi, collegati all’importanza dell’azione  culturale svolta da un uomo di pensiero come Antonio Pigliaru,  dobbiamo avere  l’autocoscienza del valore di questa commemorazione che stiamo celebrando oggi qui a Pavia. Della quale riferiremo nei siti web e sui giornali  che accolgono i resoconti delle nostre iniziative. Sappiamo naturalmente che l’attenzione nei confronti di Pigliaru è tenuta viva  dal pertinace  impegno della vedova, Rina Fancellu (le ultime edizioni di scritti del marito da lei curate sono due aurei  libretti: “Le parole e le cose. Alfabeto della democrazia spiegato alla radio” e “Per un primo giorno di scuola. Lettera ad una professoressa”). A noi, per concludere, basta questa soddisfazione. Abbiamo realizzato una iniziativa culturale che ci consente di  poter dire agli altri: “Antonio Pigliaru è stato grande però anche noi, nel nostro piccolo,  abbiamo fatto il nostro dovere nel farvi capire che è stato grande”.

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