Il paesaggio sardo, variegato e prezioso, deve rimanere intatto: ripristinare quello deturpato.

di Giulio Angioni

Il paesaggio sardo, pur essendo un tipico paesaggio mediterraneo, ha anche sue peculiarità. Per struttura geologica, associazioni florofaunistiche e segni della storia umana, la varietà appare frantumare il paesaggio sardo, vero mosaico geo-bio-antropico. Ma come il mosaico in figura piena, anche il paesaggio sardo è percepibile nella sua unità. A parte le coste così nettamente segnate dal contatto col mare e dall’abbandono millenario fino a ieri, nelle sue linee maggiori geologiche, sebbene la Sardegna non sia "una montagna in mezzo al mare" come è stato detto della Corsica, l’unità del paesaggio sardo interno può essere vista innanzitutto come fatta dalle presenze unificanti di orizzonti larghi e piatti e dalle forme arrotondate, che all’occhio esterno dà molto la sensazione di ampiezze "continentali". L’unità dei paesaggi interni si deve certamente anche ai segni della preistoria come le migliaia di nuraghi in tutta l’isola, della storia, come le chiesette romaniche spesso solitarie, ma soprattutto si deve ai modi plurimillenari della presenza umana, dove dominano i segni della lunga durata delle due grandi attività della cerealicoltura e della pastorizia, più nel Sulcis l’altra grande attività tradizionale delle miniere fortemente strutturante quel paesaggio. Tralasciando effetti come l’azione dell’incendio estivo o del maestrale che piega tutto il piegabile a Sud-est, il paesaggio sardo interno può dirsi strutturato e formato dalle due grandi attività tradizionali millenarie della pastorizia mobile e brada e dell’agricoltura cerealicola estensiva asciutta. I paesaggi, anzi il paesaggio interno della Sardegna, senza forzare le cose nel senso di una individuazione sintetica e semplificata, può essere utilmente visto come un paesaggio agropastorale di tipo mediterraneo. L’agropastoralità di lunga durata caratterizza tutto il paesaggio, montano, collinare e di pianura, seppure la montagna da una parte si caratterizza come pastorale e la pianura e le colline, dall’altra parte, come cerealicole: la montagna per I pascoli permanenti e la collina e la pianura per I campi aperti, con una zona centro-occidentale più caratterizzata dalle chiusure con muretti a secco. L’insediamento umano unifica ulteriormente il paesaggio, generando l’accentramento degli abitati e il non popolamento della campagna: questa tendenza ha stabilizzato ovunque, nella montagna pastorale come nelle pianure, nelle colline e nelle valli cerealicole o di culture specializzate della vite e dell’olivo, un habitat accentrato e rado con distinzione netta tra abitato e disabitato. E il disabitato del salto è il tratto che dà più l’impressione di scarsa antropizzazione del paesaggio sardo, spesso detto selvaggio con accezioni di volta in volta positive o negative. L’architettura del paesaggio sardo interno qualificabile come agropastorale è anche il risultato della storia dei rapporti tra le due grandi attività plurimillenarie dell’allevamento soprattutto ovino e della cerealicoltura incentrata sul grano, cioè è anche o principalmente il risultato della necessità di coordinare e permettere la compresenza della cerealicoltura estensiva e della pastorizia mobile e brada, per esempio all’interno dei singoli agri attraverso il coordinamento tra vidazzone e paberile mediante la rotazione agraria comunitaria, e, nel grandi rapporti tra zone alte e zone medie e basse, tramite le regole e le usanze delle varie forme di mobilità, a cominciare con la transumanza dalla montagna ai piani. Nella misura in cui ciò è dappertutto più o meno constatabile dal punto di vista paesaggistico, e più in particolare dal punto di vista del paesaggio in quanto strutturato e variamente segnato dalle due grandi attività plurimillenarie, la Sardegna interna colpisce per il fenomeno delle grandi estensioni incolte ma che sono pascoli permanenti, dai campi aperti o chiusi da muricce, dagli insediamenti accentrati e dalle grandi estensioni che appaiono vuote e selvagge all’occhio esterno. Un Paesaggio, dunque, primordiale e selvaggio per lo sguardo esterno (oggi soprattutto turistico), ma molto carico di storia e di abitudini operative per gli indigeni e per chi lo sappia leggere. Dal punto di vista della pianificazione paesaggistica, ecco allora alcuni temi, sebbene ovvii e su cui anche qui mi sono altre volte soffermato, che appaiono importanti e preliminari: – che tipo di presenza operativa, e prima di tutto che tipo di attività agropastorale prevedere, promuovere, incentivare e magari recuperare nei grandi spazi a presenza umana debole della montagna oggi ancora prevalentemente pastorale e I grandi campi aperti di pianura e collina? – come comportarsi in pianificazione paesaggistica rispetto alla discontinuità netta tra grandi paesaggi operativi caratterizzati dai saltus disabitati e dai piccoli insediamenti accentrati? Mantenere o ristrutturare questa grande caratteristica storico-antropologica della discontinuità netta tra paese e salto, tra presenza operativa agropastorale debole o nulla (le grandi silenziose solitudini sarde) e presenza insediativa fortemente accentrata? – che fare delle grandi estensioni di pascoli permanenti, o incolti più o meno produttivi (posto che tutti ci poniamo facilmente il problema del che fare dei "boschi", tra l’altro non tutti nelle aree dei supramontes e da definire normativamente su misura sarda, della macchia, dei rimboschimenti e simili)? – che fare delle grandi estensioni dei campi aperti, posto che tutti si pongono facilmente il problema del che fare dei tipici chiusi sardo-mediterranei con muretti a secco?) – che fare, in genere e nei singoli casi, delle zone, quasi sempre costiere (Gallura, Nurra, Sulcis, Sarrabus, Arborea, Fertilia), a insediamento sparso e a volte appoderato che risulta in qualche modo "non caratteristico" rispetto ai grandi paesaggi agropastorali tradizionali e prevalenti? E più in generale, che significa, normativamente, la parola d’ordine del governatore Soru che suona: l’intatto dev’essere lasciato intatto, e dove e quanto possibile dev’essere ripristinato?

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Un commento

  1. Circolo "Su Nuraghe" di Parabiago

    Il circolo culturale sardo “Su Nuraghe” di Parabiago vi augura Buon Anno e Felice Anno Nuovo

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