I possibili siti per le famigerate centrali: Nucleare, monta la protesta

di Antonella Loi

 

Centrale nucleare dove ti metto? Il Ddl 1195 parla chiaro: entro sei mesi il governo dovrà fissare i paletti per l’avvio del piano nucleare tanto caro alla maggioranza di governo quanto impopolare fra gli italiani, tutt’altro che dissuasi che la strada sbarrata dal referendum del 1987 sia la soluzione per i gravi problemi energetici dell’Italia. Entro l’anno dunque dovranno essere emanati uno o più decreti legislativi di riassetto normativo "recanti la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare", cioè norme che stabiliscano i criteri di scelta dei siti sui quali nasceranno le nuove centrali e che verranno successivamente individuati e proposti dalle imprese energetiche che investono nel settore. Ma quella dell’atomo è una strada tutta in salita. A cominciare dall’indisponibilità degli enti territoriali ad ospitare i nuovi impianti di produzione di energia nucleare, passando per le difficoltà tecniche legate al territorio e per finire con i timori per la sicurezza che serpeggiano tra la popolazione.

L’individuazione dei siti

In attesa che i siti vengano individuati – nel frattempo tutti zitti e guai a far trapelare informazioni -, si rincorrono le ipotesi su quali possano essere i territori interessati. Alla luce degli studi già fatti e di quelli ufficiosi in corso emerge che i luoghi ideali sono quelli che rispondono a criteri base come il basso rischio sismico, la disponibilità d’acqua dolce e l’assenza di rischio idrogeologico. Uno studio del Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare, poi trasformato in Enea) del 1970, risultato dell’analisi di varie carte tematiche, e l’elaborazione GIS per la localizzazione del deposito nazionale per le scorie nucleari (realizzata dalla "task force" creata ad hoc del 1999-2000) danno buoni indizi per giungere all’individuazione dei siti "papabili".

Dal Piemonte alla Sardegna: ecco i siti "papabili"

Dai due studi messi a confronto con le carte sismiche da una ricerca dell’organizzazione ambientalista Greenpeace emerge che le localizzazioni sono sempre le stesse: diverse zone della Sardegna (la piana di Oristano, la zona di Pula a sud di Cagliari, il delta del Flumendosa nella costa sudorientale e il circondario di Capo Comino nei pressi di Siniscola), il Piemonte, il basso Salento, la Basilicata (in particolare Scanzano Ionico dove già si voleva realizzare il deposito unico nazionale per le scorie nucleari) e, dice Greenpeace, diverse aree costiere tra cui l’alto Lazio (dove vennero realizzati due reattori a Montalto di Castro). Ancora la Toscana e il delta del Po. Alcune aree sono state identificate anche nella Sicilia meridionale che, come è noto, presenta una delle maggiori sismicità del Paese.

Greenpeace: tutta l’Italia inadatta

Ma molte di queste zone – vedi i siti sardi – sono quasi annualmente interessati da fenomeni alluvionali per le piogge torrenziali. Queste aree dovranno quindi essere riconsiderate anche sulla base dei cambiamenti climatici e della disponibilità di acqua (la portata del Po per esempio è notevolmente diminuita negli ultimi decenni), senza contare – sottolinea Greenpeace – che anche le aree costiere sono da considerarsi zone a rischio per effetto dell’innalzamento dei mari. Una criticità questa, dice lo studio, che riguarda tutto lo Stivale: ecco perché l’Italia non è minimamente adatta ad ospitare centrali nucleari.

Centrali imposte

Ostacoli oggettivi davanti al governo, dunque, ai quali si aggiungono quelli di natura sociale e politica. Le regioni ad una ad una si sfilano e, tranne alcune porte socchiuse, solo portoni sprangati davanti alla svolta energetica del governo. Ad oggi, infatti, nessuna delle regioni interessate ha dato piena disponibilità, anche se la volontà degli enti territoriali è stata ridotta a pura consultazione da una decisione assunta dal legislatore che, lo scorso luglio, ha stabilito che il parere regionale non sarà vincolante laddove verrà contrapposto "l’interesse nazionale". Centrali nucleari fatte d’imperio dunque a prescindere dalla volontà popolare.

Il "no" siciliano

Messaggio chiaro, ma non per la Sicilia – ultima delle regioni vicine al governo a sbarrare la strada al nucleare – che assicura di essere pronta ad esercitare la sua "potestà legislativa esclusiva" in materia energetica. "Con tutto il rispetto per i tecnici del ministero delle Attività produttive – ha detto il governatore Lombardo -, abbiamo più volte ribadito le condizioni per la collocazione di centrali nucleari in Sicilia: assoluta sicurezza, notevole convenienza e pronuncia positiva delle popolazioni interessate". Fuori questione, quindi, come qualcuno ha paventato, l’ipotesi di conversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese in centrale nucleare.

Sardegna, Puglia e Piemonte si sfilano

E se la più grande delle isole italiane sceglie la via del referendum popolare, la Sardegna non sembra esser
e da meno. Almeno stando alle dichiarazioni del governatore "amico" Ugo Cappellacci che, all’indomani dell’elezione a capo di una coalizione di centrodestra, sulla sua pagina di Facebook aveva scritto: "Dovranno passare sul mio corpo". "No" netto dunque, rafforzato anche da un patto con il Partito sardo d’Azione che l’aveva preteso come condizione per l’alleanza elettorale. "Il presidente Berlusconi manterrà la promessa fatta", ha assicurato il governatore sardo nei giorni scorsi. Dall’altra regione indicata tra le "papabili", la Puglia, interviene Niki Vendola a sgombrare il campo dai dubbi sulla percorribilità di scelte energetiche diverse dalle rinnovabili: "Dovranno venire con i carri armati per imporre le centrali atomiche nella nostra regione". E così Mercedes Bresso, presidente del Piemonte, che ricorda come la sua regione si trovi a monte del Po: un eventuale incidente – sostiene la governatrice – comprometterebbe l’economia di tutta la Pianura padana. "Il Piemonte punta sulle energie rinnovabili", ha aggiunto
.

Formigoni e Galan aprono le porte

Un "no" categorico è arrivato anche da Vasco Errani: l’Emilia Romagna è già impegnata "ancora dopo molti anni" nella dismissione della centrale di Caorso, chiusa dopo il referendum dell”87. Come dire: abbiamo già dato. E così anche le regioni Lazio, Calabria e Toscana. Unici ad attendere gli eventi nucleari a braccia aperte, invece, sono Formigoni e Galan. Per il governatore della Lombardia (che cambia idea dopo le resistenze dimostrate in un primo momento) e per quello del Veneto (che attende però una dettagliata anamnesi tecnico-scientifica), protagonisti di un "patto" per il nucleare, "non ci sono pregiudizi".

Il primo problema: convincere gli italiani

Comunque vada i tempi saranno lunghi, anzi lunghissimi, prima che una decisione definitiva in tema di energia atomica possa essere presa. Perché le regioni, stando ad una ricerca dell’Eurispes dello scorso maggio, fanno solo il verso alla maggioranza della popolazione italiana che si dichiara contraria al ritorno al nucleare o ad ospitare un eventuale sito unico di stoccaggio delle scorie. Senza contare che anche una buona parte di chi si dichiara favorevole, lo sarebbe solo a condizione che gli impianti non vengano realizzati a casa propria. Insomma, nucleare sì ma non nel mio giardino.

L’allarme di Legambiente: scelta scellerata

Legambiente intanto affila la spada. "E’ una scelta scellerata – dice Giorgio Zampetti, responsabile scientifico dell’associazione ambientalista – tornare al nucleare non ha senso e il governo non sta dando adeguate informazioni ai cittadini, anzi è in atto un’opera di disinformazione. Manca il dibattito – ha precisato – che in questa fase è essenziale". Legambiente ha lanciato una petizione e una raccolta di firme contro la riapertura delle centrali nucleari e avviato una serie di incontri informativi e convegni, coinvolgendo scuole, università e comuni nel tentativo di creare una consapevolezza ambientale che, dice Zampetti, "è assolutamente incompatibile con la produzione di energia atomica".

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