Il "Su Nuraghe" di Biella in un convegno il 19 e 20 a Rocca Grimalda (AL)

di Battista Saiu e Gianni Cilocco

Un convegno a Rocca Grimalda per contribuire a incrementare gli archivi della tradizione al fine di "costituire granai di umanità che possano restituirci i gesti e le parole, i patrimoni dell’oralità, quali risorse indispensabili per affrontare le difficili transazioni che i tempi presenti ci prospettano". Verrà presentato il "caso dei Sardi di Biella", un’identità di origine, sposata con quella del territorio di adozione, entrambe alimentate da apporti culturali altri e diversi, che concorrono, entrambe, a mantenere l’identità del presente.

Sabato 19 e domenica 20 settembre 2009, a Rocca Grimalda, paesino sulla cresta delle colline ovadesi, in provincia di Alessandria, si terrà il XIV Convegno internazionale: 

"Reti di memoria: esperienze, archivi, patrimoni".

L’annuale incontro affronterà il tema dei patrimoni etno-antropologici. Nel corso delle due giornate di studio, si analizzeranno i più importanti e urgenti problemi connessi al riconoscimento, al recupero, all’archiviazione, alla catalogazione, alla redistribuzione critica e alla comunicazione dei saperi della tradizione.

Sostiene Piercarlo Grimaldi, coordinatore del Convegno:

Dopo diversi decenni di difficile e, a volte, non incoraggiante ricerca è oggi concretamente posibile affrontare questi problemi. Le più recenti tecnologie informatiche e multimediali permettono di ripensare in modo critico e originale ai problemi connessi alla conservazione e alla riappropriazione delle reti di memorie.

La memoria e l’oblio sono mirabilmente descritti nel celebre passo del X Libro delle Confessiones; Agostino da Ippona racconta che "una donna perse una dracma e la cercò con la lucerna e, non l’avrebbe trovata, se non ne avesse avuto il ricordo. Infatti, trovatala, come avrebbe saputo che era proprio la sua, se non ne avesse avuto il ricordo?"

(Perdiderat enim mulier dragmam et quaesivit eam cum lucerna et, nisi memor eius esset, non inveniret eam. Cum enim esset inventa, unde sciret utrum ipsa esset, si memor eius non esset?).

Attraverso la memoria, riconoscendo ciò che si era perduto, si accede alla conoscenza.

Nel suo Diario dell’anima, Agostino si allontana completamente dalla concezione aristotelica della memoria considerata il luogo delle immagini sensibili, puntualmente riaffioranti attraverso l’esercizio della reminiscenza.

Per il Vescovo africano, la memoria è lo spazio dell’interiorità soggettiva, dove, oltre alle immagini dei corpi, stanno la memoria dei numeri, dei principi primi del sapere e delle tensioni del profondo con cui tutti, necessariamente, andiamo alla ricerca della felicità: sapendo di non trovarla nei piaceri passeggeri della quotidianità, la invochiamo con tutto il nostro essere; la felicità, il pieno possesso del bene, coincide con la Verità, vale a dire la contentezza di stare bene nelle cose veramente buone.

Concetti antichi su cui l’uomo dibatte da sempre, attualizzati nel Novecento da Heidegger quando definisce la memoria "fonte di felicità". Una rivisitazione della tensione neoplatonica della ricerca dell’equilibrio tra l’Uno e il molteplice, nell’immutato tentativo di ricomporre la parte frantumata della tessera del "simbolo" diviso in due parti, nella continua tensione verso la ri-congiunzione perfetta.

In senso antropologico, le memorie, individuali o collettive, possono essere condivise da famiglie, gruppi, organizzazioni e altre comunità mnemoniche. Secondo  Ugo Fabietti,

non si tratta di un mero aggregato, una sommatoria di ricordi personali dei vari membri; la memoria collettiva di una comunità racchiude memorie condivise e, in quanto tale, essa evoca eventi di un passato comune.

Dalla continuità della memoria collettiva si giunge – attraverso la salvaguardia di una determinata cultura – al senso di identità, che consente di percepire il permanere di un sistema di valori, senza soluzione di continuità con il passato.

Per quanto riguarda il caso di Biella, si tratta di un’identità di origine, sposata con quella del territorio di adozione, entrambe alimentate da apporti culturali altri e diversi, che concorrono, entrambe, a mantenere l’identità del presente. Un fenomeno che, in parte razionalizzato pur verificandosi spontaneamente, è alla base dell’agire dei Sardo-piemontesi di Su Nuraghe di Biella.

Con sguardo attento al territorio d’elezione, la scelta delle iniziative di Su Nuraghe, tenendo conto della variegata presenza di cittadini di ogni etnia, uomini e donne di antica e recente migrazione, scopre come sia in atto un continuo e costante bisogno di appaesamento che arricchisce il territorio ospite. Ognuno offre ciò che possiede: nel caso degli emigrati, il meglio.

Capita allora che un negozio di prodotti regionali esponga un cartello che, in modo apparentemente contraddittorio, pubblicizza così le sue derrate:

Acciughe salate "siciliane" per bagna cauda "biellese"

Un valore aggiunto che incrementa oggettivamente la conservazione e la valorizzazione della cultura e dell’identità dell’altro, quella biellese, ben al di là dei quattrocento chilogrammi di acciughe vendute nella passata stagione invernale.

Battista Saiu

 

La conservazione vivente della tradizione in una realtà culturale piemontese di origine sarda

I cultori ed i pensatori delle scienze umane evidenziano spesso e volentieri come la conoscenza della storia significhi andare alla ricerca della propria identità: infatti il presente non è altro che il risultato di un susseguirsi di eventi e di comportamenti umani concatenati tra di loro talora dalla casualità o dall’inconsapevolezza dei protagonisti coinvolti, altre volte da scelte ponderate e preordinate degli uomini nel tempo. Un tipico esempio di suddetto asserto è facilmente verificabile nei fatti da una semplice osservazione di un monumento tipico del ricco passato della Sardegna, capace di coprire diversi millenni di storia: nelle Domus de Janas di Sant’Andrea Priu, in Bonorva, è possibile constatare come l’attuale sito archeologico – "museo a cielo aperto", abbia subito diverse trasformazioni funzionali nel tempo, passando da tomba o santuario-necropoli a chiesa cristiana, a ovile ed a rifugio umano occasionale.

L’attenzione per la memoria del passato, per le sue dinamiche e per le relative estrinsecazioni nel presente acquisisce poi una peculiarità esclusiva con riferimento agli studi di etnologia ed antropologia come evincibile, negli ultimi decenni, dal fenomeno di proliferazione, a riguardo, di discussioni e di dibattiti, di centri di cultura e di produzioni intellettuali: basti pensare che solo in Piemonte esistono circa 200 musei dedicati ai costumi ed alle tradizioni popolari del territorio. In tale filone si inserisce il Convegno Internazionale Etno-Antropologico dal titolo "Reti di Memoria – Esperienze, archivi, patrimoni" che si terrà a Rocca Grimalda (AL) il 19 ed il 20 Settembre p.v., cui il Circolo Culturale Sardo "Su Nuraghe" di Biella parteciperà nella persona del prof. Battista Saiu. Occasione importante che consentirà alla Comunità Sarda Biellese di fornire ed esporre a riguardo della Tradizione e della Memoria della Cultura Popolare un originale contributo ed alcune riflessioni non del tutto scontate su come diversi possano essere gli approcci dei soggetti coinvolti a riguardo, anche alla luce della proprie esperienze passate ed in atto tuttora nel territorio che ha dato i natali a personaggi come i Sella ed i La Marmora e che ospita il santuario eusebiano di N.S. di Oropa.

Spesso il mondo del folklore e quello della tradizione vengono presentati al pubblico in modo cristallizzato, quale rappresentazione di un tempo ormai passato e non più rispondente al presente, immutato ed immobile  come in una vecchia fotografia istantanea. In tale ottica i costumi e la cultura di una Comunità vengono messi in esposizione all’interno di mostre e musei, palesando così una sottesa coscienza nella quale, in sostanza, la Memoria e la rappresentazione della storia e delle identità che ne scaturiscono tendono ad evidenziarsi come estranei dall’attuale vita quotidiana delle persone, in quanto sussiste nella memoria della comunità umana una frattura profonda tra quello che è stato il passato e quanto è, invece, il presente. Altre volte, invece, il presente non trova una cesura rispetto al passato, ma al contrario ne è una evoluzione in cui la Tradizione ed i suoi caratteri contraddistintivi hanno continuato a vivere ed a trasformarsi: in tali circostanze gli studiosi sono soliti parlare di "reti di memoria", da cui il titolo del Convegno di Rocca Grimalda.

La ricerca all’interno della Cultura Popolare di suddetti filoni e legami tra presente e passato non sempre appare agevole anche agli osservatori più esperti a causa della complessità dei fenomeni e delle dinamiche in azione, all’interno del quale gli archetipi, le tracce e gli aspetti del Passato e della Memoria, infatti, possono presentarsi mimetizzati o possono evolversi come veri e propri "fiumi carsici" che improvvisamente riaffiorano in superficie. Tuttavia, come evidenziato da diversi intellettuali, tra i quali si ricorda lo scrittore piemontese Cesare Pavese che fa le proprie considerazioni con riferimento al mondo della lettura, gli uomini tendono a riconoscere come propri quegli aspetti della realtà già appartenenti al personale background culturale: di conseguenza nella Tradizione le reti di memoria sono riconoscibili, consapevolmente o meno, dai soggetti osservatori che, in qualche modo, sono ancora custodi di un patrimonio culturale-popolare di appartenenza, o da quanti, pur non appartenendo ad una certa identità o ad una determinata comunità, sono esperti o studiosi di codici di lettura del linguaggio simbolico e folklorico-tradizionale. In queste dinamiche fenomeniche occorre considerare anche il ruolo contributivo di quanto può essere definito "esotico" rispetto ad una Tradizione, in quanto sorta di novità più o meno avulsa, almeno in apparenza e con diversi gradi di evidenza, a seconda dei casi, a quanto appartenente ad un determinato contesto culturale-popolare. L’esoticità di un determinato apporto od oggetto, in questo ambito di studio, è tale, quindi, ove non appare riconoscibile alcun elemento di contatto con la Memoria di una certa Comunità; tuttavia, in presenza di una seppur minima rete di memoria, che può consistere anche in un punto di contatto con un certo archetipo del linguaggio universale dei simboli, ed, al contempo, in presenza di almeno una minima ripetitività di comportamenti o di fenomeni a riguardo, fatto che testimonia un accogliere o una sorta di accettazione di un determinato quid, o un riconoscimento di appartenenza di determinati valori, dinamiche e fatti ad un dato "mondo" culturale,  ciò che è avulso ed esotico può diventare nel tempo, a sua volta, parte della Tradizione.

Tutti i citati aspetti paiono tanto più evidenziarsi nel mondo dell’emigrazione, ove i soggetti "stranieri", giunti in una terra estranea ed assai diversa e lontana dalla propria Madre Patria, sentono un bisogno, quasi "viscerale", di conservare un "ponte" con la propria terra e cultura di origine al fine di definire una propria sicurezza esistenziale che risponde alle domande "Chi sono? Dove sono ed a che punto sono? Da dove vengo?". Tale bisogno di identità pare delinearsi tanto più profondo col passare del tempo e d
elle generazioni, quando oltre alla distanza territoriale dalle Comunità di origine, si aggiunge il flusso del tempo, delle esperienze affrontate e degli eventi, fatti che comportano una vera e propria trasformazione nei modi di essere dei soggetti: spesso, infatti, le persone coinvolte e "sradicate" dai luoghi di provenienza, anche a distanza di anni, non risultano più completamente appartenenti al contesto originario ed, allo stesso tempo, non sono ancora totalmente inserite nel nuovo ambito ove sono venute ad abitare o ad essere ospitate. In tale situazione l’immigrato, con la propria discendenza, tende ad essere un nuovo soggetto, terzo sia  rispetto alla Comunità di origine sia  in relazione a quella di arrivo e di vita attuale e, in tale prospettiva, si palesa in una quasi "affannosa" ricerca di una propria identità. In tale quadro due sono i possibili atteggiamenti dei soggetti "senza terra" in riferimento al proprio essere: l’evoluzione nell’integrazione od una illusoria ed impermeabile custodia e conservazione nella propria cultura di appartenenza. Infatti, da una parte, è evidenziabile una condotta di sostanziale chiusura, quasi ostinata, verso l’esterno, con una sorta di cristallizzazione temporale e di auto – "ghettizzazione" nei confronti delle Comunità e dei territori che danno ospitalità, più o meno parziale o completa a seconda dei casi. Emblematici esempi di tale considerazione sono rintracciabili nella storia di Sardegna con riferimento alla Comunità Catalana di Alghero o dei Tabarchini di Calasetta per ciò che concerne le parlate e gli idiomi utilizzati dalle popolazioni locali nei relativi siti: in tali esperienze è riscontrabile la conservazione di un lessico riconducibile a quello della terra di origine del tempo della partenza; ma a ben vedere si tratta di una realtà linguistica nuova e terza rispetto a quella riscontrabile attualmente nella propria Madre – Patria, in quanto ivi, col passare del tempo, si è assistito ad una trasformazione della lingua evidenziata dalla diversità delle parlate odierne rintracciabili rispettivamente in Catalogna ed in Liguria. Similmente è avvenuto per altri aspetti del Costume, come nel caso delle tematiche di taluni canti tradizionali degli immigrati Italiani in Argentina e negli Stati Uniti, o per quanto avvenuto, con riferimento alle feste tradizionali, nel caso, citabile a titolo esemplificativo, delle comunità britanniche sparse per il mondo, ove, sulla base di recenti studi antropologici, si evidenziano strette connessioni tra antiche raffigurazioni pre-cristiane in Irlanda e celebrazioni della cd. "moglie di San Patrizio" rintracciabili presso le relative comunità di immigrati in Australia. Altre volte, come in precedenza accennato, la soluzione adottata dall’immigrato può essere, invece, quella dell’integrazione nella realtà di arrivo, ove si apporta comunque un proprio specifico originale contributo ed apporto presso la cultura ospitante, lungo un’ottica di sostanziale conservazione dei propri costumi nell’evoluzione dei fatti e del tempo.

Emblematico è l’esempio rintracciabile in più luoghi ove si propone l’utilizzo di ingredienti "esotici" per la preparazione di piatti caratteristici della cultura culinaria locale, come nel caso delle Acciughe Siciliane per la cd. Bagna Cauda Piemontese o l’utilizzo di vini del territorio in accompagnamento a pietanze tipiche della Tradizione immigrante.

Simili comportamenti ed atteggiamenti sono rintracciabili in varie forme anche con riferimento alle diverse esperienze della cultura della Sardegna. Alcuni studi storico – semiotici, ad esempio, hanno di recente teorizzato l’elevata probabilità che la bandiera dei Quattro Mori, ipotetico desueto vessillo guerriero di origine iberica, sia diventata l’emblema dei Sardi attraverso una scelta di recupero dei simboli da parte dei catalani sardizzati di Cagliari nel ‘500, soggetti in cerca di identità in quanto all’epoca non più del tutto catalani ma nemmeno ancora sardi. Gruppi canori sardi hanno introdotto, a partire dagli Anni Ottanta del secolo appena trascorso, l’uso di percussioni, del tutto "esotiche", nella musica tradizionale. I cantori ed i poeti improvvisatori in limba fanno oggi uso di canoni musicali e sistemi metrici della Tradizione per tematiche del tutto nuove e di attualità rispetto alla cultura storica del territorio sardo. Le maschere del Carnevale barbaricino, talora scomparse nell’oblio della memoria, risorgono oggi ad accompagnare le manifestazioni dei giorni nostri in un contesto del tutto avulso dalla cultura agro – pastorale di origine. Produzioni dell’artigianato sardo, tessile e non, presentate in mostra a Samugheo nel mese di Agosto 2009, sono state proposte secondo modelli ed in un’ottica di utilizzabilità nell’attuale vita quotidiana.

Al di fuori dell’Isola particolare attenzione e forte interesse presso gli etnologi, gli antropologi ed i cultori dello studio dei fenomeni folklorici suscita la Città di Biella con le manifestazioni proposte dalla Comunità Sarda che fa capo al Circolo Culturale "Su Nuraghe. In esse si propone cultura ed, al contempo, si attualizza la Tradizione sarda, sposandola con quella piemontese, attraverso la ricerca nelle reciproche reti di memoria, di volta in volta scoperte e analizzate, di punti di incontro e di contatto con la cultura locale, dando così luogo ad una ri-proposizione vissuta nel presente di una nuova forma delle precedenti Tradizioni popolari. Varie sono, a riguardo, le menzionabili recenti esperienze e manifestazioni aventi queste caratteristiche nel territorio biellese. A mero titolo esemplificativo si ricorda che nel mese di Giugno 2007 è stata realizzata nelle vie del capoluogo di provincia una edizione della Sartigliedda che ha richiamato in città oltre 20 mila persone da tutto il Piemonte e che ha avuto come punti centrali e unificanti il momento della Celebrazione eucaristica, come annunciato dagli Avvisi sacri apposti nei mesi antecedenti nelle chiese di tutte le chiese parrocchiali delle diocesi piemontesi, nonché la presenza dello stesso Vescovo di Biella a presiedere la giostra equestre.

Si ricorda poi l’edificazione dell’area monumentale di Nuraghe Chervu a Biella, che diverse reazioni a favore e contro ha suscitato nell’opinione pubblica locale: per quanto, in apparenza, tale realizzazione si sia presentata come fenomeno avulso ed eccentrico, a primo acchito, alla cultura del territorio, la costruzione è stata operata con l’intento di avvicinare le comunità sarda e piemontese attraverso la celebrazione dei Caduti della Grande Guerra, attraverso la scelta di usare pietre piemontesi della cava di Curino per una tipica forma sarda da una parte e, dall’altra, scegliendo per il monumento elementi e significati simbolici, in primis la sacralità del luogo, riconosciuta come tale e propria da persone che testimoniano di sentire il bisogno di farsi il Segno di Croce cristiano alla vista del complesso citato; durante le celebrazioni presso Nuraghe Chervu viene poi fatto, inoltre, uso rituale della riproduzione di una spada votiva nuragica, simbolo sacro pre-cristiano riconosciuto come tale e ricollocabile con funzioni analoghe dalle Autorità Ecclesiastiche attraverso l’apposizione della re
lativa immagine negli Avvisi sacri della Basilica di San Sebastiano; a quanto sopra occorre fare menzione pure dell’introduzione della benedizione col grano realizzato dalle donne del Circolo Su Nuraghe nel corso delle manifestazioni, ritualismo che viene proposto al di fuori del tradizionale contesto delle nozze in Sardegna e riscontrabile anche in talune esperienze civili tenutesi sull’Isola negli anni scorsi come nel caso della testimonianza di una benedizione del grano durante un concerto del Coro di Florinas, alla presnza del Coro Brucina di Biella, ospite della corale isolana.  Si ricordano ancora l’iniziativa dei Nenneres piemontesi per la Pasqua 2009, esperienza accolta con successo dai fedeli biellesi dopo la proposta diffusa dal giornale diocesano "Il Biellese", in tutto il territorio della Diocesi di Biella; nonché l’uso nella corrispondenza sociale del Circolo Su Nuraghe di valori bollati inerenti a celebrazioni filateliche di aspetti ed eventi della storia della Sardegna; ed ancora l’allestimento di mostre fotografiche e la redazione di libri in argomento sugli impresari e sui fotografi biellesi in Sardegna e sul sistema vestimentario piemontese, lungo il filone della ricerca di punti di contatto con la relativa produzione tradizionale sarda.

Dall’osservazione di tutte le suddette esperienze si può affermare come sia evidente che la Memoria continui, così, sostanzialmente, ad esistere: infatti, la Tradizione viene proposta per essere conservata in un’ottica di nuova ri-funzionalizzazione e non di pura e sterile conservazione immutabile. In tal modo viene reso così proprio e consueto un qualcosa che già di per sé è immanente nei costumi delle popolazioni del territorio, in quanto vengono riconosciuti e rintracciati valori in qualche modo sottesi o già appartenenti alla cultura dei soggetti coinvolti. In tale modo, scegliendo di fare propri determinati aspetti e valori tradizionali, pur adattandoli al contesto del presente, li si rende viventi ed attuali. In sostanza si realizza un innesto nella cultura locale, fatto che diviene o può tramutarsi in endemico e proprio di un certo ambito etnico-territoriale nel tempo, analogamente a quanto avvenuto con piante e vegetazione sarde, quali sughere, roverelle e lecci, trapiantate episodicamente, come indicato da varie testimonianze documentate, nelle colline della Serra e nell’alta Valle del Cervo in genere dagli immigrati.

Il prodotto finale che ne scaturisce è una realtà culturale piemontese di origine sarda. Si viene ad evidenziare, così, come il concetto di identità, secondo un linguaggio riconducibile al pensatore contemporaneo Zygmunt Bauman, sia un’idea non statica ma dinamica, quasi "liquida", temporanea, soggetta a continua evoluzione, in quanto influenzata o sempre potenzialmente influenzabile, oltre che dalle sopra citate eventuali distanze dal contesto dello spazio e nel tempo di origine, anche da ulteriori elementi di provenienza "esotica", secondo la valenza suddetta, rispetto a quanto relativo alla Memoria di appartenenza.

Gianni Cilloco

 

 

 

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