Cinema "made in Sardinia" a Milano: Enrico Pau e il suo "Jimmy della collina"

di Sergio Portas

Pare che ogni anno in Italia vengano girati circa 150 film, di questi solo 90 trovano sbocco nei normali circuiti cinematografici. Che fine facciano gli altri non mi è dato sapere, quale sia la trama sottesa a tanto spreco è pure difficile da capire. I critici parlano di cattiva distribuzione, di mercato drogato in mano ai "soliti noti". Mi pare di supporre che sia un poco come nei libri, uno se lo scrive il suo romanzo, si paga le spese di pubblicazione e poi tenta di venderlo. Ma quanti libri arrivano davvero nelle librerie italiane? E quanti film arrivano a vedere almeno una programmazione in un cinema di prima visione? Qui a Milano i cinema non-multisala sono rimasti solo quattro: il cinema "Mexico" cerca di pescare in quel mare morto che sono le pellicole "di qualità" e qualche volta ci riesce pure. A giugno è un anno esatto che "Il vento fa il suo giro" viene continuamente proiettato con costante favore di pubblico, che accorre unicamente spinto dal "passaparola" di quelli che già sono andati a vederlo. Bene, ora i dirigenti del Mexico ci riprovano, programmando un mese di proiezione per il film di Enrico Pau: "Jimmy della collina". E’ tratto da un romanzo breve di Massimo Carlotto, lo scrittore di noir che ha scelto Cagliari a sua residenza. Qui il regista, cagliaritano di nascita, lo ha incontrato , si è innamorato dello scritto e ne ha tratto la sceneggiatura per questo suo secondo lungometraggio (il primo fu quello incentrato nel mondo dei dei pugili : pesi leggeri). Questa sera è presente in sala  e dopo la proiezione risponde alle domande del pubblico, ci sono molti sardi, la FASI di Tonino Mulas e il Circolo culturale sardo di Milano offrono pabassini e Giogantinu ai presenti tutti. Sarà che venivo dalla proiezione (al circolo suddetto) di un altro film ambientato in Sardegna: "Le ragioni dell’aragosta", che Sabina Guzzanti ha girato nel Sinis di "Su Pallosu", in cui l’isola si presenta nella consueta veste  ornata di sole mediterraneo e di palme verdeggianti, sarà che il film aragostano è decisamente comico e spensierato, pur mantenendo  un fondo soffuso di ricerca di quella tensione sociale tanto cara alla Guzzanti, sia come sia "Jimmy" per me è stato troppo. Ambientato tra Sarroch, la sua incombente mostruosa raffineria morattiana male dimensionata rispetto al territorio circostante, e gli altri paesini che gli fanno da contorno, anche la Sardegna scelta a sfondo (naturalmente a ragione) è quanto di più alieno dal mio pensare l’isola natia. Del resto il romanzo è ambientato nella periferia bolognese. Ma importa poco visto che la storia è un’intima disanima della psicologia di un quasi diciottenne, che è sardo ma potrebbe essere benissimo francese piuttosto che ungherese. Non ci sta ad andare a lavorare "nella chimica" come il padre e il fratello Jimmy, tenta la scorciatoia dei soldi facili con una rapina e viene preso. Tre ani di riformatorio, poi in comunità: la Collina del film. Qui un prete illuminato e una serie di volontari gli tendono più che una mano. Ma nella testa del ragazzo c’è altro, la fuga in Messico, inteso naturalmente come paese "mito", non che lui del Messico sappia alcunché. La libertà da tutto e tutti. Del resto dalla famiglia non gli arrivano che messaggi di vergogna, di dispiacere. Eppure ha persino una ragazza che gli vuole bene, e che lavora anche. E lui è proprio un bel "figo". Ma come dice poi il regista, che di mestiere (quello che gli permette di mangiare tutti i giorni) fa l’insegnante di lettere  in un istituto professionale, di questi ragazzi disperati nell’animo se ne incontrano sempre di più. E sempre più è difficile con loro avere una qualche interlocuzione, non si dice capire cosa abbiano veramente intesta, che questa è davvero impresa disperata. Jimmy scappa dalla collina, si fa fregare i pochi soldi che aveva in tasca da uno più cattivo di lui che per sovrapprezzo lo pesta bene bene,  e alla fine lo vediamo, naso sanguinante, che si affaccia su di un dirupo che evidentemente lo affascina, lo attira. E qui la pellicola termina e lascia agli spettatori di immaginarsi il finale che vogliono. A me verrebbe da dargli una pedata nel sedere e di fargli fare un bel ruzzolone, non dico di rompersi la testa. Perché mi sembra troppo introverso, troppo statico nella sua negatività. Troppo sordo alle voci amiche che pure, in fondo, lo circondano di bene. Di bene che niente vuole in cambio, quello dei volontari della "Collina", persino di qualche ragazzo che con lui sconta la pena nel carcere minorile. A tutti Jimmy sembra dire ( lo fa nel film): "Hai rotto il cazzo…". Tutto e tutti glielo hanno rotto. Lo dico a Pau: "Hai lasciato la scuola troppo presto, mi fa lui, se no ne avresti incontrati a bizzeffe".  Nei miei 35 anni di insegnamento neanche uno. Avrà ragione Carlotto, che ha scritto il romanzo, e lui viene da un’esperienza di vita segnata da una violenza tanto più cruda quanto insensata, che giocoforza lo ha segnato per sempre. Ma questo rifiuto aprioristico di ogni espressione della realtà che ci circonda non mi convince per nulla. E’ una professione di nichilismo esibito ad avverare una previsione negativa di un futuro che non può essere corretto, né tanto meno disegnato in maniera autonoma.  Quest’estate a Milano hanno proiettato:"Tutto torna" di un altro Enrico cagliaritano: che di cognome fa Pitzianti. Anche qui c’è un ragazzo che da un paese interno della Sardegna se ne va a Cagliari per lavorare nel locale notturno gestito dallo zio. Questo Massimo sogna (almeno lui ha un sogno "vero") di diventare scrittore. Trova una  Cagliari moderna, multirazziale, si imbatte in un cenacolo di artisti che lavorano con materiali riciclati. La palazzina tipica della Marina dove vive con lo zio e i coinquilini con l’accento cagliaritano che ben conoscete dà un tocco di sardità che pervade tutto il film. Anche a ‘sto ragazzo rompono il naso con una testata per rubargli i soldi eppure, alla fine, tenta davvero la via del mare verso una Barcellona che promette un lavoro e una speranza fattibile. Silvana Silvestri sul "Manifesto" scrive di un tono del film che ha un che di commedia amara. Un tono inedito nel nostro cinema così ridanciano che non ha niente a che fare con un tipo di cinema regionale. Singolare che anche il terzo film "sardo" uscito quest’anno, il "Sonetaula" di Salvatore Mereu abbia un adolescente a protagonista. E comunque significativo che questi tre registi siano riusciti a trovare i finanziamenti per produrre i loro film, anche in un clima di scarsità crescente come quello che stiamo attraversando. Ma pare che la"nouvelle vague" sarda sia più forte della cattiva congiuntura. In scia di quella letteratura che fa nascere libri di autori che durano, che rimangono nelle vetrine delle librerie, e vendono copie. Vincono premi a carattere nazionale. E’ in tempi di globalizzazione che si riscoprono le radici che hanno senso, questo vento caldo di cultura che spira dalla Sardegna nostra ha un profumo così intenso di mirto e lentischio che ti fa innamorare anche d’inverno.

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