Franco Fontana, Sveva Taverna e Paolo Bianchi: a Milano, scatti inediti di una Sardegna diversa

di Paola Bacchiddu *

Quanti volti può apparecchiare una bella signora, dietro l’obiettivo? Le declinazioni del trucco fotografico ci restituiscono l’immagine di una Sardegna assai lontana dalle bellurie della Costa Smeralda. Niente paillettes, né toni gridati. Concorrono, a ricomporre la reale natura dell’isola, quarantacinque scatti – rigorosamente inediti – in cui paesaggi, volti, riti s’impigliano. Il maestro Franco Fontana guida la mano di due giovani talenti della scuderia artistica sarda, setacciati dalla laboriosa selezione della Sovrintendenza isolana: Paolo Bianchi – nuorese, già di scena in Sonetàula di Salvatore Mereu – e Sveva Taverna, cimentatasi nei lavori per il teatro Palladium di Roma. Diamanti grezzi che oggi scintillano nell’esposizione Sardegna, un altro pianeta, appena scesa dalla giostra tutta italiana (Ravenna, Roma, Treviso le altre tappe toccate) per scivolare all’Umanitaria di Milano, scaldando i chiostri della sede con le danze isolane e i sapori della gastronomia locale. Un buon lavoro di squadra con la rete del Man di Nuoro (Cristiana Collu in testa), il patrocinio della Regione Sardegna (assessorato al Turismo), la cura nella stampa del fotografo Marcello Serra. Tre angoli visuali in cui appostarsi per sbirciare l’isola che danza il suo ballo a più veli, come una Salomè contemporanea. Gli occhi bistrati di radici che solo le sarde. Braccia che si prestano al rito della morra, nel cuore di paesi che la carta geografica sembra aver scordato. La grazia che accende la mano maschile nel racconciare il velo di un costume, sul volto muliebre, durante un’esibizione in un piccolo centro. La luce che accende gli occhi bambini fino a spegnersi tra le grinze di un viso anziano. Sveva Taverna li interpreta così, i suoi scatti sardi in analogico, stampati in bianco e nero. Per poi cedere il mirino alla tecnica tutta maschile di Bianchi, in cui la dolcezza si irrigidisce nel digitale a colori con cui cattura mezzi busti, maschere, riti regalati dalla tradizione. La macchina restituisce veri ritratti contemporanei in cui il protagonismo dell’immagine centrale dà polvere alle quinte di sfondo, allontanate grazie alla sovrapposizione della stessa istantanea (potere della tecnologia) e a un laborioso lavoro di rielaborazione al pc. Bianchi dà una mano di vernice alle sclerotizzate oleografie di Barbagia e Ogliastra cui il folklore ci ha abituato. Irgoli, Aritzo vengono rivisitate. La fierezza occhieggia dietro a cappucci e campanacci, cornice a visi cupi e sporcati dal carbone. Poi lo sguardo callido di Fontana, che naviga a barra dritta lungo le curve dei paesaggi, corregge il tiro all’intera antologica. Foto in cui l’orizzonte si apre per introdurre dentro a campagne di erba bionda e sole. I cieli rassicurano con l’azzurro consueto, Cagliari mostra lo skyline fatto di stagno, mare e i contorni quasi di cartone dell’edilizia urbana. Vittoria Cappelli – già produttrice di format televisivi in cui la cultura fa rima col tubo catodico (come Passepartout di Daverio, su Raitre) si è innamorata prima dell’abito appariscente della Costa Smeralda, per poi rimanere stregata dalla poesia asciutta che compone l’interno dell’isola, quasi un regalo a chi costringe la pigrizia a spostarsi più in là. Così, ha prodotto volentieri la mostra (dopo precedenti collaborazioni con la Regione) fino a farla volare perfino a Londra, in un evento ritagliato dentro a un circolo della magistratura anglosassone. Chissà cosa devono aver pensato, gli austeri togati british, di fronte a questa terra così mobile, come solo le donne sanno essere.

 

* Unione Sarda

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