La crisi economica sarda: nell'isola manca un modello concreto di sviluppo

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Che l’economia sarda non goda di buona salute non è certo una novità, soprattutto oggi che siamo nel bel mezzo di una recessione globale che sta mettendo alle corde l’intera economia mondiale. A prima vista, perciò, sembrerebbe fuori luogo parlare in questo momento di rilancio del nostro sistema produttivo e più opportuno aspettare tempi migliori, quando la ripresa si sarà consolidata. Tuttavia, una delle regolarità statistiche riscontrate in passato, è che proprio nei momenti di crisi si possono gettare le basi della ripresa e trovare la soluzione a problemi che in tempi normali non si riesce ad affrontare, presi come si è dalla gestione delle attività quotidiane. Il punto da cui partire è che la Sardegna non ha più un suo modello di sviluppo, ammesso che in passato lo abbia avuto col processo di industrializzazione, sviluppatosi prevalentemente nei settori pesanti (chimica e minero-metallurgia). Il primo Piano di Rinascita ha accompagnato quel processo, anche se originariamente esso era stato pensato più a favore delle attività agricole tradizionali che non per accompagnare la crescita del settore industriale. Tuttavia, la fortuna del modello di industrializzazione degli anni ’60 sino alla prima metà degli anni ’70 fu dovuta soprattutto alla lungimiranza della classe politica di allora, che riuscì a trasformare un intervento di ammodernamento del settore agricolo in un vero e proprio piano di sviluppo economico globale per l’intera Isola e che nella realizzazione di tale progetto riuscì a coinvolgere la maggioranza della popolazione isolana. Oggi ci vorrebbe un nuovo Piano di Rinascita su cui riaggregare il consenso dei sardi. Un piano, beninteso, non solo strumentale alla gestione delle risorse che ancora lo Stato vorrà mettere a disposizione nell’ambito del futuro sistema di federalismo fiscale, ma anche in grado di selezionare una nuova classe politica capace di ridare fiducia e mobilitare il consenso intorno a un progetto chiaro e comprensibile al cittadino comune. I punti su cui fare leva non mancano. Abbiamo un settore turistico che da solo tira come il motore di una Ferrari, ma che oggi è in panne per le politiche sbagliate di gestione del territorio, che hanno bloccato in modo indiscriminato le attività produttive. Certamente il territorio e l’ambiente naturale vanno salvaguardati (ci mancherebbe!), perché per noi sono come la gallina dalle uova d’oro, ma bisogna pur fare in modo che queste ultime siano prodotte. Altrimenti si tratta di un blocco per incapacità di governo. Occorrerà poi dare una soluzione efficiente al problema dei servizi, dalle infrastrutture ai trasporti, dall’acqua all’energia. Si può inoltre aiutare a crescere la piccola e media impresa, soprattutto nell’industria manifatturiera, anche con gli incentivi fiscali che sarà possibile erogare nel futuro sistema di federalismo fiscale. Con lo stesso sistema, infine, si possono mettere le basi per attirare capitali d’investimento dall’esterno (modello irlandese) e impegnare il bilancio regionale, una volta depurato dalle entrate fasulle per crediti futuri, per promuovere una politica fiscale davvero funzionale allo sviluppo economico regionale.

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