FRA I GRANDI MUSICISTI ITALIANI: LA CREATIVITA’ DI ENNIO PORRINO TRA LE VICENDE POLITICHE E CULTURALI IN EPOCA FASCISTA

Ennio Porrino

Ennio Porrino nato a Cagliari il 20 gennaio 1910, da Clemente e da Dolores Onnis, era figlio unico. Insomma sardo di madre, e in Sardegna a dire il vero ci ha anche vissuto pochissimo. Ma il suo attaccamento alle Sardegna e alle sue tradizioni non lo ha mai abbandonato neanche nel momento della sua più alta adesione al fascismo.

Secondo il musicologo Felix Karlinger, egli fu il maggior musicista in Italia dopo Giacomo Puccini, mentre l’enciclopedia musicale tedesca Musik in Geschichte und Gegenwart ricorda che l’opera I Shardana (1959) venne acclamata dalla critica come la più importante in Italia dal dopoguerra.

Il padre, un impiegato del ministero delle Finanze arrivato per lavoro nel 1907 in Sardegna, dove aveva conosciuto Dolores, nel 1912 fu trasferito a Caserta, poi in Toscana (Castel del Piano, Pietrasanta, Pisa) e infine a La Spezia, dove la famiglia Porrino rimase sino al 1927, anno del definitivo trasferimento a Roma.

A Roma fu allievo di Cesare Dobici e Giuseppe Mulè, diplomandosi in composizione nel 1932 al Conservatorio di S. Cecilia.

Nello stesso anno cominciò a frequentare il corso triennale di perfezionamento del famoso Ottorino Respighi, dal quale fu profondamente influenzato. Nel 1936 fu incaricato dell’insegnamento di armonia e contrappunto al Conservatorio di S. Cecilia, ottenendo la nomina ‘per chiara fama’ nel 1939.

Nel 1943 fu dichiarato decaduto dal ruolo nel Conservatorio romano e, in seguito a un concorso, fu nominato titolare della cattedra di contrappunto, fuga e composizione nel Conservatorio di Palermo ma, visto che la Sicilia era in mano agli alleati, fu trasferito a Napoli dove peraltro, per le stesse ragioni, fu impossibilitato a prendere servizio.

Fu epurato in seguito al regio decreto-legge del 28 dicembre 1943 (Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato […] e delle Aziende private esercenti pubblici servizi o di interesse nazionale) e comandato al Conservatorio di Venezia. Ma anche lì non poté prendere servizio, e dopo la sua adesione alla Repubblica sociale italiana (RSI) fu impiegato presso la Direzione generale per il teatro del ministero della Cultura popolare e utilizzato come autore delle musiche per numerosi film prodotti a Venezia dalla RSI.

Alla fine della guerra subì una nuova epurazione, questa volta per la sua adesione alla RSI: Porrino fu dispensato dal servizio e la sua nomina per chiara fama fu annullata da un decreto ministeriale, con effetto dall’8 giugno 1945.

In seguito all’amnistia del 1946, fu nominato prima bibliotecario e, dal 1947, titolare della cattedra di contrappunto, fuga e composizione nel Conservatorio di Napoli. Nel 1949 fu nuovamente trasferito al Conservatorio di Roma, dove nel 1951 divenne titolare del corso di composizione.

Nel 1956 sposò Màlgari Onnis, dalla quale l’anno successivo ebbe la figlia Stefania, e fu incaricato della direzione del Conservatorio di Cagliari, che comportava anche la direzione artistica dell’annessa Istituzione dei concerti. Accanto all’attività di compositore, iniziata fin da ragazzo ma diventata pubblica all’inizio degli anni Trenta, e di critico musicale, a partire dal 1944 (ossia dalla prima esecuzione dei suoi Canti di stagione al teatro Lirico di Milano) Porrino esercitò anche con una certa continuità quella di direttore d’orchestra, eseguendo prevalentemente lavori suoi.

Morì a Roma il 25 settembre 1959, in seguito a un’encefalite.

La musica di Ennio Porrino

L’esperienza musicale di Porrino va inquadrata nelle vicende politiche e culturali dell’Italia fascista, almeno dal 1932, anno della prima esecuzione di Traccas, per canto e pianoforte, e del Manifesto antimodernista, pubblicato sul Corriere della sera il 17 dicembre, che vedeva tra i suoi firmatari i due più importanti maestri di Porrino, Respighi e Mulè. Porrino non soltanto militò apertamente con gli antimodernisti, ma anche fra gli allievi di Respighi fu dei più decisamente ostili a qualsiasi innovazione. Come dimostrano i suoi numerosi scritti – nessuno di essi fu pubblicato in riviste musicali – Porrino si schierò contro le idee di importazione straniera, i movimenti estremistici antiromantici, il neoclassicismo e la dodecafonia, facendo suo il precetto mussoliniano dell’«andare verso il popolo». Illuminante in tal senso la relazione svolta nel III Congresso nazionale dei musicisti (Cagliari, 13-14 ottobre 1937), Il problema della musica popolare e della musica dotta, nella quale auspicava, fra l’altro, che il Sindacato nazionale fascista dei musicisti prendesse misure draconiane e accentrasse la vigilanza sulle manifestazioni musicali e le produzioni teatrali; seppur velatamente, invocava inoltre che il ministero della Cultura popolare e la Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti adottassero i provvedimenti presi dal governo nazista nei confronti dell’‘arte degenerata’ (cfr. Turba, 2015, pp. 127-129).

Era un intervento invero estremistico anche nel quadro della politica musicale fascista, tanto che il giovane Porrino fu per questo ‘sanzionato’ con la soppressione dal programma concertistico del Congresso delle sue Tre canzoni italiane, sostituite da ‘musica straniera’. «Non ci capisco più nulla», ammise Porrino: «Noi giovani crediamo di seguire le linee tracciate dal Duce e di difendere l’arte nostra e ci sentiamo invece rispondere che non son quelle le direttive, che certi argomenti non vanno trattati, che ci vuol prudenza, ed altri fervorini del genere, con punizione finale!» (E. Porrino, Battaglie musicali, in Perseo, 15 novembre 1937).

Si trattò di un episodio isolato, perché Porrino mantenne un ruolo di primo piano nel mondo musicale fascista, ottenendo fra l’altro da Benito Mussolini sovvenzioni dirette e «sotto banco» (Nicolodi, 1984, p. 263) nonché l’interessamento perché i suoi lavori già composti ed eseguiti proseguissero «il loro giro» (p. 445). Porrino rimase fedele al fascismo sino alla fine e aderì alla RSI, per la quale scrisse la Marcia del volontario, come richiesto da un bando del 13 gennaio 1944 firmato dal presidente della Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti (cfr. Le malefatte del fascismo nel campo musicale, in Rivista musicale italiana XLVIII (1946), p. 87).

La produzione di Porrino seguì due direzioni: la prima, quella dell’invenzione diretta, legata alla tradizione melodica e influenzata dagli stilemi del melodramma ottocentesco e verista; l’altra, basata sulla rielaborazione del patrimonio della musica popolare della Sardegna. Appartengono a questo secondo filone le sue opere più efficaci, in primo luogo il poema sinfonico Sardegna (1933), evidente omaggio a Respighi e alle sue partiture più acclamate. Vi si trovano le migliori qualità di Porrino, in particolare l’abile reinvenzione e armonizzazione di temi popolari, una notevole varietà e ricchezza ritmica, una strumentazione seducente: ma – anche questa fu una caratteristica della musica porriniana – accanto ai temi ‘sardi’ non mancano riferimenti evidenti al Boléro di Maurice Ravel e allo Scherzo della Nona di Ludwig van Beethoven. Di questo gruppo fanno parte anche Nuraghi, tre «danze primitive sarde» per piccola orchestra (1952), nelle quali l’autore introdusse qualche novità stilistica, prima fra tutte una fugace apparizione di procedimenti dodecafonici.

Sotto questo profilo l’opera più ambiziosa è senz’altro il dramma musicale I Shardana (gli uomini dei nuraghi), in cui Porrino, autore anche del libretto, volle ricreare l’atmosfera dei sardi dell’era nuragica, inserendola però in un contesto operistico verista, con melodie cantabili, arie, duetti e cori, e con la creazione, ancora una volta, di melodie ‘sarde’, una delle quali è un’autocitazione da Sardegna.

Il filone dell’invenzione diretta – di certo il più debole – comprende anche l’opera che meglio consente di collocare la figura artistica di Porrino nel contesto storico specifico, l’«istoria» Gli Orazi ch’egli, ancora nel 1957, considerava uno dei suoi lavori migliori.

In questo tentativo di tradurre fedelmente in musica il progetto mussoliniano dei ‘teatri di massa’, Porrino pagò «un forte contributo alle linee più tradizionali della musica italiana e al mito della romanità.

Caduto il fascismo, dopo essere stato a lungo uno degli esponenti più convinti della conservazione musicale e un fiero oppositore di ogni innovazione linguistica e formale, Porrino individuò e sostenne attivamente, immedesimandocisi, una «terza forza» equidistante da ‘progressisti’ e ‘retrogradi’, capace di tentare una «“mediazione” tra il passato e l’avvenire […] senza viete “nostalgie” e senza vuoti funambolismi puramente tecnici e cerebrali». A tal fine introdusse una spruzzata di novità in alcune sue partiture degli anni Cinquanta, nelle quali si trovano passaggi politonali, atonali e, come nei già citati Nuraghi, nel Concerto dell’Argentarola (1953) e in Sonar per musici (1958), perfino dodecafonici. Eppure nei confronti della tecnica seriale ancora nel 1950 si era espresso assai duramente, escludendo che «un rinnovamento musicale possa trarre impulso da un fatto meccanico e aritmetico invece che da un movimento di carattere spirituale».

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