UOMO E POETA DI VALORE : LE SPERIMENTAZIONI ARTISTICHE DI POMPEO CALVIA

Pompeo Calvia

Pompeo Calvia nasce a Sassari il 18 novembre del 1857, figlio di Salvatore Calvia Unali, architetto e pittore originario di Mores e di Antonietta Diana, figlia di pittore.

Era così preponderante la presenza dell’arte in seno alla famiglia: atmosfera peraltro comune a quella di una borghesia, a Sassari molto animata, anche dalle signore altolocate.

Centrale fu, per un periodo non breve della sua vita e della sua formazione culturale e umana, la figura del padre, vero archetipo di mentore.

A vent’anni fu arruolato e destinato a Napoli, dove frequentò gli ambienti letterari e conobbe il poeta Alberto Mario.

Nel 1880 fece ritorno in Sardegna.

Poeta, scrittore, artista, osservatore sagace e ironico dei costumi sociali, fece parte del gruppo che, intorno ad Enrico Costa e ai più giovani Sebastiano Satta, Luigi Falchi e Antonio Ballero, animò la vita culturale sassarese.

Strinse rapporti con Grazia Deledda, Salvatore Farina, Salvator Ruiu, Francesco Cucca, Felice Melis Marini, Filippo Figari e Stanis Manca, ma soprattutto dialogò con una parte importante del mondo letterario dialettale italiano.

Si legò a Giovanni Ermete Gaeta e a Libero Bovio, che insieme a Di Giacomo e a Murolo, furono tra i protagonisti della canzone napoletana.

Conobbe Cesare Pascarella, Vito Mercadante, Berto Barbarani, Gaetano Crespi, Attilio Rillosi e Giacinto Stiavelli.

Scrisse in sassarese la silloge Sassari mannu (1912), in logudorese e in italiano.

In italiano ci ha lasciato, oltre ai racconti, il romanzo storico Quiteria (1902).

La storia narrata prende spunto dalla storica battaglia medievale di Macomer (1478) tra i Sardi e gli Aragonesi, e narra del dramma personale di Quiteria, figlia di Leonardo Alagon, rinchiusa nel castello di Sassari insieme ai suoi fratelli.

Intorno alla sua figura, modellata e a tutto tondo, gravitano e si muovono entro un reticolo di relazioni fattuali e sentimentali numerosi altri personaggi.

I motivi della passione civile e dell’amor di patria, della lotta contro lo straniero e dell’eroismo sfortunato, della congiura e del tradimento costituiscono l’orditura tematica del romanzo, che si compone dei fili propri del tessuto melodrammatico e delle trame di personaggio, d’azione e di prova, con destino tragico.

I versi di Pompeo Calvia rievocano il passato prossimo (o anche remoto?) di Sassari, ma che insieme si pongono come metafora di un mondo ben più vasto: scritti da un poeta non pretenzioso né autogratificato, ma di quelli veri, che pur quasi scherzando e punzecchiando richiamavano valori di ogni tempo.

Nonostante l’ambiente colto nel quale è nato e vissuto, la poesia di Pompeo è rimasta per sua scelta consapevole e deliberata, soprattutto ´plebea´, ´zappadorina´ quasi per vocazione inconsapevole, in adesione ad una specifica, popolana visione del mondo, a cominciare da quello sassarese: visto dal basso, dal limite inferiore della società, non trascurando per questo la possibilità di proseguire lungo una scala ascendente nella quale incontrare personaggi e avvenimenti situati più in alto.

«L’atteggiamento fondamentale – scrive Manlio Brigaglia – è quello della simpatia umana, della compassione autentica, con solo quell´attimo di distacco dal quale nasce, nei momenti più felici, l´ironia più liberatoria e serena».

Anche se non sempre Sassari riuscì a riconoscere a Pompeo il suo grande valore di poeta e di uomo, non si può dire che non fosse benvoluto dai sassaresi, compresi anche gli intellettuali suoi amici e ammiratori. Questo affetto e questa considerazione lasciarono tracce evidenti nella poesia di Pompeo Calvia.

Morirà a Sassari a 61 anni il 7 maggio 1919.

La difesa di la patria

Imbuffaddu a talentu è Cicciu Rudda;

da ghi è istaddu una chedda in cuntinenti

più no cunnosci la ciogga minudda.

Arimani dizia cu la genti

Chi abà par eddu Sassari è nienti,

Piazz’Azuni e Ruseddu no so’ nudda,

Santu Niggola no vali una trudda.

A chiss’iscidda Giuannicu Ebardenti

Che una pibbara iscioppa e ti l’agganza,

acutu acutu che punta di lanza:

– Santu Niggola – dizi – è sobbra a tutti

L’altri gesgi, e si fussi imbianchinaddu,

tintu a biaitu, a grogu e be’ arrangiaddu…

di San Pietro di Roma si n’affutti.

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