LA PRESENZA DELLA SARDEGNA A MILANO PER LA XX EDIZIONE DELLA MANIFESTAZIONE “FA LA COSA GIUSTA!”

E così che due classi del liceo scientifico L.B.Alberti di Cagliari (3C-3Cs) si “mettono in cammino” arrivando (in treno) a Iglesias e, partendo dal Santuario di quella Madonna che, forse non a caso, del “Buon Cammino” ha preso il nome (suore Clarisse) faranno la prima tappa a Monteponi. Da lì l’indomani verso Nebida-Masua e, terza tappa finale, Masua -Porto Flavia. Che sono tutti nomi di una saga millenaria di posti che hanno visto gli umani nutrirsi dei minerali che la terra gelosamente custodiva sotto la sua crosta, una volta che l’isola di Sardegna staccatasi dal continente aveva trovato l’asse che oggi la caratterizza, al centro del Mediterraneo mare, con le correnti e i venti che te la fanno incontrare quasi a forza, che tu venga da oriente e dal Libano o dal sud africano di Cartagine. E dalla Grecia di Eracle e di Ulisse, come narrano le storie tramandate dalle voci di poeti la cui fama travalica i tempi. Quattro di loro raccontano l’esperienza venerdì 22 marzo, allo stand” Piazza Sardegna”, tutte ragazze ma, mi dicono, la metà delle loro classi è composta anche da maschi, nell’occasione della 20° edizione di “ Fà la cosa giusta!” che per tre giorni, spinta dalla Primavera che incombe, spiega le sue vele tinte di verde, a portare il vascello del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, verso un approdo che sarà nel futuro quello dell’umanità tutta, diversamente l’umanità non avrà sopravvivenza alcuna. E così che Anna e Sara e Martina e Emma (Modoni e Murgia e Tomasi e Cabiddu), maglietta candida con stampigliato il logo di “Noi camminiamo in Sardegna”, spalancheranno la fantasia degli astanti (numerosissimi) a immaginarsi quanto possa essere bello andare incontro a laverie e grotte e antiche miniere, sino a posare lo sguardo che più non vuole staccarsene di un “Pan di zucchero” che sembra emerso apposta sul mare per farne risaltare un blu che è solo dei lapislazzuli afgani. Vengono dai paesi dell’hinterland molti degli studenti dell’Alberti, mi dice la professoressa (di scienze) Federica Ardau, responsabile del progetto dell’istituto, buona cosa perché a casa loro si parla ancora in sardo e Sara che viene da Sarroch conferma, e molte sono le scuole che vorrebbero rifare un’esperienza che indubbiamente stimola gli studenti alla socializzazione, educa alla cittadinanza e fa incontrare le comunità del territorio che lo abitano. Spalanca l’incanto del turismo lento e sostenibile. L’assessorato del Turismo regionale ne propone uno sproposito (verso il Giubileo 2025) e sono i nomi dei santi a connotarli: Barbara e Giorgio e Jacu ed Efisio e c’è quello francescano e dei beati, la via dei santuari e quella delle cento torri. La Sardegna battuta e gustata quasi palmo a palmo.

Se vi fermate ad Orgosolo, Martino Pira vi proporrà un percorso ad anello che, in quattro giorni, passando solo per terre pubbliche e non recintate, vi farà vedere posti che hanno frequentato da sempre i pastori, santi (la beata Antonia Mesina) e briganti, di cui la storia e la leggenda del paese è pur ricca. Posti in cui la natura è ancora padrona. E gli armenti pascolano liberi. A proposito, potreste adottarne alcuni, pecore o capre (niente maiali), ma anche un qualche alveare, un campo di grano, un vitigno del Mandrolisai. Tutto con un “click”, su www.mannos.it , qui c’è Maria Giovanna Carta, olbiese che ha una laurea in economia presa in università Cattolica, e invero per una quindicina d’anni grazie ad essa ha lavorato tra Milano e Torino, poi è tornata in Sardegna e ha messo su questa piattaforma digitale ingegnosa. Siamo nati solo 6 mesi fa, mi dice, ma già adesso abbiamo realizzato più di cento adozioni via e-mail. L’adottante, sempre via mail, può seguire passo passo il percorso di vita del suo animale. Tale Monica ha ricevuto a regalo di nozze una pecora in adozione. E come regalo “alternativo” sempre pecore sono state regalate per la festa del papà. Noi scegliamo naturalmente gli ambienti più “green” da proporre in adozione, alcuni campi di grano di Sorgono, il miele di alcuni alveari a Berchidda, le olive nere di Oliena, e anche vino e legumi. Contiamo di espandere l’offerta di prodotti che noi monitoriamo per bontà e per coltivazione senza uso di chimica, come erano soliti fare i nostri avi: i “Mannos”. Il tutto stimola anche il motivo di un viaggio, per vedere e conoscere più a fondo l’azienda che panifica, che vendemmia, che semina il prodotto adottato. E partecipare ai lavori di potatura delle viti, di formazione dei formaggi. Che molti sono gli angoli della Sardegna che meritano una visita non frettolosa anche se non sono bagnati dal famoso “mare cristallino” che sappiamo. La Cooperative GEA di Capoterra ad esempio è qui a sponsorizzare il “Mandorlo”, albergo diffuso e ristorante rurale in quel di Baressa, che non fa mille abitanti, immersa in una Marmilla custode di mille tesori, dalla Giara di Gesturi, al castello nuragico di Barumini. Conosciuto e apprezzato anche da molti stranieri, mi dicono, perfino giapponesi. Elaborano progetti ambientali e turistici rivolti a scuole e enti pubblici. Gestiscono musei, il “Muma” di sant’Antioco è un ostello con dentro un museo tutto da provare se “volete svegliarvi col grido dei gabbiani che annunciano l’arrivo delle barche col pescato”. Se invece ambireste sonnecchiare sotto una pianta di corbezzolo, cullati dal belare di pecore nere che scuotono i loro campanacci come fossero un’orchestra, dovete andare da Monica Saba, da Montevecchio andando verso Arbus, località Genna ‘e Sciria, in onore dell’antica miniera di piombo argentifero. Montevecchio, dove anche i miei avi hanno consumato la vita in miniera. Monica ha uno stand che definirei principesco, un cartello “Ovis Nigra, Creazioni Naturali” prefigura il colore delle pecore da cui lei fa il formaggio: la pecora nera di Arbus ( a proposito, è “adottabile” con “Mannos”), una varietà che andava scomparendo ma che alcuni allevatori hanno saputo valorizzare, e i numeri dei capi sono in deciso aumento. Su di una tavolata coperta da tappeti e stoffe d’ogni tipo, sono esposti ogni sorta di cuscino che voi poteste immaginare, disegnati con colori provenienti da piante naturali e profumati con oli distillati dalle medesime. Daniela Inconis, di San Gavino, mi fa notare un loro sapone ricoperto con lana di pecora nera grezza, ottima per un massaggio stimolante l’epidermide dopo un bagno o una doccia rallegrata dalla schiuma del sapone profumato. Sempre per un massaggio “diverso” sono le candele in ceramica ( anche esse impreziosite da pigmenti naturali) e tutta una serie di oli essenziali provenienti dalle piante  e le erbe del territorio. Per il taglio delle quali sono stati interessati anche una quindicina di “persone fragili” di un vicino CPS, che percorrendo le aree boschive ricche delle erbe da cui si ricaveranno le essenze, hanno tratto quel benessere psicofisico di cui sono carenti, loro come i cosiddetti “normali” del resto. Monica dice che dedicarsi alla ricerca di erbe selvatiche nelle notti di luna è un’esperienza che sa di magico, le erbe si vestono dei raggi lunari e, se vogliono farsi trovare, il che non è scontato, ti mandano un riflesso che ha il valore di una strizzata d’occhio. Provare per credere. E una visita da loro, Monica e Edvige, madre e figlia, merita anche per assaporare il loro “pranzo del pastore”: pasta fatta in casa, ricotta e formaggi pecorini dalle “nere di Arbus”, zuppa d’erbe selvatiche. O per prendere parte a uno dei numerosi “laboratori”: dalla fitoterapia a quello delle tinture naturali, dalla ceramica arcaica agli eventi olistici e meditativi. Che la “missione” di “Ovis Nigra” parla chiaro: promuovere il benessere fisico e spirituale attraverso prodotti ecologici e sostenibili. Usiamo quelle che noi chiamiamo eccedenze (i rozzi come me: prodotti di scarto) per far nascere tappeti che verranno tinti con erbe aromatiche, e qui tutto lo stand è immerso di un tenue profumo di lavanda selvatica. Appesi alle grucce sono una linea di kimoni che paiono tessuti con un filo di ginestra, i colori sono tenui, quelli tinti col cisto di particolare splendore. Tutto “a chilometro zero”, dall’argilla di cui è ricco il territorio, alle fibre del fico d’india (un mucchio di proprietà benefiche), dalle erbe palustri all’asfodelo. Razza autoctona quella della pecora nera, originata ed evoluta nel territorio in cui si trova, viene da pensarla già pascolare all’ombra dei primi nuraghi. E persino Giacobbe (quello che poi verrà chiamato Israele) dopo ben 15 anni che fece da “servo pastore” a Labano, suo suocero che in cambio gli aveva dato in moglie due sue figlie, Lea e Rachele, quando volle tornarsene a casa dal padre Isacco e pretese il compenso per tanto lavoro, così gli disse: “Oggi passerò tra tutto il tuo gregge; metti da parte ogni capo maculato e pezzato; ogni capo scuro tra le pecore e pezzato e maculato tra le capre: questi saranno il mio salario”. (Genesi, 30,32, da la Bibbia ediz. Einaudi, progettata e diretta da Enzo Bianchi). Quando tornò in terra di Canaan il suo gregge di pecore era tutto nero. Miriam Giovanzana, direttrice editoriale di Terre di mezzo, organizzatrice di Fa’ la cosa giusta!: Numeri straordinari in questa ventesima edizione: quasi 40mila presenze nei 3 giorni di fiera, oltre 150 volontari, 32mila metri quadrati di superficie espositiva, 475 espositori organizzati in 8 sezioni tematiche (Turismo consapevole, Grandi cammini e outdoor, Critical fashion; Mangia come parli, Abitare green, Il pianeta dei piccoli, Cosmesi naturale, Area vegan, Pace e partecipazione). Oltre 400 gli appuntamenti nel programma culturale dedicati ad adulti e bambini, come gli incontri con il cardinale Matteo Zuppi, Marco Paolini, Giovanni Storti e tanti altri protagonisti di un’economia “umana”. In questi tristi tempi di guerre sanguinarie: l’unica economia che val la pena di praticare davvero. E anche un po’ di economia sarda si è messa su questo cammino.

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