PEPPINO MUREDDU, “L’EMIGRATO SARDO”. UNA STORIA PER L’ OGGI, FRA STORIA ECONOMICA E CULTURA DEL LAVORO

Peppino Mureddu

Un libro che è una vita. Di un sardo di 92 anni. Quattrocento pagine ed oltre di vita vissuta e di consigli pratici, giunti alla loro terza ristampa per la Leone editrice di Monza.  Dove vita, lavoro, fatica, successi ed insuccessi si alternano. E che ha un unico “filo conduttore” che, per chi come il sottoscritto “maneggia” queste tematiche, non è difficile da trarre e fare emergere: la storia del lavoro e le dinamiche dell’emigrazione sarda dagli anni ’50 del XX secolo ad oggi. Peppino Mureddu da Lodine (Nu), è un emigrato sardo. E nella sua opera ben evidenzia questo. Fin dal sottotitolo: “Da Lodine al Nord Europa al Nord Italia”. Questo è un libro che è già divenuto prezioso. Per molti motivi. E dovrebbe essere conosciuto e letto dalla nuova assessora sarda al Lavoro Desire’ Manca, dai cui uffici dipende anche, volente o nolente, la tematica emigratoria, non solo migratoria. Ma emigratoria. Che per la Sardegna è storia. Ma anche, purtroppo, attualità. Dolorosa e drammatica attualità. E l’emigrazione, tematica e problema pressoché assente dai programmi elettorali delle coalizioni che sostenevano i candidati alla carica di Presidente, torna ad interrogarci prepotentemente con questo libro di Peppino Mureddu. Per i sardi, in particolare. Perché emigrato vuol dire, in quest’ accezione, sia nella Penisola che all’ Estero. Si possono fare mostre, premi di poesia, manifestazioni teatrali, alta cultura, promuovere turisticamente la Sardegna, ma il sardo rimane, innanzitutto, emigrato.  Sia nel resto d’Italia che all’ Estero.  Questo libro è, quindi, una lezione ed un ammortamento anche per certa “emigrazione sarda organizzata” che, ormai, sembra abbia perso le “coordinate dell’Emigrazione” facendo altro. Magari pensando di sponsorizzare meglio la Sardegna con onerose mostre o stipulando accordi non convenienti con agenzie di viaggio. Emigrazione, lavoro, cultura, sacrificio. Sono queste, sostanzialmente, le parole chiave con cui questo libro può essere letto. Emigrazione perché, effettivamente, Peppino Mureddu parla e racconta della sua storia. Che ha un punto di partenza ed un luogo ab origine. Da dove è partito tutto. È Lodine. Il piccolo comune ad 800 metri nella Barbagia di Ollolai. Infanzia grama e difficile ad aiutare il padre nel commercio dei maiali. Ma con un unico obiettivo, il lavoro. E come lavorare allora nella Sardegna degli anni Quaranta e Cinquanta? Quella in cui il “Piano Rinascita” era ancora di là da venire, la cui economia era sostanzialmente fondata sull’agricoltura e la pastorizia. E che, proprio in quegli anni, stava vivendo, nel Sulcis, il suo piccolo ed effimero miracolo minerario. Peppino lavora nel commercio dei maiali con il padre e nei campi con la trebbiatura. Ed anche come apprendista muratore a Lodine, paese che, nella Sardegna centrale, era famoso per avere una piccola ma antica tradizione nella produzione di tegole. Ma anche per lui, giovanissimo, si stavano per aprire le strade dell’emigrazione. Perché? Per una delusione e per un’opportunità. L’opportunità gli viene offerta dal conseguimento della patente di GUIDA. Allora conseguire un simile documento avrebbe dovuto significare qualcosa di unico ed eccezionale. E per Peppino Mureddu lo fu realmente. Con la possibilità, come conducente di autocarri, di girare la Sardegna in lungo ed in largo. Senza dimenticare i quindici mesi trascorsi nel servizio militare, da intendersi come opportunità di uscita e di crescita. La patente ed il servizio militare aprono al giovane Peppino la strada dell’emigrazione. La Sardegna, purtroppo, si comporta da matrigna e non lo vuole. Peppino aspetta ancora quella chiamata di quel lontano concorsi per l’assunzione alla Società Autolinee della Provincia di Nuoro. Chiamata che non arriverà mai. Ed il nostro partirà per il Belgio, prima e la Germania, poi. Nuova vita, nuove esperienze. Che s’intrecciano con la storia economica contemporanea di questo Paese. Indissolubilmente. Con la differenza che i manuali sono manuali di storia. E tali rimangono. Peppino è, invece, un testimone diretto di questa storia. In Belgio scoprirà che l’unica possibilità di lavorare sarebbe stata quella di fare il minatore. Per via degli accordi economici stipulati fra l’Italia ed i paesi del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo): forza lavoro immigrata (italiana) nelle miniere in cambio di carbone in Italia. Accordi validi per tutti gli stranieri. E, quindi, anche per gli italiani. Tre anni di lavoro in miniera. Con corsi di specializzazione in meccanica. E la frequenza di un corso di lingua tedesca, per fare il “grande salto”: la Germania. Peppino sardo emigrato, ha voglia di lavorare, studiare e conoscere. Ed avviene anche il “salto di qualità”. Alla Ford. Nel reparto “organi di trasmissione”. Da operaio passerà a diventare capo di un reparto di dodici funzionari tecnici. Qua il nostro entra, per la prima volta, in contatto con gli aspetti della teoria del Fordismo legata strettamente alla catena di montaggio. Concetto così coniato negli anni Trenta da un certo sardo come Antonio Gramsci. Il fordismo si rifà a all’ imprenditore automobilistico statunitense Henry Ford che, nel 1913, fondò l’omonima casa. E che, ispirandosi alle teorie di Taylor, rivoluzionerà, con la catena di montaggio, l’organizzazione della produzione, diventando uno dei “pilastri” dell’economia del XX secolo. Ebbene, l’opera di Peppino Mureddu racconta, meticolosamente ed “in presa diretta”, anche questo “passaggio” della storia economica. Motivo per cui sarebbe da fare conoscere persino in appositi corsi seminariali universitari.

Dopo il Belgio e la Germania, il rientro in Italia. Sempre da emigrato. Il lavoro alla Ford della Marelli di Sesto San Giovanni, in primis. Ed, in secundis, lo studio con la frequenza dell’Istituto tecnico industriale ed il conseguimento del diploma da perito in elettronica industriale. Ed ancora il cambio lavoro. Vissuto non come un dramma. Ma come un’opportunità. Dalla Ford ad altre società produttrici di sofisticate apparecchiature di trasmissione. E trasferte di lavoro a Genova, Roma, Berna, Firenze, Venezia, Messina, Cagliari. È questo anche il periodo della stabilità di Peppino. Trovata a Monza.  Con la splendida descrizione del capoluogo brianzolo, che ospita una nutrita comunità sarda di 1500 persone. Monza, la sua e la nostra città di adozione con le sue bellezze dalla Villa Reale al Parco. E con la famiglia di Peppino che lo ha sempre sostenuto. Peppino non si fermerà neanche con la pensione, svolgendo per quindici anni, il ruolo di consulente assicurativo dopo un adeguato corso di formazione. Ed un monito finale, sempre vivo, per i giovani di oggi: “Cercare di migliorare la propria cultura con lo studio e con il lavoro, sforzandosi di lavorare sempre e di lavorare bene”. Un’ opera, quindi, che è anche un manuale di cultura e di educazione al lavoro. E come tale dovrebbe essere conosciuta e letta anche negli istituti tecnici e professionali. Laddove il lavoro non è solo un diritto, ma anche un dovere.

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Un commento

  1. Un’analisi precisa e toccante di un tema sempre in auge, a tutti i livelli. C’è chi ha dovuto lasciare la sua Isola per cercare lavoro. Chi l’abbandono’a malincuore per motivi di salute (come mio padre), chi per dare un futuro ai propri figli ecc.
    La vita raccontata da Peppino Mureddu nel suo libro credo riesca a riassumere tutta la nostalgia per ciò che in gioventù ha dovuto lasciare e che resterà impresso nel cuore per sempre.
    Il tuo articolo,tanto dettagliato esprime tutta la gamma dei sentimenti e le situazioni intime vissute dall’autore di cui parli con chiarezza e sincera empatia.
    Complimenti!

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