REGIONALI SARDE, IL MOMENTO DI RIVEDERE LA LEGGE ELETTORALE : DIETRO LE QUINTE DI UN SISTEMA FARRAGINOSO ED ANTIDEMOCRATICO

Lo scrutinio delle elezioni regionali sarde 2024, sta rasentando il burlesco. Si sarebbe dovuti andare oltre l'”empasse” del 2019 e, invece, anche questa volta, la “palla” è passata alle sezioni circoscrizionali elettorali dei tribunali e, in ultima analisi, alla Corte d’Appello di Cagliari. Con la differenza che, mentre allora, nel 2019, la “forbice” fra la coalizione di centrodestra vincente di Solinas su quella di centrosinistra di Zedda era piuttosto rassicurante per garantire, comunque, la vittoria dello schieramento guidato dal presidente uscente. Questa volta, la complessa legge elettorale statutaria sarda ha “messo nel piatto” vari ingredienti che, “ab initio”, andrebbero ad inficiare la vittoria elettorale della coalizione del campo largo con Alessandra Todde presidente. Partiamo, però, semplicemente, dall’esame della legge regionale elettorale statutaria. Perché la Regione Autonoma della Sardegna è arrivata a questo punto? Si è ridotto il numero dei consiglieri regionali ma, come contrappeso, si è voluto complicare il sistema, rendendolo, per certi versi, più antidemocratico e meno garante delle minoranze. In una Regione come la Sardegna che, proprio per questo, vista la sua storia autonomistica e linguistica, avrebbe dovuto tenere meglio conto di ciò. Eppure, la legge elettorale sarda non prevede niente di questo. Partiamo con ordine. Innanzitutto specificando che la Regione Sardegna, in virtù dell’autonomia speciale, ha competenza legislativa esclusiva in materia di sistema di elezione degli organi regionali, forma di governo e casi di ineleggibilità e incompatibilità, così come stabilito ex legge costituzionale n. 2 /2001.

Ritornando al caso sardo le leggi fondamentali per le elezioni del Presidente della Regione e del Consiglio regionale sono contenute nella legge regionale statutaria 12 novembre 2013, n. 1, come modificata dalla legge regionale statutaria 20 marzo 2018, n. 1, in relazione alla composizione delle liste circoscrizionali ed alla parità di genere. Per quanto, invece, riguarda la presentazione delle liste, delle candidature, le operazioni elettorali e le votazioni si rimanda alla legge regionale n. 16 del 2013. Vi è poi la legge regionale n.7/1979 (e successive modifiche) con riferimento alla costituzione ed agli adempimenti degli uffici centrali circoscrizionali, alla disciplina di presentazione delle liste e delle candidature, nonché all’organizzazione dei seggi elettorali.  A “regnare” su questo complesso sistema, è il tanto “osannato” e “cercato” Statuto (approvato con legge costituzionale n. 3/1948). Statuto che, sostanzialmente, stabilisce due cose per la Regione Sardegna: da un lato le dà potestà legislativa esclusiva (art. 15); dall’altro, per ciò che ci riguarda, stabilisce il numero dei componenti della legislatura e la sua durata (art. 18 Statuto).  Ossia 60 consiglieri per cinque anni.  Una prima considerazione, in merito, per capire l’evoluzione degli eventi, occorre farla. La legge elettorale sarda, innanzitutto, come precisato, è legge regionale statutaria. Essa è stata votata a larghissima maggioranza, 2/3 dei novanta consiglieri regionali allora eletti, durante la presidenza Cappellacci di centrodestra. La lettura degli atti consiliari fa emergere un altro dato interessante per capire l’ “humus’ culturale in cui questa legge “insiste” : non solo “protetta” da una solidissima maggioranza dei 2/3 dei consiglieri, ma anche “preservata” dall’ eventualità della minaccia di un referendum. Infatti nessuna richiesta di referendum venne presentata. La legge regionale elettorale statutaria andava bene a tutti gli schieramenti politici presenti nel Consiglio regionale sardo. I punti e temi nevralgici che, però, sono ritornati d’attualità, soprattutto in questi giorni post elezioni regionali 2024, sono cruciali. E interrogano un po’ tutti: “tagliola”, clausole di sbarramento e voto disgiunto.  E la “quaestio” Todde/ Truzzu non è altro che “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Di un sistema da rivedere. Un sistema che, già dalla prima disamina si definisce in questo modo: “il sistema elettorale sardo è proporzionale con esito maggioritario”. È proporzionale perché i seggi sono attribuiti a liste concorrenti nelle circoscrizioni provinciali collegate ad un candidato alla carica di Presidente della Regione. Ed il caso “Todde- Truzzu” ben esplica questa discrasia: più voti al candidato Presidente nel primo caso; più voti alle liste di coalizione nel secondo. La finalità maggioritaria del sistema elettorale sardo si tradurrà, poi, nell’ attribuzione del premio di maggioranza. Ed ecco perché, in questo caso, viene prevista la “tagliola” della fine dello scrutinio nel giorno successivo alle votazioni. E che dovrebbe partire a dodici ore dall’inizio dello spoglio. Una “tagliola” che, da un lato, ha garantito, per i diciannove seggi rimasti da scrutinare (ed ora già scrutinati, su un totale di 1844) una certa “garanzia” e “sicurezza” delle rispettive sezioni elettorali circoscrizionali dei tribunali, a fronte dell’inadeguatezza di certi presidenti e scrutatori di seggio. Dall’ altro lato, però, non ha fatto altro che “ingolfare” il lavoro dei tribunali, prima del riesame dei verbali elettorali e la proclamazione ufficiale, da parte della Corte d’ Appello di Cagliari, della prima presidente donna nella storia autonomistica della Sardegna. Dalla “tagliola”, grazie alle verifiche giudiziarie, dovrebbe uscire una maggiore “tutela” per il futuro premio di maggioranza da attribuire. Il vero e proprio “nodo” da risolvere di queste ultime e combattute elezioni regionali. E qui “casca l’asino”. Un premio di maggioranza compreso tra il 60 ed il 55 per le liste di coalizione legate al presidente vincitore, se hanno raggiunto oltre   il 40% dei consensi nel primo caso, o del 55% se hanno raggiunto tra il 25 ed il 40 % dei consensi. Si capisce benissimo allora la “quaestio” della citata “tagliola” sarda e dell’invio d’imperio dei plichi di diciannove seggi non scrutinati ai tribunali. Il cui esame ha portato alla riduzione ulteriore della “forbice” dai circa 5.500 voti a favore della Tosse a un divario di 1600- 1400 voti. Sempre a favore della candidata del campo largo. Non proprio quisquilie in Sardegna. L’ altro nodo, che ha reso farraginoso il sistema elettorale regionale sardo è l’adozione del voto disgiunto. Un sistema, questo, come raccontano tutti i manuali di politologia, nel mondo, più adatto alle competizioni locali comunali, ma non a competizioni di più vasto respiro come le regionali in Italia. E contesti complessi e particolari come la Sardegna. Infine, un altro nodo da rivedere della legge elettorale sarda sono le due “sperrklausel”, clausole di sbarramento presenti. Una di coalizione, fissata.al 10%; l’altra di lista, stabilita nel 5 %. E questo ha danneggiato i due restanti candidati alla carica di Presidente della Regione. Da un lato Renato Soru e la sua Coalizione Sarda, che sperava in un superamento dello sbarramento del 10%. Dall’ altro Lucia Chessa, ex segreteria dei Rossomori, e l’unica lista ad essa collegata, Sardigna-R-esiste, che, invece, puntava a superare il 5 %. Queste esclusioni, unite al forte astensionismo, ancora una volta non considerato (tranne che da pochi organi di stampa), rimettono, dal punto di vista politologico, al centro della questione sarda anche la questione democratica. Con una forte domanda sottesa: può una legge statutaria regionale, al fine di garantire una governabilità ancora di là da venire, rinunciare a garantire ampi e sostanziali spazi di democrazia riservati alle minoranze?

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

2 commenti

  1. Alberto Pisano

    La legge elettorale del 2013 nacque per garantire il governo regionale, quindi senza spazio per terzi poli

  2. Gianraimondo Farina

    caro amico infatti l’ho scritto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *