IL SAGGIO SULLA “GESTAZIONE PER ALTRI” FRA ETICA E BUONSENSO, INNOVATIVO E RADICALE: “DARE LA VITA” IL LASCITO DI MICHELA MURGIA, INTELLETTUALE TROPPO SCOMODA

Michela Murgia

“La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino”, invita Michela Murgia nel suo ultimo libro Dare la vita, ora in libraria per Rizzoli – un libro che fa sentire ancora di più la sua mancanza. L’Italia ha bisogno di pensiero visionario. Anche per questo la scomparsa della scrittrice, saggista, romanziera, drammaturga lo scorso agosto a soli 51 anni ha lasciato un vuoto incolmabile.

Sarda di nascita (di Cabras, sospesa fra mare e stagno), l’isola grande, che aveva lasciato spinta dalla sete di libertà a tutto campo, le era rimasta addosso; il mal di Sardegna è un po’ come il mal d’Africa, ti assale all’improvviso. Ma lei era troppo diversa, libera e femminista, sicura della propria luminosa intelligenza per restare dove era cresciuta. Sono le stesse doti – o difetti? – che la rendevano urticante a troppi – fra cui anche membri dell’attuale governo come Matteo Salvini (che una volta la criticò come “intellettuale radical chic”, al che lei risposte con l’elenco dei mille lavori fatti per mantenersi agli studi). Murgia si è spesso trovata al centro di vere e proprie shitstorm sui social media, attaccata per le sue dichiarazioni e ancora prima per i suoi toni perentori, che poco si perdonano a una donna.

La violenza di questi attacchi non si è placata neppure quando ha annunciato che le restavano pochi mesi di vita: al momentaneo cordoglio ha fatto seguito persino l’insinuazione che fosse tutta pubblicità, nonché le critiche di presenzialismo per aver ‘messo in piazza’ la malattia. Figuriamoci quando ha continuato a partecipare a incontri pubblici parlando anche dell’urgenza di vivere di fronte alla morte, o quando ha rilasciato interviste per raccontare la sua “famiglia queer”, i suoi quattro “figli d’animo” e non biologici, il matrimonio ‘collettivo’ con gli abiti bianchi disegnati per lei e i suoi da Maria Grazia Chiuri.

Ma in mezzo a tutto ciò, continuava a scrivere, per concludere il progetto che aveva da anni, su uno dei temi più ostici e controversi della politica e dell’etica italiana, la gestazione per altri. Dare la vita.

Non è questione da poco. A fine luglio, i deputati di Montecitorio hanno approvato un disegno di legge del governo Meloni che dichiara la gestazione surrogata – già illegale in Italia – un “reato universale”, cioè perseguibile anche se commesso all’estero (in concreto questo significa ‘se commesso da coppie gay’ poiché se fra i genitori legali c’è una donna è più difficile dimostrare che il figlio non sia suo). La legge deve ancora essere esaminata dal Senato, ma potrebbe essere di nuovo terreno di scontro per le elezioni europee di giugno.

Murgia ha cercato – faticosamente, nelle sue ultime settimane – di spiegare il suo punto di vista, che può piacere o meno, ma come sempre è radicale e innovativo. Nel testo, curato da Alessandro Giammei ed elaborato in parte da materiale nuovo, in parte da riflessioni già scritte, non perde tempo a indorare la pillola: la GPA è una questione di soldi, sì. Donne o famiglie più ricche sfruttano la disponibilità di donne bisognose a offrire il loro corpo e la loro persona per una gravidanza.

Per tutelare le donne che si prestano (e quanti sfruttamenti ci sono ricorda l’autrice, a partire dalle centinaia di migliaia di donne di paesi lontani che si strappano dai figli piccoli per venire ad accudire i nonni dei nostri paesi ricchi, e che pure non suscitano scalpore) la GPA va regolamentata, perché là dove non c’è una legge, si finge che il fenomeno non esista, mentre se lo si vieta, lo si ricaccia solo oltre confine. Tutelare le donne significa garantire loro norme chiare e un giusto compenso.

Non solo: Murgia non considera accettabile una legge sul modello californiano, che obbliga la gestante a cedere il figlio alla nascita. “Proprio perché un essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla donna gestante può essere considerato un corrispettivo” per la nuova creatura “ma sempre e soltanto una remunerazione della gestazione”. Si paga il tempo e l’uso della donna, ma non si compra chi nasce, la cui cessione “avviene per pura volontà da parte di colei che ne è a tutti gli effetti la madre fisica” anche se non genetica.

Mentre i politici esaltano pedissequamente la “maternità” – ignorando peraltro che se le italiane non fanno figli è perché nel Belpaese è quasi impossibile per una donna di medio reddito fare carriera e avere bambini – l’invito di Murgia è a non confondere “il processo fisico della sola gravidanza” con l’essere madre, a rispettare le madri sempre, e non solo quando fa comodo ideologicamente, e anche, a non affondare i piedi nell’ipocrisia: “A nessuno importa in realtà una benamata minchia di cosa pensano le bambine e i bambini. Il bambino, la bambina, abbraccia quel che trova e ama quel che offri da abbracciare. Si spera che si cerchi di dargli il meglio, certo. Ma chi decide cosa è questo meglio?”

In queste 122 pagine, ultimo lascito, ci sono riflessioni etiche, spunti, magari anche soluzioni utili a “fare famiglia”. Perché le famiglie nuove – nell’era della tecnologia riproduttiva e degli schemi flessibili- sono qui fra noi.

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Un commento

  1. Roberto Bolognesi

    Così scomoda da essere sempre sui giornali mainstream- E poi “intellettuale”? Ajò, influencer è la parola giusta

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