“CERCANDOCIELI” NEL COSMO DI ROSSANA COPEZ

Rossana Copez, Antonio Marras e Jenny Atzeni

Cercandocieli a NonostanteMarras. Il primo è un libro, il secondo è un luogo. L’ha scritto Rossana Copez, cagliaritana orgogliosa di esserlo, a presentarlo, insieme a Giovanni Follesa che è di Quartu S.Elena e quindi a primo mare vanta anche lui le spiagge del Poetto, la padrona di casa: Patrizia Sardo Marras, pure lei si definisce facente parte delle “genti di mare”: il suo è quello dei nobili catalani di Alghero.

Non fosse stato per una sua intuizione questo spazio fatato nella periferia milanese non sarebbe mai nato, suo marito: Antonio Marras, lo stilista pur esso algherese doc, al primo proporglielo: una sorta di casa-tinello aperto al pubblico, con tavolo apparecchiato e le candele accese sui candelabri a cinque braccia, tutt’intorno i manichini vestiti come dovessero spiccare il volo per una passerella improvvisata, aveva storto il naso. Ma, nonostante Marras, il progetto era andato avanti, e ora è una realtà che attira sempre più gente. Come tutti i progetti di Antonio Marras del resto, e lui lo ammette sinceramente: metà del suo successo viene da Patrizia, la creatività che nasce dalla loro collaborazione è la benzina che fa muovere la macchina della “ditta Marras”, una roba che a vederla da fuori è di una complessità pazzesca, e ora anche i figli ne fanno parte a pieno titolo, ma che loro portano avanti con la lievità dei nati artisti. E questa fortuna (cementata da duro lavoro quotidiano) la vogliono spartire, dice Patrizia: “esportando in continente autori sardi”. Lei e Rossana, in comune, non ne vogliono proprio sapere di essere etichettate come “mogli di”…anche se la fama dei loro mariti tende a circondarle di una nebbia in cui con fatica riescono comunque a districarsi.

In seconde nozze, Rossana Copez aveva sposato Sergio Atzeni: ne parla diffusamente nel libro, di questo suo “giovane sposo”, dai neri capelli ricci, che era stato capace di attenuare il dolore che le veniva da una storia d’amore precedente tragicamente conclusasi: “Volava lui dal quarto piano, scappavo io, verso la vita. Un corpo steso in mezzo alla strada. Il mio sposo. Impazzito. Morto.” (pag. 29) “A sposarci il segretario Federale nonché capogruppo del Pci a Cagliari, Licio Atzeni, un nostro idolo” (pag. 23). Giovanni Follesa che di queste cose se ne intende, è stato nel consiglio d’amministrazione prima della Fondazione Sardegna Film Commission, poi della Fondazione teatro Lirico di Cagliari, nonché Direttore responsabile del quotidiano l’Obiettivo e del quotidiano on-line Sardegna Oggi, e ha scritto libri… insomma riferendosi alla vita di Rossana ne dice che “neanche uno sceneggiatore si sarebbe inventato un’alternarsi di tante avversità, sembra una di quelle storie tipiche della letteratura russa: amore, follia, lotte politiche e anche la morte, sempre in agguato”. Le lotte politiche a cui si riferisce sono, in prima battuta, quelle di Licio Atzeni, il padre di Sergio. Sono storie che hanno a sfondo Guspini e la miniera di Montevecchio. Se voleste riviverle divertendovi anche, basta leggere il libro che Sergio Atzeni ha scritto su di lui, premettendovi che “tutto ho inventato di sana pianta”: “Il figlio di Bakunìn”, Sellerio editore: un giovane giornalista (orecchino all’orecchio) che si mette sulle pista di tale Tullio Saba (l’alter ego di Licio) e va chiedendo in giro: “Vai a Guspini, i guspinesi hanno buona memoria, era un loro compaesano, sanno tutto, se chiederai racconteranno” (Pag. 12). “Era un bravo ragazzo. Minatore. Compagno. Un po’ matto” (pag. 11). E un altro: “Era pigro, e furbacchione. Tre anni, poi l’hanno licenziato, è andato a vendere lamette e pettini ad Arbus. In pochi anni si è fatto ricco. Io l’ho sempre detto, che gli arburensi sono tonti” (pag. 14). E uno di Gonnos: “ …a quel tempo io non andavo a Guspini, e oggi ci vado anche meno. Quello che dico sarà scritto sul giornale? Allora mi ascolti bene: i guspinesi sono cattivi e maligni quasi quanto quelli di Villacidro, bell’altra gente, famosi perché ammazzano i fratelli. Son cose risapute” (pag. 86). “E così come uno di Gonnos mai avrebbe chiamato uno di Guspini a suonare al suo matrimonio, uno di Guspini mai avrebbe chiamato uno di Gonnos. Era così, come una diffidenza trasmessa di padre in figlio” (pag. 92). Minatore, sindacalista, ne scrive Rossana di questo suo neo-suocero: “Il padre, il compagno Licio, il più votato in assoluto alle elezioni del 1975” (pag. 48). “Licio poi amava ricordare la sua vita avventurosa e insieme rideva di se stesso e delle sue esperienze. Pur conoscendo tutto a memoria, la moglie e i figli lo sollecitavano al racconto, perché io sapessi tutto proprio tutto, dalla partenza di casa all’età di dieci anni quando andò a piedi da Guspini fino a Cagliari per badare al cavallo di un conte “no papà hai dimenticato di dire come erano i tuoi piedi all’arrivo” e lui ridacchiando riprendeva a parlare del ritorno in paese per lavorare in miniera e le battaglie sindacali, Eh sì quelle bisogna che qualcuno le racconti, aggiungeva guardando il figlio…” (pag. 50). A quattro mani si mettono a scrivere, lei incinta, esce un libro: “Col mio pancione andiamo in giro ad ammirare le vetrine che esibiscono “Fiabe sarde, raccontate da Sergio Atzeni e Rossana Copez”…E poi è nata una bambina e lui mi chiede all’orecchio sottovoce: La chiamiamo come mia nonna? …Quale nonna? Jenny, mi fa Sergio, nonnina Jenny di Guspini. Ah allora sì, dico. E posso abbandonarmi al sonno” (pag. 52). “Lui cantava di cani bagnati, di blues mai suonati, sognava mariposas belle e sguaiate. E raccontava di danzatori delle stelle, di un custode del tempo e alle orecchie mi sussurrava che i nostri avi erano passati sulla terra leggeri, troppo leggeri. Perché nulla ci avevano lasciato scritto del loro mondo antico. Ho un sogno, un unico sogno mi diceva. Voglio essere scrittore. Non voglio solo fare lo scrittore, lo voglio essere” (pag. 53). Li scriverà tutti questi libri, Sergio, ma per farlo abbandonerà famiglia e Sardegna, deluso da un partito, il suo e di suo padre, che non lo aveva difeso quando a un concorso Rai in cui era giunto secondo, gli fu preferito un “raccomandato di ferro”. Passò anche una specie di crisi mistica. Voleva farsi finalmente battezzare e diede fuori da matto quando scoprì che la madre già lo aveva fatto in segreto, di nascosto dal padre, che allora i comunisti erano scomunicati e notoriamente dei “senza dio”. Scrive Rossana: “Una paura mi sta attanagliando: ne sento l’odore e tremo come una foglia. L’odore della follia ce l’ho ancora sotto il naso, dentro le mie ferite. No, non può essere. Non posso esserne ancora la preda” (pag. 61). “Il giorno del suo compleanno mi comunica che parte per le strade del mondo. A cercare se stesso. Gli preparo lo zaino con le magliette stirate. Non voglio più vederlo. Lo amo. Mi sento codarda. Ma ho terrore che la follia se lo ingoi. Vai, parti, gli dico, e il mio stomaco non accetta neanche più un goccio d’acqua. Vai verso di te. Parti per trovarti” (pag. 65). Da allora decide di essere Ruggero Gunale, il protagonista del suo: “Il Quinto passo è l’addio”. Guarda la sua Cagliari che si allontana, dal bordo di una di quelle carrette della Tirrenia che allora solcavano il mare: “La calce dei paesi e l’acqua del mare e degli stagni riflettono la luce come aureola sulla cupola della cattedrale, attorno alla croce d’oro. Il sole del pomeriggio suscita dall’acqua vapori che imbiancano aria e mura. Luce e vapori avvolgono la città, pare staccarsi dai colli, nube guidata al cielo dalla croce…Così vede la città Ruggero Gunale e pensa: È pulita e secca. Il sole la asciuga e il vento spazza via i fetori” (pag. 30). Scrive Rossana a pag. 66: “Va Ruggero a seguire il suo talento. Insieme alla sua paranoia”.

Sardo, italiano e europeo, come i ragazzi di oggi costretti a lasciare l’isola per mancanza di prospettive, scriverà comunque che: “Chi voglia con onestà narrare, non ha che da guardare la propria nazione, in diretta o nella memoria. Troverà infiniti spunti per intrecci e vicende di romanzo e nella propria identità nazionale un terreno fertile di immagini, modi di dire e costumi che colano e svelano una visione del mondo”. Come uscirà Rossana da questo buco esistenziale riguarda il resto del libro, velato sempre di una sottile ironia, parlante di un mondo femminile e solidale che tra responsi di Tarocchi, numerologia e ipnosi regressive, alla fine si riunisce spesso a chiacchierare con in mano un calice di vermentino. E naturalmente ci sono i libri, innumerevoli, e le fiabe. Da leggere e da scrivere. E Jenny a cui è dedicato il libro: “Che sa riconoscere il mistero/ percorre vie sconosciute/ e mi ha indicato la via”. Anche Jenny è presente qui a Milano, lei che pur laureatasi in medicina oggi “dipinge sogni”, sua la copertina del libro, “Spiriti dei cieli 2021”. “Sono di Guspini, mamma mia era del ‘22 ed era compagna di scuola di Licio”, dico a Rossana e le si illuminano gli occhi. “Di lui mi raccontava sempre che calzava le più belle scarpe d’ogni ragazzino del paese, che suo padre era calzolaio, a Guspini naturalmente sai c’è la biblioteca intitolata a Sergio”. “Altro che lo so, e lì ci sono tutti i libri di Licio, sto aspettando che mi invitino a presentarlo, questo mio libro”. E chiama la sua Jenny per farla partecipe di questa incredibile coincidenza che ci lega. Con Guspini a fare da sfondo sorniona. C’è una foto sull’atlante sardo: IN GUSPINI (a cura di Roberta Saba) la 138, una ventina di maschi, tutti comunisti ci scommetterei, in località S’Inducadrosciu, in festa per il 1° maggio del 1950, c’è il sindaco di allora Eugenio Massa, l’onorevole Luigi Polano al centro della scena, uno a cui Togliatti aveva dato l’incarico di disturbare le trasmissioni dell’Eiar e, mischiato con gli altri quello che qui è citato come “Lucio Atzeni”, la prossima volta che incontro Rossana Copez le chiederò di indicarmelo, sicuro che non avrà esitazione di sorta. E che le brilleranno gli occhi.

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Un commento

  1. Grazie grazie 🙏

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