I BAMBINI DI BAULENI: CARLA COCCO, LA CANTAUTRICE SARDA CON IL CUORE NELLO ZAMBIA

Carla Cocco

Si chiama Carla Cocco, è una cantautrice originaria di Carbonia ma che nel continente nero ha il suo cuore. Sì, perché – sebbene la prima volta ci sia andata quasi per caso, si può dire – ora la sua vita è lì, divisa tra quei posti che tanto le hanno esorcizzato il dolore in passato – ci arriveremo – e la sua Italia.

In Zambia ha fondato una scuola di musica e uno studio di registrazione. È lì che i bimbi cantano “Nanneddu meu”, innamorandosi delle note della nostra tradizione, “No potho reposare” e tante altre strofe che chiunque sia nato in questo lembo di terra duro, aspro e materno conosce. Ma non solo: si cantano anche le sue canzoni. È lì che lei ha portato l’Isola, con le sue canzoni e le sue vibrazioni, unendo due posti diversi ma resi simili dalla bellezza della musica che sa colmare qualunque distanza: l’associazione Africa Sarda ne è la prova. «Sono nata a Carbonia, dove sono rimasta fino alla maggiore età, quando sono letteralmente fuggita da una realtà che mi stava logorando» racconta. «Non ho avuto un’infanzia e un’adolescenza facili…a dire il vero da bambina non credevo si potesse avere una vita “serena”, credevo che la paura e il dolore per quello che vivevo io fosse la normalità.»

E il canto? Be’, spiega, non è stata una strada “cercata” da lei ma, come tutte le passioni più autentiche, si è presentata alla porta della sua anima e ha bussato. «Ho iniziato a cantare senza un motivo, ho iniziato perché ne sentivo il bisogno, come bere, come respirare, come ridere. Non ero una di quelle bambine che diceva: “Da grande voglio fare la cantante!”, no, volevo fare la veterinaria! Ho lasciato che succedesse. Ci fu una rassegna musicale a scuola, avevo 16 anni. Tanti complimenti, gli occhi dei compagni che cambiavano guardando i miei, gli episodi di bullismo (fortunatamente blando) che piano piano scomparivano, sostituito da frasi di ammirazione e bonaria invidia nei confronti della dote che non sapevo neanche di avere e che continuavo a sminuire! E da lì non mi sono più fermata. Non ricordo una vita prima della musica, c’è sempre stata.»

Tutto parte, abbiamo detto, da un momento no: «Diciamo che il motore è sempre lo stesso: una forte sofferenza e il bisogno di esorcizzarla. Anche in questo caso non c’è stato nulla di programmato. Stavo male, era un periodo molto difficile della mia vita. Per “anestetizzare” un dolore credo sia necessario combatterlo con qualcosa di molto più grande di lui. Ho preso baracca e burattini e sono andata a passare il Natale nel ghetto di Bauleni, avevo bisogno di emozioni forti, di gente vera, scevra da qualsiasi giudizio, che non sapesse niente di me. Avevo bisogno di ritrovarmi. Qualche anno prima avevo conosciuto Diego Mwanza Cassinelli della ONG In&Out of the Ghetto che opera nel compound da ormai 12 anni. Diego è un ex pasticcere milanese, si è trasferito al ghetto da solo e ora ha 4 meravigliosi bambini e una compagna originaria di Bauleni, unico “muzungu” (uomo bianco!) su circa 80.000 persone. Lui sì che ha cambiato la vita di questi ragazzi. Quando sono stata lì per la prima volta, ho visto nei suoi occhi qualcosa che non avevo mai visto e che mi ha colpito molto. Ci siamo salutati con la promessa che ci saremmo rivisti, perché avrei voluto poter fare qualcosa anch’io… perché avrei voluto anch’io che qualcuno vedesse nei miei occhi quello che io vedevo nei suoi. Così siamo rimasti in contatto per due anni, fino a quel Natale. Sono partita e ho passato il mio primo Natale al ghetto. Buttata per terra a cantare e suonare con i bambini, sono stati loro stessi a chiedermi di fargli ascoltare una canzone della mia terra. Ho improvvisato “No potho reposare”, l’hanno amata subito! Mi hanno chiesto di insegnargliela e dopo 15 minuti già la cantavano con me! È li che mi è venuta l’idea di Africa Sarda Studio. Ne ho parlato con Diego che ha accolto il mio entusiasmo e ho iniziato a lavorare con i ragazzi per registrare il nostro primo album, “Africa Sarda & is Amigus”, dove loro hanno cantato in sardo e io in diverse lingue africane! Ho registrato le loro voci con mezzi di fortuna, poi tornata in Italia ho chiesto aiuto ai miei tanti amici musicisti che mi hanno supportato nell’impresa: hanno cucito addosso alle loro voci la musica ed è nato il nostro primo disco che è stato donato alle persone che hanno contribuito economicamente alla realizzazione del progetto. Ho scritto il progetto e l’ho presentato a una piattaforma online per far partire la raccolta fondi. Il resto oggi è… Africa Sarda Studio!»

Fondare una scuola di musica e uno studio di registrazione all’interno del ghetto di Bauleni? Be’, chiarisce Cocco, è stato faticoso e catartico insieme. «Non pensavo mai che ci sarei riuscita, ma non avevo neanche io bene in testa la direzione! È stato tutto un divenire di idee, una portava ad un’altra. Ho sempre amato definirla “la mia più sensata follia”, perché la maggior parte delle persone non capiva come potessi imbarcarmi in un progetto tanto ambizioso e tanto… folle! Ma a me non sembrava neanche di fare chissà che cosa, era tutto naturale. Cercare i fondi, trovare le idee per diffondere il progetto, coinvolgere la gente: tutto questo mi ha salvato.»

Ad aiutarla in questa impresa, tantissime persone. «Be’ in primis Diego che mi ha dato la possibilità e la fiducia per fare una cosa del genere. Africa Sarda Studio si trova all’interno dello Steve Biko Social Center, una sorta di centro sociale di In&Out of the ghetto» spiega. «Mi ha indicato lui una parte dello stabile che poteva essere perfetto per lo studio. Poi una mia carissima amica, Elena Rossi. Lei era una mia allieva di canto a Roma, tra l’altro bravissima. Nel periodo buio mi è stata molto vicina, auguro a tutti di incontrare una persona così nella vita, capace di stare in silenzio anche, ma di esserci sempre. Ricordo perfettamente il giorno che ho fatto il biglietto per Lusaka: ero seduta al computer, con lei accanto. Le avevo appena detto dell’idea di passare il Natale a Bauleni. Era con me: “fai quel biglietto! Vai! Clikka!”. Ho preso coraggio e l’ho fatto, anche grazie a lei. Qualche mese dopo è venuta a Bauleni con me. Per quanto riguarda l’impresa vera e propria, a livello per così dire burocratico, materiale, ho fatto tutto da sola, ma ho avuto il supporto di tante persone, come i musicisti di cui parlavo prima. A Bauleni c’erano due ragazze che facevano il servizio civile e che mi hanno aiutato a girare i video, tanti video! Ogni qualvolta arrivava una donazione, giravo un video con i bimbi del compound dove ringraziano personalmente ognuno e poi il video veniva postato su Facebook, mi sembrava il minimo. Un anno dopo, ho conosciuto il mio attuale marito nonché padre dei due miei figli. E anche lui mi ha sostenuto e mi ha incoraggiato (e anche lui poi è venuto a Bauleni) a far diventare Africa Sarda un’associazione no profit: l’abbiamo fondata io, lui e Elena. E poi la mia famiglia, gli amici, tutti… Non è facile chiedere soldi alle persone, c’è molta diffidenza, per questo ho documentato tutto stando lì. Addirittura pubblicavo gli scontrini, le fatture, gli estratti conto dei soldi che arrivavano per dimostrare che era tutto vero. Ma era un mio scrupolo, le persone si fidavano comunque. E questo mi ha sempre commosso molto.»

Come collante, la musica, che è sempre capace di unire e salvare. «Negli occhi dei bambini vedo la naturalezza, la gioia e la spensieratezza, nonostante i nostri preconcetti ci portino a credere e ad affermare che loro sono i “poverini”, che loro “non hanno niente, ma guarda come sono felici!”» chiarisce. «Ho imparato che se c’è qualcuno che non ha niente, quel qualcuno siamo proprio noi, quando non riusciamo a vedere oltre le cose materiali. Nei loro occhi vedo la brama di imparare, vedo la voglia di mettersi in gioco, di condividere, di provare.»

È la fiducia della gente comune a tenere in piedi Africa Sarda e associazioni simili, il fatto che qualcuno ci creda fermamente, che ci metta il cuore e l’anima. «Qualche anno fa ho fatto partire anche una raccolta di strumenti musicali usati in Italia e poi li ho portati a Bauleni: chitarre, tastiere, ukulele, bonghi, tromba, computer, casse… e così è stato “arredato” lo studio.»

Molti i progetti a lungo e a breve termine: intanto, Africa Sarda ha trovato un insegnante di musica, quindi partirà presto il corso di piano e armonia base per i ragazzi. Poiché manca il materiale didattico e gli strumenti presto – come informa la Cocco – partirà un’altra gara di solidarietà. Ma non solo. «Sono appena tornata da Bauleni e in una settimana abbiamo registrato altri 5 brani e girato 3 video! Prossimo passo, l’uscita di “Africa Sarda & is Amigus vol.2”! Tra i brani vi anticipo che ci sarà una versione del tutto inedita e molto afro de “Su pizzineddu” di Maria Carta, cantata e suonata dai ragazzi. Inoltre partirà a breve un’altra campagna di raccolta fondi per la riqualificazione di uno spazio a Bauleni chiamato “Pa m’Pofu”, che in Chinyanja (lingua locale) significa “cieco”. Si tratta di un’area con alcune abitazioni costruite appositamente per persone non vedenti, parte di un progetto governativo risalente a più di 35 anni fa, mai ristrutturata o interessata da operazioni di mantenimento. Il risultato è uno stato di decadenza avanzato al limite dell’agibile. Il terreno, attualmente, ospita una scuola comunitaria per bambini vulnerabili – circa 70 alunni dalla prima elementare alla seconda media -, oltre ad uno spazio inutilizzato e a delle strutture completamente collassate e pericolose. La raccolta servirà a buttare giù il rudere che adesso è adibito a scuola e costruirne una degna di questo nome. La stessa scuola ospiterà un’altra aula di Africa Sarda, per consentire a quante più persone di accedere allo studio della musica, anche in aree diverse di Bauleni. Realizzeremo un mercatino dell’artigianato locale, e questo consentirà agli abitanti di Bauleni di produrre e vendere le proprie creazioni, incentivando posti di lavoro e produttività locale appunto. Verrà allestito un museo comunitario che sarà la memoria storica di Bauleni. Infine verrà costruita una sala comunale dove sarà presente una sorta di Sindaco (che oggi manca) al quale gli abitanti del luogo potranno rivolgersi per qualsiasi problematica all’interno della Comunità. Insomma progetti come sempre molto ambiziosi che spero si realizzino in breve tempo… ma non ho fretta!»

Per aiutare la causa della cantautrice sarda basta, come spiega lei, “entrare a far parte della famiglia”. «Donando la propria professionalità, la propria attitudine, come hanno fatto gli amici musicisti. C’è chi ad esempio ha realizzato per Africa Sarda un telaio per stampare le magliette dell’associazione che sono poi state regalate a quanti hanno contribuito economicamente alla causa. Le abbiamo stampate insieme ai ragazzi a Bauleni. Il modo più semplice ed immediato per aiutare la causa è fare una donazione, qualsiasi cifra. Tutto verrà come sempre documentato.»

Gli estremi si trovano nella pagina di Africa Sarda. Super news è anche il nuovo singolo di Carla Cocco, “Timbululuke – Accendi il buio”, registrata a Bauleni con Jaco, il producer di Africa Sarda. «È una ninna nanna, ho chiesto a Jaco di scriverne una la sera e la mattina dopo era pronta! Io ho scritto una parte del testo in italiano. “Accendi il buio” è il modo dolcissimo che usa la mia bambina di 3 anni per chiedermi di spegnere la luce prima di andare a dormire. È a lei che l’ho dedicata. Abbiamo girato il video che è già uscito sui social – in primis su TikTok. Anche questa è stata una recente esperienza! Ho voluto portare Africa Sarda su questa piattaforma per provare a farla conoscere anche al pubblico più giovane, che credo abbia bisogno di questi esempi. I diritti d’autore dei brani di Africa Sarda che vengono acquistati, sono interamente devoluti all’associazione. Questo è un altro modo per sostenerci, in fondo bastano 0,99 centesimi per un brano!»

Nuova di zecca è anche la collaborazione, che partirà fra qualche tempo, con la cantante cagliaritana Claudia Aru. «Ci siamo conosciute in piena pandemia,» racconta Cocco «lei bloccata in Niger, io a Carbonia. Con mio marito, il bluesman Andrea De Luca, abbiamo avuto un’idea folle (un’altra!): abbiamo messo insieme circa 70 musicisti da tutto il mondo per un video a distanza al quale hanno partecipato anche i ragazzi di Bauleni e il cui ricavato è stato devoluto interamente al compound. Un’amica mi ha parlato di questa fantastica cantante, che io non conoscevo ma della quale mi sono innamorata all’istante. Le ho scritto su messenger, lei stava in Africa, sarda, cantante, la sentivo molto vicina nonostante non l’avessi mai vista. Ha accettato subito di partecipare ad “Africa Sarda AID 4 Bauleni”. Tornata in Italia, ci siamo incontrate ed è stato come conoscersi da sempre. Recentemente Fabeook ha riproposto il “ricordo” di quell’impresa e Claudia l’ha condiviso. Mi si è accesa la lampadina: “Ti scrivo in privato!”. Trovo sia un’artista, un’insegnate di canto eccezionale, unica. Ho sempre pensato che potesse fare davvero tanto per i ragazzi di Bauleni, con la sua grinta, la sua professionalità, la sua allegria. Ma non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo. Sai, tanti si dicono pronti a contribuire, ma arrivati al dunque spariscono… o ti chiedono i soldi per il viaggio! È successo anche questo! E comunque capisco che non sia facile vivere anche se solo per pochi giorni in un contesto come quello di un compound, non è per tutti. Ma per Claudia sì! Partirà a giugno, porterà una ventata di musica e colore a Bauleni. Ci aiuterà nelle lezioni con i ragazzi e ci aiuterà a raccogliere i soldi per la riqualificazione del “Pa m’Pofu” di cui parlavo prima. Sono molto felice per questo e sono onorata di questa collaborazione.»

E viene spontaneo chiedere come la cantautrice concili la sua vita privata con tutti questi impegni, ma lei, con l’entusiasmo che la contraddistingue, risolve questo nostro dubbio con una manciata di parole: «Due figli, un marito, la musica, l’associazione… ci credo e ho accanto un uomo che forse ci crede più di me! Circondarsi delle persone giuste, credo sia anche questa la chiave”.

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