IN TRADUZIONE DAL FRANCESE LA DESCRIZIONE DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO NAZISTA DI NATZWILLER-STRUTHOF A 50 KM DA STRASBURGO: UNA LETTURA CHE AIUTA A RIFLETTERE SUI CRIMINI NAZISTI

a cura di PAOLO PULINA

Quest’anno voglio personalmente celebrare il 25 Aprile (Festa della Liberazione dal nazismo e dal  fascismo) prendendo lo spunto dalla mia esperienza, a partire dagli anni Ottanta, di visita dei vari campi di concentramento nazisti, in qualità di accompagnatore, insieme ad amministratori e dirigenti della Provincia di Pavia, degli studenti degli ultimi anni delle scuole medie superiori vincitori di un concorso intitolato significativamente “Resistenza ancora”.
Un’esperienza pilota avviata nel 1979 dal compianto Assessore provinciale alla Cultura Claudio Bertoluzzi (1945-2006) che è stata presa ad esempio da molti altri Enti locali in Italia, i quali ben prima che venisse istituita ufficialmente la “Giornata della Memoria” con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 («La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento nazista di Auschwitz, “Giorno della Memoria” …» ) hanno voluto «ricordare lo sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte».

Come comitiva di studenti e di accompagnatori abbiamo visitato diverse volte il campo di concentramento nazista più occidentale, quello di Natzwiller-Struthof, a 50 chilometri da Strasburgo. La guida in italiano al campo, consultata nel corso della prima visita, presentava una traduzione dal francese assolutamente insoddisfacente, per cui mi sembrò doveroso apprestare una traduzione migliorativa, da lasciare in sostituzione di quella, diciamo così, linguisticamente un po’ difettosa agli occhi di un italiano di madre lingua.

Propongo la mia traduzione dal francese come lettura istruttiva sui crimini dei nazisti.

Natzwiller Struthof

Costituzione: 21 maggio 1941.

Ubicazione: a circa 50 km da Strasburgo.

Dopo l’annessione dell’Alsazia Lorena da parte del Terzo Reich, 300 deportati provenienti da Sachsenhausen hanno costruito, a circa 800 mt. d’altezza, nei Vosgi, questo campo al quale i nazisti dedicarono cure particolari per farlo “bello” degno del paesaggio dolcissimo nel quale veniva inserito.

Previsto originariamente per 1.500 persone, ospitava nel 1944 più di 8.000 deportati, in gran parte francesi, lussemburghesi, olandesi, tedeschi, russi e polacchi. C’erano anche alcuni italiani.

I deportati eseguivano soprattutto lavori stradali, ma diverse squadre si recavano al lavoro in officine e nei cantieri installati nelle vicinanze. Dal campo principale dipendevano 75 sottocampi, in parte annessi agli stabilimenti della Krupp, dell’Adler, della Daimler Benz, della Heinkel e altre, ai quali erano addetti circa altri 15.000 deportati.

Le condizioni di vita erano quelle comuni a tutti i Lager: cioè disciplina vessatoria, assassini ed esecuzioni arbitrarie, esperimenti pseudo scientifici condotti su soggetti che le SS ritenevano particolarmente adatti per accertare gli effetti del tifo petecchiale e di altre malattie infettive.

Il campo era dotato di una regolare camera a gas, sistemata in un edificio civettuolo, assomigliante ad una cascina, dove furono anche sperimentate e collaudate diverse combinazioni di gas tossici e letali.

Un movimento di resistenza clandestino denominato “Alliance” fu scoperto poco prima che il campo fosse sgomberato. Circa 200 patrioti, in maggioranza francesi, furono impiccati prima che gli altri fossero avviati verso altri campi specie verso Dachau. Le truppe alleate raggiunsero Natzwiller-Struthof il 23 novembre 1944, ma il campo oramai era disabitato.

Memento per le guide del campo di Natzwiller-Struthof

1a fermata (in cima alla scala centrale)

Signore e signori, eccoci nel sinistro campo di concentramento nazista di Natzwiller-Struthof, in cui migliaia di deportati furono assassinati o morirono di esaurimento in seguito a malattie, maltrattamenti, mancanza di cure, privazioni o lavori estenuanti.

In effetti, si trattava di un campo di sterminio, l’unico esistente sul territorio francese.

La sua costruzione fu cominciata il 21 maggio 1941. I materiali furono portati a spalla, dall’albergo situato molto più giù, perché allora non esisteva una strada che portasse fino al campo. Anche questa strada è opera dei deportati, che videro morire molti dei loro compagni in questo sforzo gigantesco.

Come potete vedere, il campo è circondato da otto miradors, torrette di osservazione, occupate giorno e notte da sentinelle SS armate di mitragliatrici. Le guardie disponevano anche di potenti proiettori che di notte permettevano loro di esaminare minuziosamente il campo.

Se, nonostante questa vigilanza, un deportato avesse cercato di evadere, sarebbe incappato in questa doppia cinta di filo spinato, una delle quali era elettrificata ad alta tensione. A 200 metri circa, una terza cinta di filo spinato era sorvegliata da altre sentinelle SS. Un’evasione sensazionale fu quella di un francese d’Alsazia che era riuscito a procurarsi una divisa del comandante del campo. Così vestito, salì sulla macchina del comandante e con altri quattro compagni, sul far della notte, uscì dal campo in barba alle sentinelle che presentavano le armi. Riuscì a raggiungere le Forze Francesi Libere in Africa del Nord, e si arruolò. Questa evasione, realizzata il 4 agosto 1942, è l’unica a nostra conoscenza.

Un altro tentativo fu fatto da un francese che aveva scavato una buca e si era ricoperto di rami e di erba aspettando la notte per evadere. Scoperto dai cani la stessa sera del suo tentativo, fu morso dai cani e picchiato a sangue. Fu incarcerato per tre settimane ma non fu impiccato. Qualche tempo dopo riuscì ad evadere dal campo di Erzingen in cui era stato trasferito.

Se ci sono tra voi, signore e signori, persone che hanno avuto occasione di visitare questo campo prima del 1953, lo avranno visto ancora nel suo aspetto originario, cioè con l’insieme delle baracche che oggi non esistono più. Infatti esse erano costruite in legno (come quelle che rimangono ancora più su) e non hanno resistito alle intemperie che imperversano in questa regione: la neve d’inverno, la pioggia, le tempeste le hanno logorate e hanno fatto crollare i tetti. Perciò il Comitato nazionale che si occupa di Struthof è stato costretto a far smontare le baracche e a farle bruciare  in presenza delle autorità  civili e militari.

Oggi vedete solo le diverse piattaforme sulle quali erano costruite queste baracche,  l’ubicazione esatta è segnata dalle aree di ghiaia rosa. Poiché Natzwiller-Struthof è diventato un luogo di pellegrinaggio nazionale, ogni area è consacrata a un noto campo di concentramento: Buchenwald, Dachau, Auschwitz, ecc., i cui nomi sono incisi sulle lastre di pietra.

Il monumento che vedete lassù è il monumento commemorativo della Deportazione. È alto 50 metri, è fatto di un blocco di cemento in cui sono ricavate dieci “ciminiere” cilindriche ed è ornato di pietre di Hauteville (dipartimento dell’Ain).

La realizzazione della parte architettonica e simbolica si deve all’opera di Bertrand Monnet, capo-architetto dei monumenti storici, e di Lucien Fenaux, scultore che ha vinto il Gran Premio di Roma.

La base del monumento è sistemata a tomba e vi giace il corpo di un deportato francese ignoto.

Questo monumento commemorativo è stato inaugurato il 23 luglio 1960 dal generale Charles De Gaulle, Presidente della Repubblica.

Più su, a sinistra, si trova il cimitero nazionale della deportazione. In questa necropoli sono inumati 1.120 deportati francesi, morti in diversi campi di concentramento nazisti, e i cui corpi non sono stati richiesti dai familiari. Si tratta:

– dei corpi affidati allo Stato secondo le disposizioni che concernono il diritto alla sepoltura perpetua (vedi l’articolo L 498 del Codice delle pensioni militari d’invalidità e delle vittime di guerra), cioè francesi e alleati “morti per la Francia” in servizio durante operazioni di guerra, inumati a titolo perpetuo nei cimiteri nazionali;

– dei corpi non identificati.

Vogliate seguirmi per favore.

2a fermata (davanti al “mirador” n. 7)

Ci fermiamo solo un attimo, signore e signori, in questo posto che vi darà un’idea di quello che i deportati avevano chiamato il “burrone della morte”. Spesso, infatti, le SS o i Kapò spingevano un deportato nel burrone, verso la cinta di filo spinato, nella zona proibita. Questo atto, benché non volontario da parte del deportato, veniva comunque interpretato come tentativo di fuga e immediatamente le SS di guardia nel mirador sparavano e uccidevano il disgraziato.

Scendendo lungo il camminamento a destra, vedrete delle piattaforme che erano allora il cosiddetto “giardino”. Le SS facevano piantare fiori dai deportati che erano troppo deboli per essere utili altrove. Quindi, da una parte del camminamento c’erano i fiori con i loro petali multicolori, dall’altra la sofferenza e la morte. Anche in questo posto parecchi deportati furono abbattuti dalle sentinelle SS.

3a fermata (sulla grande piattaforma a semicerchio, nella parte inferiore del campo)

Questo luogo, signore e signori, permette una visione d’insieme del campo e ne approfitto per darvi alcune spiegazioni.

In mezzo vedete grandi piattaforme centrali disposte a gradino. Erano le aree per gli appelli, ben conosciute dai deportati col nome tedesco di Appelplatz. Vedete anche le scale principali, a sinistra e a destra delle quali c’erano le baracche. Esistevano 17 baracche; la cucina costruita in legno, il crematorio e il bunker in pietra sono quelli originali.

La baracca n. 1, che accoglie il museo, è stata completamente distrutta nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1976 da un piromane, ma è stata ricostruita tale e quale. L’entrata delle baracche era generalmente orientata verso nord. Ai lati si trovavano un dormitorio e un refettorio. Al centro c’erano i lavandini e la ritirata.

L’effettivo normale di una baracca, larga 12 metri e lunga 47, era di 300 persone. Ma nel 1944 questa cifra fu superata: i refettori servivano da dormitori e i deportati si ammucchiavano, uno dalla parte della testa, l’altro dalla parte dei piedi, due, tre e tal-volta quattro in una lettiera.

Qualche informazione, ora, sulla vita del campo: d’estate la sveglia era alle 4, d’inverno alle 6. Appena alzati i deportati si dovevano lavare a torso nudo con l’acqua gelata, finché c’era acqua. Si vestivano e ricevevano mezzo litro di tisana o di surrogato di caffè. Si recavano poi, in file di cinque, sulle piattaforme dove si svolgeva l’appello.

Le SS contavano gli uomini di ogni baracca e i morti della notte che i compagni dovevano portare con sé per il primo appello. Gli appelli si prolungavano talvolta per ore, mentre i deportati dovevano stare in piedi, in ordine di altezza, immobili, d’inverno nella neve e d’estate sotto la pioggia e i temporali o sotto il sole ardente. Finito l’appello, si recavano alle piattaforme 1a e 2a dove si formavano le squadre di lavoro. Poi andavano al lavoro forzato: nelle cave di granito, nell’officina di riparazione dei motori degli aerei, 1500 metri più su, nella cava di sabbia, a costruire la strada; nel Kartoffelkeller (silo per patate) a 100 metri dall’ingresso del campo.

Quando c’era nebbia le squadre di lavoro non uscivano. I NN (Nacht und Nebel: notte e nebbie: è la locuzione che definiva i prigionieri politici della Germania nazista che durante la Seconda guerra mondiale venivano condannati a morte, ma erano ancora in attesa di esecuzione, NdR) e i puniti restavano immobili, in file di cinque, vicino alla porta d’ingresso, talvolta per ore.

In fretta veniva servita una magra porzione (zuppa) e di nuovo venivano radunati. Alle 18 un terzo appello nelle stesse condizioni, ancora più lungo e più penoso.

Nella baracca, poi, distribuzione della cena: mezzo litro di surrogato (Ersatz) del caffè o di tisana, circa 2 etti di pane e un po’ di grasso sintetico. Nel 1943 il pane fu ridotto a un etto a testa.

Il lavoro era distribuito e sorvegliato da detenuti chiamati Kapò e da uomini scelti tra i detenuti comuni che si erano fatti notare per la loro brutalità. Ogni squadra di lavoro era agli ordini di una SS, quasi sempre accompagnata da un cane pronto a mordere, che esercitava una continua sorveglianza.

I deportati erano obbligati a lavorare. Quando il loro lavoro era giudicato insufficiente, non ricevevano più da mangiare. Dovevano lavorare anche i malati e i feriti, aiutati dai compagni.

Di lato, nella discesa, si trovava l’infermeria (Revier, abbreviazione di Revierstube), che comprendeva parecchie baracche in cui agonizzavano i malati e in cui morivano i deportati estenuati dalla stanchezza e dalle privazioni. I detenuti francesi ebbero accesso all’infermeria solo a partire dal 21 ottobre 1943. È probabilmente nella 5a baracca, nella discesa, che morì il 13 giugno 1944 il generale Frère, ex governatore militare di Strasburgo, capo dell’ORA (Organizzazione della Resistenza dell’esercito).

In una di queste baracche si trovavano anche i generali Jouffrault e Delestraint.

Il generale Jouffrault, secondo varie testimonianze, sarebbe morto di cancro nella baracca n. 6. In quanto al generale Delestraint, che fu il capo morale particolarmente rispettato da tutto il gruppo dei deportati francesi, fu assassinato successivamente a Dachau con una pallottola alla nuca, il 19 aprile 1945, dieci giorni prima della liberazione di quel campo da parte degli Alleati.

È da aggiungere che il campo è stao liberato il 23 novembre 1944 dal primo esercito francese, ma le SS lo avevano già fatto evacuare in gran parte all’inizio del mese di settembre 1944. Al momento della Liberazione, qui non c’erano più né deportati né SS.

Signore e signori, seguitemi per favore.

4a fermata (nel bunker)

Eccoci nel Bunker. In questa cella i deportati erano puniti per le seguenti colpe:

–         Primo grado: la pena più leggera. Per tre giorni, letto di legno in una cella, pane e acqua.

–         Secondo grado: fino a 42 giorni. Letto di legno, pane e acqua.

–         Terzo grado: fino all’esecuzione. Durante i tre giorni precedenti l’esecuzione, nessuna possibilità né di sedersi, né di sdraiarsi in una cella, pane e acqua.

Durante certi periodi, per esempio nei mesi di agosto e settembre 1944, i deportati erano stipati nelle celle fino a 16-18.

A che cosa servivano quelle specie di cantucci sistemati ai lati dei corridoi?

Erano stati previsti per il riscaldamento, ma abbiamo la prova che questo luogo non è mai stato riscaldato. Invece, secondo varie testimonianze, le SS vi rinchiusero dei deportati, costretti a rimanerci senza poter stare né in piedi né sdraiati, né seduti, ma raggomitolati su se stessi.

Nessuno di questi disgraziati è sopravvissuto a questa atroce tortura.

In questa prigione sono state giustiziate con iniezioni quattro donne, tra cui due francesi appartenenti a reti di informazioni o di azione a favore degli Alleati.

Nella prima stanza, entrando, a sinistra, avrete notato il cavalletto per le bastonate, il Prügelbock su cui i deportati erano legati per il supplizio della bastonatura. Il disgraziato doveva infilare i piedi sotto un’asse trasversale; un’altra asse veniva fissata dietro le gambe in modo che i piedi fossero immobilizzati a terra. Il punito era quindi obbligato a chinarsi e in quella posizione ad angolo retto veniva legato con una cinghia. Riceveva 10, 15, 20, 30, perfino 50 randellate sulla schiena e doveva contare i colpi ad alta voce. Dopo trenta o quaranta colpi, il poveretto quasi sempre sveniva.

Potete visitare una cella. Sono tutte uguali. Vi aspetto fuori per la prossima fermata davanti alla croce.

5a fermata

Eccoci davanti alla fossa di decantazione del campo. In questa fossa le SS facevano buttare le ceneri e le ossa carbonizzate che provenivano dal crematorio e che in certi periodi furono sparse come fertilizzante nell’orto della villetta del comandante.

Davanti a questa fossa vi invito, signore e signori, a rispettare un minuto di silenzio in onore dei martiri morti per la libertà in questo campo.

(Minuto di silenzio)

Vi ringrazio. Proseguiamo, per favore.

6 a fermata (crematorio)

Eccoci, signore e signori, nella baracca senz’altro più sinistra di tutto il campo: contiene infatti il crematorio. Fino all’ottobre 1942, data della sua costruzione, i corpi venivano bruciati nella fattoria Idoux, in un crematorio di campagna sistemato vicino alla camera a gas. I cadaveri che vi dovevano essere bruciati erano prima depositati nell’obitorio che si trova al piano superiore; portati in questa stanza da un montacarichi, a destra nell’ingresso, erano collocati su questa lunga pala di ferro, che veniva poi introdotta nel forno mediante rotelle posate sulla parte anteriore.

Il crematorio funzionava con il coke. Attraverso le aperture del fondo, le fiamme lambivano i cadaveri e li seccavano. Dopo, bruciavano facilmente. Il calore così prodotto serviva a riscaldare l’acqua nel recipiente che alimentava le docce nella stanza vicina.

Sopra questo recipiente vedete alcuni esemplari di zoccoli e ciabatte portate dai detenuti, e potete immaginare quanto gli appelli prolungati erano, d’inverno, una tortura.

Dietro il forno, vedete appesi al soffitto quattro solidi ganci utilizzati per le impiccagioni rapide e discrete, che si svolgevano in questo modo: il condannato stava in piedi su uno sgabello, con le mani legate dietro la schiena; le SS gli passavano una corda intorno al collo, la fissavano al gancio e con un violenta pedata rovesciavano lo sgabello. Così la vittima veniva impiccata.

Quando due o tre venivano impiccati contemporaneamente, venivano fatti salire su una tavola appoggiata su due sgabelli; le vittime, in ogni caso, non cadevano da un’altezza sufficiente per permettere la rottura della colonna vertebrale che causa la morte immediata.

Nella notte fra l’1 e il 2 settembre 1944, furono massacrati 107 membri della rete Alliance, tra cui quindici donne e un uomo di 79 anni, il colonnello Vieljeux, sindaco di La Rochelle. Le SS gli spararono un colpo alla nuca nella sala riservata alle esecuzioni, che visiteremo adesso.

Seguitemi nel corridoio, per favore.

7a fermata

La prima stanza a sinistra entrando nel corridoio è quella di cui vi parlavo. Noterete la pendenza del suolo verso un pozzetto al centro: serviva per permettere lo scolo del sangue e per le operazioni di ripulitura dopo le esecuzioni.

La prima stanza a destra contiene delle urne cinerarie destinate a raccogliere le ceneri dei detenuti tedeschi bruciati nel crematorio. Tuttavia, conviene precisarlo, le ceneri venivano spedite alle famiglie dei detenuti tedeschi contro assegno di 60100 Reichs- marks ma la famiglia non aveva alcuna certezza che le ceneri fossero quelle richieste: spesso, in realtà, si trattava di ceneri qualsiasi.

Durante l’occupazione, le SS mandavano i capelli e i peli dei detenuti, che venivano sistematicamente tosati, a una fabbrica di feltro in Germania, mentre i denti d’oro erano estratti dalla bocca dei cadaveri prima del loro passaggio nel crematorio. Alcuni deportati erano incaricati di questo triste lavoro.

Al momento della Liberazione c’erano ancora qui 29 chili di capelli e peli (di uomini e donne), che sono stati bruciati dalle autorità francesi il 20 settembre 1945, le ceneri sono contenute nelle urne sul tavolo vicino.

Un po’ più avanti nel corridoio, ci troviamo nella cosiddetta “zona medica’’ di questa baracca. Infatti, alla vostra sinistra, vedete una stanza con un lavandino: era l’ufficio dei medici tedeschi Hirt, Hagen e Bickenbach. Di fronte c’era la segreteria e, in fondo a destra, la stanza delle “cavie”. Lì furono rinchiusi i deportati ai quali erano state trasmesse intenzionalmente certe malattie o che erano stati intossicati con gas asfissianti e sui quali medici e professori facevano esperimenti e ricerche.

Vedrete pure esemplari dei letti disposti nelle baracche, con solo due letti sovrapposti mentre nelle baracche erano tre.

Infine, in fondo al corridoio, vedete la stanza delle autopsie effettuate sui cadaveri dei detenuti che sembravano casi interessanti. Al centro della stanza vedete un tavolo con delle scanalature che favorivano lo scolo del sangue.

8a fermata (piattaforma della forca)

Ecco alcuni modelli degli attrezzi usati dai deportati: benne, carriole, carrelli.

In questo posto avevano luogo le impiccagioni pubbliche. Si svolgevano nel modo seguente: il detenuto era costretto a salire su questa botola (una specie di cassa di legno con un coperchio formato da due pezzi); gli veniva legata una corda al collo e veniva attaccato alla forca, con la corda ben tesa. Dopo, una SS premeva sul pedale azionando una molla che faceva aprire il coperchio (la botola). Il torturato si trovava così sospeso nel vuoto, ma senza che si fosse rotta la colonna vertebrale, per cui la morte avveniva solo dopo alcuni minuti di atroce agonia, per strangolamento.

Il servizio di guardia era ovviamente rinforzato e gli altri deportati erano costretti ad assistere all’esecuzione del loro compagno.

Il comandante SS del campo, il famigerato Joseph Kramer, era sempre presente alle esecuzioni e, fumando un grosso sigaro, sembrava che provasse un gran piacere ad assistere allo “spettacolo”.

Un giorno, davanti al corpo penzolante di uno sventurato impiccato, gridò agli altri deportati radunati: “Mi sarebbe del tutto indifferente farvi impiccare tutti come questo!”.

Kramer è stato arrestato dagli Inglesi a Bergen-Belsen, campo di concentramento dislocato in Germania; condannato a morte, fu impiccato il 13 dicembre  nel 1945.

Vi informo che sulla strada, dopo il monumento, troverete la “cava di sabbia” dove si svolgevano le esecuzioni prima della costruzione del crematorio.

Potete ora, se volete, visitare la camera a gas o ritornare al museo della Deportazione, inaugurato il 27 giugno 1963 dal Ministro degli ex combattenti.

Se volete visitare la camera a gas, sappiate che non si trova all’interno  del campo.  

La vedrete di fronte all’Hotel du Struthof, a 1,5 chilometri lungo la strada che porta a Schirmeck. L’accesso in macchina è agevole e l’ingresso è libero.

***

Eccoci al termine della visita. Spero di avervi riferito con obbiettività l’orribile vita in un campo di concentramento nazista. Facciamo in modo che mai più l’umanità possa conoscere simili atrocità.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

3 commenti

  1. Adriana+Valenti+Sabouret

    Un articolo prezioso come utile, preziosa e indispensabile è la memoria di tali fatti che non dobbiamo dimenticare ma trasmettere alle generazioni future.
    Grazie, Paolo Pulina, per il suo pregevole lavoro.
    Grazie, Tottus in Pari.

  2. Grazie per il notevole contributo Paolo!
    25 Aprile sempre!

  3. Giovanni Fenu

    In questo Lager è morto Peppino Zucca nato il 1914 a Narbolia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *