BARANTINAS- 2. NOTE DI STORIA ECONOMICA E POLITICA IN TEMPI DI PANDEMIA: IL “RECOVERY FUND” NON E’ IL “PIANO MARSHALL”

di GIANRAIMONDO FARINA

Da un po’ di tempo, in campo economico e politico nostrano, si sente fare riferimento a questo accostamento, un po’ azzardato: “Recovery Fund” uguale “Piano Marshall”.  Occorre fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto, il “Piano Marshall”, non riguardò solo una questione economica.  Allora vi erano interi Paesi completamente da ricostruire, con una manodopera piuttosto bassa ed il commercio chiuso. Vi erano, altresì, al governo politici e statisti di spessore, profondamente temprati dalla guerra appena finita. Questo piano, denominato European Recostrucion Plan (Erp) riguardò 13.3 miliardi di dollari inviati dagli Usa a 16 Paesi europei tra il 1948 ed il 1952.  Un dato interessante da rilevare è che l’ “Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica” di Milano ha calcolato che all’Italia spettarono un miliardo e mezzo di dollari, corrispondenti al 9.2 % del Pil italiano medio di quel periodo. “Ebbene”- hanno concluso nella struttura guidata da Carlo Cottarelli- “se si considera che il Pil italiano del 2019 è di 1.787 miliardi, il 9.2 % corrisponde a 164 miliardi di euro oggi, cifra non molto lontana dai 206 miliardi del Recovery Fund”. Fin qui le similitudini ed i parallelismi. Occorre, però, distinguere. Con riferimento al “Piano Marshall” l’Italia fu il terzo Paese più beneficiato in assoluto. Dagli Usa arrivarono beni al governo, il quale versava il corrispettivo ad un fondo intestato al Tesoro. Si trattava di beni destinati agli investimenti ed a ridurre il debito. Ne arrivarono di svariati : rame, prodotti siderurgici, sementi e concimi  “in primis”. L’aspetto più interessante, però, è che il ministro del Bilancio, nientemeno che Luigi Einaudi, del denaro ricavato dalla vendita a privati di questi prodotti, in totale circa 300 miliardi, ne utilizzò solo una parte, 62 miliardi, per fare investimenti, equamente suddivisi fra siderurgia, Imi, turismo e costruzioni navali. Il resto venne messo nella stabilizzazione della moneta e nella valorizzazione del risparmio. Si trattò, quindi, di una politica che ridiede fiducia agli investitori in Italia, fungendo da volano per il boom economico degli anni successivi. E’ interessante, infine, capire a chi andarono, in concreto questi soldi. E la risposta è scontata: i prestiti del “Piano Marshall” finirono per rianimare le grandi industrie del Triangolo Industriale. In più, la stabilizzazione monetaria, la ricostruzione, gli investimenti e la rinnovata fiducia nel Paese portarono a risultati insperati e superiori a quelli preventivati sia nel reddito nazionale, che nella produzione industriale, che nei trasporti. Un grande successo che portò l’Italia a mantenere la “barra diritta” verso il mercato occidentale e la stessa comunità europea. Con la differenza, però, che allora vi erano personaggi politici di statura come Einaudi, appunto, in grado di far fare al Paese simili scelte politiche.

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