L’OPERA DI DON LUCIANO IBBA A SICUANI: DIALOGO CON PAOLO ONIDA, VOLONTARIO DI GHILARZA IN PERU’

di ELENA SALE

A Sicuani, in Perù, opera Don Luciano Ibba, missionario Fidei Donum dell’Arcidiocesi di Oristano e fondatore de La Posada de Belèn, una comunità che accoglie bambini e giovani cercando di assicurare loro un futuro migliore. Sono tanti i volontari locali (e non solo) che attivamente, ogni giorno, nel silenzio operano al fianco del sacerdote sardo. Ho avuto il piacere di intervistare un giovane volontario ghilarzese, Paolo Onida, che – per un caso della vita – da alcuni anni collabora con Don Ibba.  

Com’è nata e qual è stata la motivazione che ti ha spinto a far parte del “gruppo” di Don Luciano?  «È stato tutto abbastanza casuale. Don Luciano ha svolto il suo ministero di diacono a Ghilarza quando avevo otto anni. Per un anno è stato protagonista con Don Nicola Deriu del nostro cammino di vita parrocchiale: Azione Cattolica Ragazzi, chierichetti, oratorio. Una figura speciale nonostante il poco tempo trascorso nella nostra comunità. Ci siamo poi “persi” anche se, negli anni, non sono mancati incontri di pochi minuti.  Nel 2011 la mia più cara amica, la Dr.ssa Rita Loi, che aveva già in altre due occasioni prestato volontariato presso la comunità di don Luciano, mi chiese se fossi interessato a vivere un’esperienza in Perù. Ho accettato e sono partito “al buio”. Non saprei dire che cosa realmente mi abbia spinto, considerando la casualità, ma col senno di poi posso affermare che il mistero vita ha voluto che rincontrassi don Luciano».

Che ruolo svolgono i volontari all’interno della comunità? «I volontari svolgono varie funzioni. Ovviamente il tempo di permanenza determina la discriminante, per cui si può “vivere” un servizio piuttosto che un altro.  Ovviamente stare a Sicuani per dieci giorni non permetterebbe mai di “incarnarsi” nella realtà del posto, tantomeno la possibilità di avere un “ruolo” o un “compito” troppo strutturato nella comunità. A quel punto chiaramente si fa un po’ di tutto: dal sostegno nelle faccende quotidiane all’interno della Posada alle attività con i giovani. Se si ha la possibilità di “abitare” il luogo per un tempo un po’ più consistente (tre settimane, un mese) si può pensare, invece, di collaborare per alcune attività che don Luciano ha creato, segue e porta avanti con un’efficacia straordinaria. Ho avuto la fortuna di partecipare ai progetti di attività motoria per gli ospiti del carcere di Sicuani, a quelli sportivi per i giovani del progetto S. Lorenzo presso la Casa della gioventù, alle campagne mediche per la tutela sanitaria delle comunità più povere. Credo sia superfluo evidenziare il fatto che accettare di far parte di una “missione” di volontariato – a prescindere dalle latitudini – significhi accettare incondizionatamente di essere disponibili in ogni istante e per qualsiasi evenienza».

Come sono organizzate le giornate?  Le giornate cominciano con le attività della Posada o dei progetti di Luciano. Si può iniziare con l’accompagnamento di alcuni bambini a scuola, con lo svolgimento di alcuni lavori o qualche attività manuale in casa e in città. Ci si riunisce per il pranzo con tutti i bambini: un importante momento di condivisione. Dopo il pranzo, ognuno svolge le proprie funzioni: chi si occupa dell’ordine della casa, chi della pulizia, chi dell’istruzione. La sera giunge presto e anche la cena – come il pranzo – è un modo per condividere i momenti della giornata con le sue gioie, emozioni e difficoltà. Questi “istanti” quotidiani permettono di vivere a pieno la comunità e danno la possibilità ai bambini, che hanno una particolare sensibilità, di esternare le proprie emozioni. Il sabato pomeriggio ci sono le attività dell’oratorio con il coinvolgimento di tanti ragazzi impegnati a giocare coi più piccoli, o immersi nella riflessione della Parola di Dio, nella preghiera e nel canto. La domenica, nella Celebrazione eucaristica, don Luciano incontra diverse comunità portando loro conforto, speranza e affetto».

Quali sono le differenze con il “nostro” mondo?  «Per molti anni la mia permanenza a Sicuani è stata un ritorno al passato, a quando ero bambino: la campagna con i miei zii, le faccende con le mie nonne. Un mondo semplice, genuino, e proprio per questo prezioso e invidiabile. Negli ultimi anni devo ammettere che il progresso tecnologico è stato impietosamente rapido anche a Sicuani. Tuttavia il ritmo della vita è ancora molto più “umano” che da noi. Anche se, per ragioni sociali, geografiche e antropologiche, sicuramente in quella terra la vita è spesso più difficile, dura e spietata. Le persone, però, danno molta importanza alle relazioni ai sentimenti: sono uomini e donne semplici, dall’animo nobile, sempre col sorriso. Noi, invece, pur avendo la possibilità di adottare questo “modello di relazioni”, ci affanniamo alla ricerca di chissà cosa e perché: questa è la netta differenza con la nostra società occidentale».

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