TURISMO IN SARDEGNA, PIU’ DEI MILANESI POTE’ LA MALARIA

di GUIDO GARAU

Il turismo nasce in Sardegna nei primi anni Sessanta: 700mila presenze registrate nell’Isola, di cui 120mila straniere. Nel 1995 il primo, notevole balzo in avanti: sette milioni e cinquecentomila le presenze, durante l’arco temporale di un anno, di cui un milione e mezzo quelle straniere; i posti letto alberghieri sono già 60mila, 68mila quelli extralberghieri (in gran parte campeggi). Negli anni Duemila un nuovo balzo in avanti: arrivano 15milioni di turisti, di cui ben oltre la metà sono stranieri; centodiecimila i posti letto negli hotel, poco più di centomila nei bed and breakfast, fino alla crescita monstre dell’ultimo decennio, alimentata dal turismo privato, che viaggia low cost e che soggiorna spesso in case “non classificate”.

Nel 2019 le così dette presenze (ossia il numero di turisti che hanno messo piede nell’Isola almeno per una notte) sono state trenta milioni: per l’ottanta per cento concentrate nel periodo che va da giugno a ottobre. L’indice di utilizzazione (IU) medio annuo dei posti letto, l’indicatore più significativo per determinare la redditività generale del comparto, per il settore alberghiero è stato del venticinque per cento, quello extralberghiero meno del dieci. Molte case e molti posti letto vuoti, dunque. La concentrazione del periodo di attività nel solo lasso di tempo estivo e il basso IU sono stati i problemi principali vissuti in epoca pre Covid-19, in gran parte dovuti alle caratteristiche principali dell’Isola, conosciuta e frequentata soprattutto per le sue coste. Per sapere quali saranno i numeri del 2020 bisognerà attendere.

Fino al 1950 le coste della Sardegna erano in mano alla malaria. Il fotografo inglese Wolfgang Suschitzky documentò attraverso un migliaio di scatti poi custoditi in un fondo chiamato “Sardinia Project”, e custodito dall’ISRE, ciò che c’era nelle spiagge sarde fino ad allora: il magnifico nulla.

Di quegli anni eroici in cui i sardi sconfissero una malattia millenaria, nel quadriennio a cavallo tra il 1946 e il 1950, la memoria visiva catturata da Suschitzky riposta una Sardegna primitiva e nuda. Fu la malaria, più che il nemico che arrivava dal mare, a tenere i sardi lontani dagli ambienti marini; fu la malaria a mantenere intatta la bellezza delle coste sarde. Dal 1950 le terre malariche divennero terreni rigogliosi e fertili, le spiagge inagibili aprirono le porte ai turisti. Nel 1946 le coste sarde erano un inferno; appena quattro anni dopo, l’incubo cominciato con i cartaginesi, passato di mano ai fenici, ai romani, ai pisani e ai genovesi era finito.

La nascita del turismo: un modello che si fa sistema. I milanesi arrivarono in Sardegna molto dopo Karim Aga Khan, un principe musulmano. Che un giorno, sorvolando le coste della Gallura a bordo del suo jet privato, si innamorò di quest’oasi selvaggia, dalle cale dalla sabbia bianca accecante, le rocce scolpite dal vento e un mare cristallino e cangiante. Una perla nella punta della Sardegna nord orientale: Monti di Mola, poi rinominata Costa Smeralda. Fu in questo scenario vergine, nel cuore del Mediterraneo, che l’Aga Khan, in una primavera di fine anni ’50, decise di realizzare – là dove mordeva l’arsura e la desolazione – una delle mete più esclusive per il turismo mondiale d’élite. Quando nacque l’omonimo Consorzio sei furono i soci fondatori: il Principe Karim Aga Khan, Patrick Guinness, Felix Bigio, John Duncan Miller, Andrè Ardoin e René Podbielski. Nessuno di loro era milanese.

Quando si stabilì di redigere un piano di sviluppo e di esercitare un rigoroso controllo architettonico, per garantire la conservazione del patrimonio naturale e delineare uno stile capace di coniugare ambiente ed elementi della tradizione costruttiva locale, fu costituito un Comitato e furono nominati i migliori architetti dell’epoca: il piemontese Luigi Vietti, il francese Jacques Couëlle, Michele Busiri Vici, discendente da una famiglia patrizia romana che esercitava l’architettura fin dall’età barocca, e i sardi Antonio Simon Mossa e Giovanni Antonio Sulas (colui che reinventò l’arredamento sardo, coinvolgendo nella produzione di tessuti e complementi d’arredo decine di aziende artigianali nel territorio. Forse il vero inventore del turismo isolano).

Nessun milanese, anche qui. Quegli uomini furono gli ideatori di uno stile architettonico particolare, inserito nel paesaggio e antesignano dello sviluppo sostenibile; applicarono formule urbanistiche, moduli costruttivi e stili architettonici nuovi che riecheggiavano, preservandoli, stile e valori della millenaria civiltà sarda.

Che la Costa Smeralda sia diventato un modello per tutta l’Isola è disputa che in Sardegna accende le più accese diatribe. Una cosa è certa: che da quel modo di fare turismo si prese esempio, e quel modello divenne sistema, creando una nuova economia dal nulla e cambiando, forse per sempre, il modo dei sardi di sfruttare il business delle vacanze. Arrivarono i Palimodde con Su Gologone, i Ninni Paba con Sa Muvara. I milanesi – capitanati dai massimi esponenti dell’imprenditoria e della moda made in Italy, con i loro villaggi, le feste di Marta Marzotto, i Mike Bongiorno – sarebbero arrivati solo dopo, per usufruire dell’offerta del luogo e delle sue strutture e rinfoltire le fila del nutrito esercito dei vacanzieri che, come dicono i numeri, preferisce la Sardegna per la sua bellezza spesso incontaminata. Merito della cara, vecchia nemica: la malaria.

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