“LA RISATA DEI MURI VECCHI” IRROCCOS E CONTRA ATTITIDOS NEGLI INEDITI DI ENZO ESPA

ph: Enzo Espa

di LUCIA BECCHERE

Nel 2017 l’Istituto di Studi e Ricerche Bellieni di Sassari ha attribuito allo scrittore nuorese Enzo Espa un premio speciale alla memoria quale straordinario conoscitore delle tradizioni della Sardegna, curandone un suo inedito riguardante la cultura e la lingua sarda e che oggi vede la luce nella collana L’identità dei luoghi e delle cose col titolo La risata dei muri vecchi (Su risu de sos muros betzoz) Edes edizioni. Il volume, in vendita presso la libreria Koiné di via Roma a Sassari, è un’interessante raccolta che dà corpo alle tradizioni popolari e in cui l’autore analizza le cause e i contesti del loro evolversi.

Il titolo La risata dei muri vecchi, metafora di miti, leggende e memorie di un tempo, evoca la suggestiva leggenda dei vecchi che, accompagnati al dirupo sotto l’effetto d’infusi magici, ponevano fine alla loro vita fra le amare risate dei presenti e il silenzio eterno delle pietre custodi dell’umano passare.

Il testo, arricchito dai disegni di Efisio Espa, nipote dello scrittore nuorese, comprende solo una minima parte dell’immenso materiale che la famiglia custodisce in attesa che venga pubblicato a beneficio delle future generazioni.

Cultore della parola, Enzo Espa ha raccolto le sue testimonianze in tutti quei paesi in cui le società agropastorali che le avevano espresse erano più rappresentative di una civiltà incontaminata. Il suo intento era che tutto restasse inalterato nell’uso fonetico e semantico in quanto insostituibili connotatori di appartenenza. L’opera, che per il suo valore socio-culturale vuole essere anche un valido strumento di studio e di conoscenza dell’evolversi del linguaggio nelle sue forme e nei suoi contenuti, affonda le sue radici in un sottotesto ad alta densità simbolica che per la sua valenza metastorica è lo specchio della storia antropologica della nostra gente. Il grande merito dell’autore è di averci consegnato queste testimonianze nella loro forma originale e di avere approfondito cause ed effetti della loro trasformazione.

Frutto di grande passione e di rigore quasi scientifico, il testo oltre a voler testimoniare l’uso quotidiano di queste forme espressive, ci consegna costumi, credenze, religiosità e codici altrimenti perduti o nella migliore delle ipotesi fraintesi.

Se nella forma orale gli insulti e le ingiurie riportati nella prima parte dell’opera si caricano di diversi significati come la condanna, la derisione o il disprezzo, (ma anche con intento bonario se rivolti a persone amate – ancu ti valet unu bene –) a seconda del tono, della gestualità e del contesto in cui venivano espressi, nella forma scritta i cosiddetti poeti maledicenti, con la loro fantasia hanno dato vita ad un vero e proprio genere letterario atto a divertire il pubblico dove spesso i bersagli privilegiati erano i tratti fisici che rendevano gli uomini facile e diretto oggetto di derisione. Le ingiurie attingevano al carattere, al modo di relazionarsi, spesso mirate ad identificare una persona piuttosto che a recare un’offesa, forme che nel tempo, senza perdere il significato originario, si sono strutturate in una sola breve ed efficace parola, ad esempio narilongu, conchitortu.

Ma proprio nella forma orale più che nella scritta, le ingiurie sono lo specchio di una determinata società in quanto espressioni di un rapporto quotidiano comunitario e che proprio di quel determinato contesto ambientale, storico e sociologico, hanno espresso la misura dell’evolversi di forme e significati tipici del luogo.

Nella seconda parte vengono riportate imprecazioni, maledizioni ed esecrazioni, forme maledicenti spesso rafforzate da una eloquente gestualità come falsi sputi e altri atti scurrili capaci di sottolinearne l’ira e il totale disprezzo, oggi svuotate del loro reale significato e poco rappresentative della vis che un tempo le caratterizzava, ma grazie alle quali si riesce anche a ricostruire fatti realmente accaduti. Molte di queste formule servivano per rafforzare i giuramenti ( chi mi facan a cantos) mentre altre venivano introdotte da forme deprecative quali ancu – male – chi ti – malannu – malaittu… particelle ambivalenti, forme augurali di bene o di male, così che la stessa imprecazione assumeva un significato diverso a seconda del tono e del contesto in cui veniva utilizzata.

Nessuna ingiuria o maledizione era mai rivolta a Dio, alla Madonna, ai Santi, ai luoghi e a gli oggetti di culto, ai preti, ai frati, alla famiglia, ai genitori e ai bambini, contro le divinità o contro i defunti, così come ai padrini dei propri familiari perché in tal caso la maledizione sarebbe ricaduta sulla persona che la proferiva o sui propri familiari. Proprio perché ritenuta dalla comunità un fatto devastante, chi la pronunciava o solo sentiva pronunciare, si affrettava ad aggiungere, fosse anche sottovoce, la formula oras de noi (lontano da noi) per esorcizzare l’influenza malefica della maledizione.

Possiamo affermare che oggi l’atto maledicente – che negli anni ha perso molta della sua forza negativa a favore di un intento più canzonatorio – è diventato un fatto di costume, lessico popolare e fatto letterario. Nel testo vengono riportati anche irroccos e irroccheddos che non sono maledizioni vere e proprie e che nella cultura popolare di un tempo avevano valori semantici differenti ma che oggi hanno solo una valenza documentaria.

Accanto agli attitidos, canti rituali che esaltavano la figura del defunto, potevano essere improvvisati i contra-attitidos: lamenti ingiuriosi che si diffondevano con rapidità sorprendente nel paese, atti a risuscitare il trascorso non sempre limpido dei defunti.

Le ingiurie fra i paesi, assumevano una funzione canzonatoria così come quelle rivolte ai bambini distratti per richiamarli all’obbedienza Nicola… ogni passu una colora chi ti essat! (Nicola… a ogni passo una biscia), Zuanne… ancu mandighes sa lanne!  (Giovanni… possa, mangiare le ghiande).

La raccolta si chiude con i chiapparelli, detti anche istropoddos o jocos piludos, forme orali oggi pressoché scomparse. Una sorta di indovinelli e scioglilingua nei quali l’imprecazione veniva utilizzata dai bambini che giocavano a rincorrersi.

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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