IL CAMBIAMENTO CLIMATICO VISTO DA VICINO: “TREE AROUND ME” CON LA FONDAZIONE L’ALBERO DELLA VITA

di ANNA SPENA

 “Tree Around Me”, il progetto di Fondazione l’Albero della Vita che vuole raccontare l’emergenza climatica, è arrivato a metà del percorso. 12 Paesi e 5 continenti per toccare con mano le conseguenze del cambiamento climatico. Elisabetta e Mattia hanno già visitato la Costa d’Avorio, il Kenya, l’Indonesia e Taiwan. E adesso sono pronti a ripartire. Visiteranno Thailandia, India, Filippine, Brasile, Perù, Cile e Haiti. «Non sono un esperto del cambiamento climatico», racconta Mattia dell’Era, responsabile comunicazione digitale della Fondazione L’Albero della Vita, «ma quello che voglio condividere è una “esperienza”, intesa come testimonianza diretta sul campo che ho vissuto negli ultimi mesi insieme mia moglie Elisabetta». Lo scorso 8 maggio infatti Mattia ed Elisabetta sono partiti per un viaggio “dentro al cambiamento climatico” , Tree Around Me, per capire da vicino e concretamente cosa succede quando la terra si surriscalda, i ghiacciai si sciolgono e il livello del mare si alza. Il progetto, messo in piedi da la Fondazione L’Albero della Vita in collaborazione con Cadis — Ordine dei Ministri degli Infermi e l’organizzazione non governativa Cefa, è un percorso lungo un anno che tocca 12 Paesi attraverso 5 continenti per raccontare i territori e le popolazioni che spesso hanno come unica risorsa l’ambiente in cui vivono. «Partendo dalla Costa d’Avorio», continuano Mattia ed Elisabetta, «visitando Taiwan e passando per Australia, Kenya e Indonesia, io e mia moglie siamo stati testimoni di realtà davvero in piena emergenza». La testimonianza di Mattia ed Elisabetta.

Costa d’Avorio. Siamo arrivati ad Abidjan, la città più popolosa della Costa d’Avorio». Il Paese è tra i primi tra quelli africani che emigrano verso l’Europa: «Nei villaggi», raccontano Elisabetta e Mattia, «le persone mettono insieme i pochi soldi che anno e scelgono una sola persona da far partire. La più promettente, quella più forte fisicamente. E se non ce la fanno non tornano indietro, piuttosto si suicidano. Qui, in questo Paese, tutto si basa sulla coltivazione del cacao: «rappresenta un terzo delle esportazioni del paese e fornisce un reddito per oltre 5 milioni di persone. Questa è messa in discussione dall’aumento delle temperature che ridurranno la fertilità del suolo nelle regioni agricole del sud-est. Secondo la Banca Mondiale il Cambiamento Climatico porterà dal 2% al 6% in più di famiglie in estrema povertà entro il 2030. Ciò corrisponde a circa 7 milioni di persone che vivono con meno di $ 1,90 al giorno, rispetto ai 6 milioni di oggi.

Kenya. Una boccata d’aria a Nairobi è un pugno ai polmoni. Oltre ai gas di scarico delle macchine, c’è anche l’utilizzo di combustibili fossili per cucinare, come legno e carbone, e i fumi negli slums rendono l’aria irrespirabile. Per non parlare dei rifiuti bruciati all’aperto e vicino alle baracche, rifiuti di qualsiasi tipo, che generano altri fumi tossici. Ci siamo fermati in Kenya per cinque settimane e questa è stata la parte più faticosa del viaggio. Qui ti rendi davvero conto – e non è un luogo comune – che le relazioni umane sono tutto. L’accoglienza per noi è sempre gentile, e noi ci sentiamo quasi in imbarazzo di fronte a tanta povertà.

Azmera ci racconta di aver partorito il secondo figlio nel letto, unico letto presente, dentro la baracca, e ci viene da pensare che probabilmente non avrà mai lavato quelle lenzuola e quel materasso. Il Cambiamento Climatico ha colpito anche lei che, qualche anno fa, ha dovuto abbandonare il villaggio in cui viveva perché la vita nelle campagne non era più sostenibile dovendo fare i conti con la morte del bestiame e l’incertezza costante dei raccolti dovuta ai lunghissimi periodi di siccità. Così un bel giorno ha lasciato i suoi affetti, amici e parenti, ed è “approdata” a Nairobi in cerca di fortuna. Il sogno di riscatto della maggior parte delle persone che lasciano la campagna e arrivano a Nairobi spesso si infrange in una baracca di 4 metri quadri dello slum, unica abitazione che si possono permettere. In Kenya esiste un clima complesso e variabile, tuttavia, il clima anche qui sta cambiando. Le temperature sono aumentate fino a 2 gradi negli ultimi 100 anni. La frequenza delle precipitazioni è cambiata e le inondazioni sono aumentate da una media di 3 eventi all’anno negli anni ’80, a più di 7 negli anni 2000. Questa vera e propria emergenza climatica ha anche provocato lo spostamento di comunità e la migrazione di pastori all’interno e all’esterno del paese, provocando conflitti sulle risorse naturali transfrontaliere; competizione per le scarse risorse ed epidemie di malattie diffuse. Lo slump di Kibera continua ad allargarsi. Gli slump sono la cosa più inumana che possa esistere. Qui c’è un odore nauseabondo, e le persone ci convivono tutto il giorno. E vivono settimane senza lavarsi e se lo fanno usano l’acqua sporca. Tra le stradine dove si accavallano le baracche si cammina in mezzo agli escrementi. Queste finte città assomigliano all’inferno. Da Nairobi ci siamo spostati Samburo, regione centrosettentrionale, per conoscere i pochi che resistono. Durante il viaggio tra le strade – che non sono strade vere – l’autista ci ha raccontato che fino ad un anno prima tutto era verde. Ma noi, mentre ci muoviamo, vediamo solo il deserto. Il cambiamento climatico c’è e va veloce. In questi villaggi lontani da tutto donne e bambini raccolgono l’acqua nera dalle pozzanghere. E fanno chilometri a piedi per raggiungerle. La verità è che in Africa non si possono difendere dal cambiamento climatico: le persone, che sono allo stremo delle forze seminano. Ma la pioggia non arriva. Eppure è incredibile la loro resilienza, la loro forza.

Taiwan. E’ la “New York” cinese, qui ci siamo fermati due settimane. E sempre qui abbiamo capito che il cambiamento climatico è diverso da luogo a luogo. Ma non meno pericoloso ed impattate soprattutto per la parte più povera della popolazione. La prima certezza è che su questa “stessa barca” ci siamo davvero tutti, dai più vulnerabili che stanno già pagando le conseguenze dell’emergenza climatica fino ad arrivare a noi che abitiamo i Paesi più industrializzati e che, almeno finora, abbiamo i mezzi per “scampare” quelle stesse conseguenze. A Taiwanla siccità ha lasciato il posto alle alluvioni. I più ci raccontano dei violenti tifoni che ogni anno si abbattono sull’isola causando morte e distruzione. Lin, un’anziana che vive in una casa di riposo, ricorda che all’epoca del boom economico Taiwan era considerata l’isola della spazzatura. Ma oggi le cose stanno cambiando ed il Paese è impegnato per ridurre emissioni di carbonio, promuovere riciclaggio e economia circolare. Entro il 2050, con gli accordi di Parigi, l’isola vuole ridurre del 50% le emissioni di anidride carbonica».

Indonesia. E’ uno dei primi 10 paesi al mondo per emissione di gas serra e se si continuerà così nel 2050 il 95% della porzione settentrionale di Giacarta sarà sommerso.Gli effetti del cambiamento climatico qui sono devastanti: piogge torrenziali e tsunami si moltiplicano. Così, il governo sta riflettendo ad una soluzione drastica, spostare la capitale al di fuori dell’isola di Giava. Giacarta sta di fatto sprofondando. Entro il 2100 l’impatto l’emergenza climatica avrà un costo fino al 7% sul pil del Paese. Oggi a Giacarta vivono 10 milioni di persone che arriveranno a 35 milioni entro il 2030. La maggior parte della popolazione è povera, pochi hanno accesso ai servizi sanitari.

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