PASSIONE UNIVERSALE: INES SAU E IL BALLO SARDO, BINOMIO VINCENTE NELLA LOMBARDIA DEGLI EMIGRATI SARDI

ph: Ines Sau
di MASSIMILIANO PERLATO

 “Mettetevi in cerchio, ben stretti a chi vi sta vicino, chiudete gli occhi,

concentratevi sulla musica e lasciate che sia lei a guidare i vostri passi.”

Ines Sau è una persona molto conosciuta e stimata a Milano ed hinterland per la sua infinita passione per il ballo sardo. Un amore associato ad una generosità interiore che non ha eguali e che ha continuamente cercato di trasmettere a coloro che in qualche modo avevano a cuore la Sardegna. Attualmente coordina un seguitissimo corso di danze tradizionali presso il circolo A.M.I.S. Emilio Lussu di Cinisello Balsamo. La sua peculiarità maggiore è che con questa passione è riuscita a contagiare coloro che la Sardegna non la conoscono. Significativa è la recente realizzazione presso il circolo culturale “Paolo Bentivoglio” dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Milano di un corso apprezzato di ballo sardo. Una festa sarda per iniziare in collaborazione alla giovane organettista Valentina Chirra che ha eseguito le musiche dei più popolari balli sardi, per far familiarizzare ai ritmi isolani le persone presenti. Successivamente è iniziato il corso vero e proprio, dove Ines Sau ed i suoi allievi si ritrovano a Milano, in via Bellezza, prendono ciascuno sottobraccio un non vedente e guidano i suoi passi nei balli più facili, belli e coinvolgenti della tradizione sarda come su ballutundu, su dillu, su passue’trese, su ballue’ Teti. I nuovi allievi hanno rivelato una sorprendente facilità nell’apprendere le danze, non solo chi era un ballerino già da prima di perdere la vista, ma anche coloro che per la prima volta hanno provato il piacere di muoversi a ritmo di musica. Grandi applausi e manifestazioni di gioia alla fine di ogni ballo per tutti, e soprattutto per Ines, il compiacimento più elevato.

Ma siamo partiti dalle pagine più attuali della vita di Ines. Che ha una storia da raccontare sin dal 1953, l’anno di nascita a Tonara. Una storia di emigrazione è sempre malinconica e tante persone che hanno lasciato l’isola soprattutto negli anni sessanta, si rispecchiano con mestizia.

“Ho vissuto a Tonara sino all’età di nove anni – ci racconta Ines – con i genitori, i quattro fratelli e la nonna materna, che era il vero faro della nostra famiglia”.

Ines riferisce diversi aneddoti dei suoi primi anni di vita, con la presenza costante della nonna. Come quando si recava al mercato e rientrava con un cartoccio di anguille ancora vive che cercavano di dileguarsi ovunque, fra l’ilarità generale dei bambini. O le sere trascorse ad ascoltare i suoi lunghi e dettagliati racconti intorno al camino. I fratellini Sau l’ascoltavano incantati.

Traspare l’emozione nelle parole di Ines e dei rammenti che si reiterano ogni volta. Come il ricordo sbiadito dei carnevali del nuorese trascorsi attorno al fuoco nella piazza del paese e la musica travolgente dell’organetto.

Il racconto di Ines cambia drasticamente tonalità con i flashback della partenza. Era il 1962. “Ho ancora impressa nella memoria la dolente immagine del volto di mia nonna. Era il giorno in cui abbandonai la Sardegna. quando la letterina passò a prenderci. Ero felice dell’idea di partire. Ipotizzavo fosse un viaggio con un’andata e un ritorno, una piccola avventura. Solo quando mi sono resa conto che mi avrebbero portato via per sempre dalla mia casa, dalla nonna e dalle amicizie, è cominciata per me la disperazione. Mi sono aggrappata al vetro urlante e nonna piangeva come non mai.”

Per Ines l’approccio con il Continente è stato devastante. “Il peggio si è mostrato quando siamo arrivati in una cascina che non aveva neppure il bagno in casa. Necessitava andare nella stalla per espletare i propri bisogni. Non sono mai riuscita ad accettare tutto questo, nonostante fossi solo una bambina. E poi mi mancava terribilmente casa, la Sardegna, le persone che conoscevo a Tonara – sottolinea Ines – La nebbia spesso presente nelle giornate, m’incuteva sgomento. E i primi anni sono stati davvero complicati.”

A scuola Ines e il fratellino più piccolo patiscono tante prepotenze, perché “terroni”. Oggi lo chiamano bullismo. In quegli anni era un vero attacco incessante alle sue fragilità di bambina. “Sulla mia pelle ho vissuto l’onta di sentirmi diversa, non gradita. I dispetti sono stati innumerevoli. E la derisione era una costante. Ogni giorno e solo a noi, l’insegnante ci controllava i capelli alla ricerca dei pidocchi. Come se fossimo diversi dagli altri. E soprattutto più sporchi e inadeguati.”

Ines, oggi generosa e forte, edifica in quegli anni il suo carattere determinato, da vera donna sarda. Erano gli anni della grande emigrazione di massa alla ricerca di un lavoro. Il padre aveva già trascorso tre anni in Francia per guadagnare qualche soldino. Che non bastavano per sorreggere tutti i componenti della famiglia a Tonara. Così ci fu la scelta di approdare in Lombardia per fare il mungitore. “In quell’epoca davano in gestione la casa al dipendente e quindi ci ha portati tutti da lui. Per stare insieme. Per essere famiglia. Ogni tanto giungeva qualche paesano a trovarci in cascina. Ed era il momento più felice in quegli anni. Sembrava tra risate e suoni di tornare a Tonara.”

Era il 1969 quando ci fu per la famiglia Sau il definitivo trasferimento a Bussero alle porte di Milano. La fanciulla Ines con i suoi 16 anni, instilla le radici definitive alla sua esistenza. L’anno dopo i genitori acquistarono un bar trattoria con degli alloggi. Quel posto divenne il “bar dei sardi”. Molti gli emigrati dell’isola che ci bazzicavano, vivendo nella zona. Ed i fine settimana erano sempre una festa d’aggregazione tipica dell’isola. “Talvolta ci capitava di ospitare anche giovani sardi che raggiungevano il Continente senza un punto di riferimento. Per loro raffiguravamo una specie di trampolino di lancio. In quegli anni da noi veniva anche Gianni Zucca, un tonarese che suonava l’organetto. Ed è con lui che ho cominciato a muovere i primi passi nel ballo sardo. Danzavo con mio padre che era bravissimo e mi ha insegnato i primi passi trasmettendomi una passione enorme per questa tradizione tutta nostra.”

Nel 1974 Ines si sposa con un tonarese. “L’ho amato da subito e non ho ancora smesso di farlo. Abbiamo cresciuto tre figli seppur con mille difficoltà per alcune incertezze di salute. Una volta cresciuti i figli mi sono dedicata anima e corpo alla mia passione universale: il ballo sardo. E per poterlo fare, con alcune amiche abbiamo costituito un’associazione di danze popolari internazionali iniziando a proporre corsi, stage e feste d’aggregazione. Fra mille dubbi e perplessità altrui, ho avviato un percorso basico di ballo sardo. Lo scetticismo è andato diminuendo con il tempo. E grazie alla competenza dei collaboratori, alla fine la mia testardaggine ha avuto la meglio: ora il ballutundu non è più un mistero per alcuno.”

Negli anni Ines era parte attiva in un gruppo folk che rilanciava le tradizioni musicali dell’isola. Le sue esibizioni avvenivano con grande orgoglio con l’abito tradizionale che apparteneva alla madre.

Ines non è più la bambina “fragile” che aveva abbandonato la Sardegna tanti anni fa. E’ una donna pratica con idee molto chiare. Si è resa autonoma e propone la sua esperienza a gruppi e associazioni. Oltre all’attività con i sardi di Cinisello Balsamo e i non vedenti, nel gennaio 2020 prenderà il via il corso con il circolo Arci Bellezza di Milano oltre all’organizzazione di stage con l’associazione “Lo stivale che balla”.

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6 commenti

  1. Bellissima ❤️❤️❤️

  2. Grande Ines!!!😘

  3. Con orgoglio la mia insegnante di ballo sardo…. Mi ha emozionato bravissima

  4. Salvatore Ledda

    Salve, mi chiamo Salvatore Ledda di santa Giusta, figlio d’arte. Mio padre , Ireneo, iniziò con il folklore negli anni 50, poi proseguí io nel 1976 con gruppi folk e tutto quel che concerne la ricerca e lo studio del ballo sardo. Da quel giorno non mi sono mai fermato , ho continuato a ballare e a studiare il ballo stesso : antropologicamente, storicamente e geograficamente. In Sardegna siamo rimasti in stasi circa vent’anni dal 1980 al 2000, dando più spazio ai cosiddetti balli “civili”, bellissimi, ma non di nostra appartenenza. Dopo varie serate con i gruppi folk, nel 2004 decisi di aprire una scuola di balli tradizionali tutt’ora attiva, dando vita anche agli studi si etnocoreologia e condividendo tutto ciò con la mia compagna di vita Ilaria. Mi sento figlio del folklore e spero che queste tradizioni non tramontino mai, nei miei 58 anni vorrei aver lasciato un seme di rinascita e conservazione della nostra cultura. Salvatore Ledda, Santa Giusta. 01/07/2022

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