UNA STORIA FATTA DI MEMORIA, MITO E IMMAGINAZIONE: IL LIBRO “ABBARDENTE” (NEOS EDIZIONI – TORINO) DI PINUCCIA CORRIAS

ph: Pinuccia Corrias
di LUCIANA TAVERNINI

Pinuccia Corrias vive tra Torino, la Sicilia e la Sardegna, ma ha vissuto a Milano, Roma e Napoli, luoghi in cui ha saputo mettere radici, senza sradicarsi dai precedenti. Conosce l’esperienza, oggi sempre più comune dell’emigrazione e allo stesso tempo ha la consapevolezza di un senso di profonda umanità che lega tutti gli esseri umani, ben rappresentata nel racconto “Shalom Inshallah Amén” con cui, nel 2014, ha vinto il concorso Lingua Madre. Da femminista nella scuola ha contribuito alla pedagogia della differenza e ha una scrittura che mette in luce la presenza femminile nel mondo. Nel suo ultimo libro, Abbardente (Neos edizioni, Torino 2017), costruisce una ballata sarda dove, attraverso la voce della cantadora – narratrice, ci si immerge in un mondo antico ma straordinariamente vivo.

Una vicenda antica che ci parla. La storia è ambientata in un paese dell’interno della Sardegna nel periodo della dominazione aragonese, quasi 600 anni fa, ma le forze che la muovono sono ancora attuali perché le donne e gli uomini che agiscono sono spinti da sentimenti, passioni, bisogni, forze tuttora presenti. Amori, tradimenti, silenzi, alleanze, sconforti, speranze, potere, sessualità, legami tra donne. Un microcosmo con continui e imprevisti cambiamenti. Infatti il libro è costruito come un’indagine, piena di colpi di scena, in cui fin dal prologo si sa che vi è stato, tantissimo tempo fa, un delitto: i soldati spagnoli hanno impiccato una donna. Il mistero da scoprire riguarda il perché quella donna si trovava sola nel paese. Porre al centro una donna permette all’autrice di mettere a fuoco diverse personagge e personaggi in relazione, delineando la storia di un’intera comunità, in cui privato e pubblico non sono separati, in cui la materialità dell’esistenza, la socialità, il rapporto con forze ultraterrene, il potere di chi opprime sono interconnessi. La dominazione aragonese è una metafora e Oráne appare come un luogo dell’anima. Il popolo sardo e le donne sono assenti dalla grande storia e per la loro rappresentazione sono importanti le parahistorias; racconti fatti, come questo, di memoria mito immaginazione, per dare voce e dignità, con la poesia, alla vita che ostinatamente c’è dietro la marginalità. L’autrice in un’intervista rivela che il suo libro si basa più sull’antropologia che sulla storia; “rimembranze, frammenti di un fare arcaico che intesse il presente, echi di voci lontane incapsulate nelle viscere, “scarti” che la storia ufficiale disdegna. Proprio come quelli che aveva gettato nella mia vita l’ossessione del vecchio professor Manca che da ragazzo aveva avuto sotto gli occhi quel lacerto di storia locale in un disordinato archivio notarile: una donna trovata sola in un paese abbandonato dagli abitanti per sottrarsi a un tributo esoso. Cosa potevo farne io? E perché sembrava appartenermi? La prima cosa che seppi fu il suo nome: Grixenda, pronunciato con la x dolce del Campidano da dove veniva mia madre. Portava uno scialle a fiori: quello sardo in cui mi ero avvolta il capo per andare a cercare in una città ignota l’altra che mi aveva strappata di colpo al mio “sogno d’amore”. E l’avevo già vista a Venezia nelle sculture di Antìne Nivòla, nato a Orani e vissuto a New York. Grixenda apparteneva a un popolo che reagiva all’ingiustizia e all’offesa, sottraendosi. Come me. Chi mi conosce sa, infatti, che pur non essendo una biografia, in Abbardente non c’è niente che non parli di me.”

Una scrittura distillata da uve diverse. La scrittura è affascinante per la straordinaria varietà: vi è il ritmo di un racconto cantato, la lingua italiana con intarsi preziosi di termini sardi (balentía, faddhisa, laóre, ecc.), modi di dire e proverbi inseriti in maniera colloquiale (chi può s’aggiusti, chi non può s’impicchi; i bambini appena usciti dall’uovo; ecc.), l’uso personale delle maiuscole come faceva Emily Dickinson, le frasi incisive e brevi.  Si tratta di una lingua, come Corrias racconta nell’intervista,“frutto di una vita emotiva e relazionale trascorsa dentro ordini simbolici e registri linguistici diversi, vissuta fin da bambina con una presenza attiva e riflessiva che, da quando ne ho avuto gli strumenti, si è sempre trasformata in scrittura. Da una parte l’italiano colto di mio padre, vissuto da giovane, tranne durante la guerra, a Firenze e Parigi. Dannunziano come la mia anziana maestra,insieme curarono da subito la mia scrittura e le mie abbondanti e ottime letture. Accanto a loro, la lingua ciceroniana del parroco – dottor Peana! -, maestro di Sacre Scritture e di retorica. A Leopardi e Pascoli delle elementari si contrappose nelle medie la poesia ermetica del Novecento; quindi l’Iliade e l’Odissea riempirono i miei quaderni di parafrasi e commenti e la mia classe di appassionate discussioni. Dall’altra parte il mondo di mia madre, dei miei fratelli maggiori, delle donne del vicinato, delle feste popolari, delle gare di poesia estemporanea in sardo, dei riti e dei misteri…della vita, insomma. Abbardente è il succo di tutto questo. Il titolo, infatti,indica la grappa sarda che si fa distillando raspi di uve diverse”.

Dietro questo libro ci sono quarant’anni di letture, spesso condivise e discusse, che permettono una rappresentazione rivelatrice e non folcloristica di un popolo, delle donne e degli uomini che lo compongono, letture non esibite ma di cui veniamo a conoscenza attraverso l’exergo, che delinea il percorso filosofico del testo, l’appendice Note di guida alla lettura con la traduzione e la spiegazione antropologica dei termini sardi e con l’origine letteraria e/o filosofica di determinate concezioni e modi di sentire. Inoltre nei Ringraziamenti possiamo cogliere legami tra luoghi e persone che hanno permesso la lunga creazione del testo. “S.Atzeni– ricorda l’autrice –mi ha dato lo stupore di capire come il brulichio di ‘sussurri e grida’ che mi abitava aveva un timbro sardo, che poteva essere messo in parole nel modo come già G.Deledda aveva praticato, inventando una lingua italiana sapida di sarditá. Le filosofe di Diotimamisonostateessenziali per ‘mettere al lavoro il negativo’ e riflettere sulla lingua materna. C.Wolf mi ha autorizzata a dare voce e volto all’odio nella figura di Arrega Loj. E infine le mistiche del ‘900, con la cui farina ho impastato il concetto di ‘identità vocazionale’. Chiamo così la consapevolezza dì sé a cui, come un cavaliere medievale, giunge, grazie alla grandezza delle donne che lo hanno amato e educato, Toriccu, servo – pastore non solo di pecore ma anche di creature umane.”

Presenza delle donne e ritualità. Leggendo il libro partecipiamo ad alcuni riti della tradizione sarda, seguendo gli esseri viventi, animali compresi, che li creano. Il rito nel suo farsi, con le emozioni che suscita, i ruoli definiti, non solo rivive ma si riesce a coglierne il significato profondo che apre a una concezione della realtà che supera il limite del solo visibile. Se si esclude la Sartiglia, divenuta evento folcloristico ma a cui il libro ridona il valore originale, assistiamo, perché l’autrice stessa ne è stata testimone nella sua infanzia, a i gesti della quotidianità come quelli della panificazione, della realizzazione delle Prendas, che diventano riti di fecondità. “Perché la fecondità (non la maternità come istituto sociale o modello culturale), paradigma fondante dell’antropologia barbaricina, è il segno della relazione che misteriosamente connette l’Universo; il rito intende, nel suo farsi, mostrare e rafforzare questa mistica unità.”

Le donne del libro infatti sono depositarie di una sapienza che sanno trasmettere alle altre, con modalità diverse da quelle che vengono utilizzate a scuola. Si tratta di fare insieme, di narrare, di imparare il peso e la misura nell’agire attraverso l’osservazione dei comportamenti altrui, di conoscere i ritmi dei corpi, di tener conto dei sogni e delle premonizioni, di saper autorizzare in silenzio. Una sapienza collettiva che riusciva a farsi ascoltare anche dagli uomini ma spesso negata o svalorizzata dal sapere universitario. L’autrice ricorda: “La durezza delle ‘madri di roccia’ della mia infanzia pervade ogni pagina del mio testo e solo verso la fine si apre il primo spiraglio di dolcezza nel pianto liberatorio che unisce Angheledda, la bambina sempre senza misura, e sua madre. Da qui in avanti la potenza delle madri si trasformerà in sapienza amorosa che cambia il cuore degli eventi, perché sa trovare ‘nelle doglie della contingenza, parole capaci di dare voce al lato muto dell’esperienza e luce al mistero, interrompendo la catena del male e cambiando verso alla storia’. È quella sapienza amorosa che le donne possono portare nella cura del mondo sempre:anche oggi. Io l’ho capita passando dal timore delle ‘madri di roccia’ alla riconoscenza per le ‘madri simboliche’”.

Sergio Atzeni, Apologo del giudice bandito, Sellerio Editore, Palermo (prima ed. 1986), 148 pagine, 9 euro

Ivana Ceresa, L’utopia e la conserva. Una vita spirituale nella contemporaneità, Tre Lune Edizioni, Mantova 2011, 244 pagine, 24 euro

Giuseppina Corrias, Dalle madri sarde alle figure di scambioin Nati da donna. La mia genealogia femminile, a cura del Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile,

Thélèmeedizioni,Torino 2002, 222 pagine, pp.93 – 126

Giuseppina Corrias, Il coraggio della dipendenza. G. Deledda, Lamadre(1920)

in Il simbolico in gioco. Letture situate di scrittrici del Novecento, a cura di A. Ribero e L. Ricaldone, Il Poligrafo, Verona 2013,283 pagine, 22 euro, pp. 15 – 22

Grazia Deledda, Romanzi,volume I, Il Maestrale, Nuoro 2010, 1008 pagine, 12,90 euro

Diotima, La magica forza del negativo,Liguori editore, Napoli 2005, 201 pagine, 13,50 euro

Diotima, L’ombra della madre, Liguori Editore, Napoli 2007, 196 pagine, 15,50 euro

Antonietta Potente, Qualcuno continua a gridare. Per una mistica politica, edizioni La meridiana, Molfetta 2008, 92 pagine, 13,00 euro

Chiara Zamboni, Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori Editore, Napoli 2001,148 pagine, 12,39 euro

Maria Zambrano, Filosofia e poesia, Editore Pendragon, Bologna 2010, 150 pagine; 14 euro

Christa Wolf, Medea, Editore E/O, Roma 2000, 197 pagine, 10 euro

Le parole citate in tutto l’articolo sono tratte da “Un racconto cantato.Intervista di Luciana Tavernini a Pinuccia Corrias”, Leggendaria n.130, luglio 2018, pp.34-35.

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