A MILANO PER IL FILM DI BONIFACIO ANGIUS: “OVUNQUE PROTEGGIMI”, PER LA VITA QUOTIDIANA DELLA GENTE COMUNE

di SERGIO PORTAS

Cantava De Andrè: “Impiccheranno Geordie con una corda d’oro, è un privilegio raro…”, anche veder un film e, a fine rappresentazione, avere in sala il regista che te lo ri-racconta non è roba di tutti i giorni. Stasera , al “Beltrade” di Milano, un posto che fino a ieri si sarebbe detto di “sfigati” e oggi è diventato “cool” (di tendenza, figo) grazie al fortunato“brand” ( leggi: marchio) di quartiere: NoLo (Nord di Loreto) in cui è sito (onde per cui a sera frotte di giovani birra-muniti fanno le ore piccole e i prezzi delle case salgono), venerdì 30 novembre, danno : “Ovunque proteggimi” del sassarese Bonifacio Angius. Solito cappellino con visiera accentuata e giubbotto un po’ così, Bonifacio si prende letteralmente la platea, scorrono i titoli di coda e scatta l’applauso, gli spettatori tutti incollati alle poltroncine di vellutino rosso del “Beltrade”, un cinema di tendenza, con pubblico di appassionati, a cui aveva incautamente promesso tre anni fa ( si proiettava allora il suo “Perfidia”) che il suo prossimo lungometraggio sarebbe stato una commedia. O comunque un film commerciale. “ Io penso davvero che il cinema cosiddetto d’autore torni ad essere popolare, a cui si può emozionare anche il mio vicino di casa” dice Bonifacio mentre chiama a sé anche Alessandro Stellino, nuorese , critico cinematografico, ha studiato lettere moderne a Milano dove vive adesso curando rassegne e corsi di critica, scrive per la “Nuova Sardegna”, Alessandro Gazale, interprete del film e Walter Fasano, montatore, sceneggiatore (Dams di Bologna), ha lavorato con molti registi di successo, tra gli altri Dario Argento, Maria Sole Tognazzi, Luca Guadagnino. “Con questo film ho realizzato uno dei miei sogni, fatto in famiglia, Antonio è mio figlio e Francesca (la protagonista, ndr.) è la mia compagna, e Alessandro (Gazale) è oramai un fratello maggiore; che parla di famiglia, una modalità di lavoro che aveva uno dei miei registi preferiti: John Cassavetes. Volevo fare un film in cui tutti gli elementi che mi hanno fatto innamorare del cinema fossero preseti in un unico corpo, non un film a tema (io detesto i film a tema perché credo che i temi si facciano a scuola), io faccio film su esseri umani, su personaggi, quelli che più mi interessano sono solitamente i perdenti, che hanno sentimenti di rivalsa. Per quanto riguarda la struttura narrativa: il melodramma, la colonna sonora come elemento protagonista, tutti strumenti espressivi presenti nei film che vi dicevo. Per quanto riguarda gli attori la preparazione è stata molto lunga con Alessandro che ha un atteggiamento molto diverso rispetto a quello del personaggio del film abbiamo fatto un lavoro lungo più di un anno, in cui ci siamo scambiati delle idee e qualche volta abbiamo anche litigato. Con Francesca è stato diverso, il lavoro era quotidiano, comunque il personaggio maschile racchiude molti dei personaggi che io ho amato soprattutto da adolescente (lui è dell”82 ndr.): lo Zampanò della “Strada” di Fellini, Randy McMurphy di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il Joe Buck di “Midnight Cowboy ma anche il Rocky Balboa del primo Rocky. Per il personaggio femminile ho sempre pensato che andasse raccontato dal punto di vista di Alessandro, io per carattere, educazione, famiglia da cui provengo, sono abbastanza maschilista, anche inconsapevolmente. Quando descrivo i personaggi parto da caratteristiche personali, io posso essere estremamente timido ma anche impulsivo e aggressivo, come molti sardi e irlandesi conosco il potere malefico dell’alcool, prendo queste mie caratteristiche all’estremo e ci costruisco i personaggi sopra. Per quanto riguarda il personaggio femminile per me il riferimento massimo è la “Cabiria” di Fellini, però avevo anche Francesca, come essere umano, come donna, come temperamento, e dovevo raccontarlo per forza dal punto di vista di Alessandro, cosicché lo spettatore ha, come lui, informazioni parziali sul suo passato, non un quadro completo su chi sia. Ora che abbiamo visto il film sappiamo che si trova in un reparto di psichiatria, che il marito è morto, che ha un figlio piccolo che le è stato tolto, e cattivi rapporti con la famiglia di origine. Nelle proiezioni -test è stato divertente ma anche estremamente doloroso constatare che alcuni, fortunatamente la maggioranza, empatizzavano col suo personaggio come fa Alessandro, altri tendevano a giudicarla negativamente pur non sapendo praticamente nulla della sua vita precedente, quasi una cartina di tornasole per i moralisti di questa società in cui viviamo che hanno continuamente questa smania di giudicare negativamente gli altri. Questo è molto legato al mondo della provincia, dove basta avere avuto esperienze poco felici perché la gente non se lo scordi mai, ho conosciuto tantissimi che per questo sono dovuti fuggire via. Io stesso molte volte sarei dovuto fuggire”. Alessandro Stellino (una volta che si conosce Bonifacio si capisce subito quanto questi film gli appartengano) gli chiede dei dialoghi del film, che hanno una cifra molto particolare.Sembra quasi che i personaggi non comunichino. “Mi viene molto da Massimo Troisi, che amo molto, nei suoi film aveva questo suo modo di parlare col Lello Arena, mi è rimasto dentro, ed è da lì questo modo di far dire anche le parole a mezza bocca, come faceva Massimo Troisi che se ne fotteva se poi non lo capivano. I personaggi di questo film sono come un libro aperto, basta guardarli per sapere che tipo di sentimento stanno provando. Non amo il tipo di cinema che va per la maggiore. Pensate che un selezionatore di un festival europeo molto importante ( non si fanno nomi) mi ha chiamato dicendo che aveva visto il film, avrebbe potuto proporlo magari non in concorso, ma che aveva molti problemi con la musica nel cinema in generale e che anche questo ne aveva troppa. Non lo volevo mandare affanculo subito, era uno importante, siamo andati in moviola e abbiamo tolto la musica: un disastro! Il film non glielo abbiamo mandato ma basta aprire un libro di storia del cinema per capire che il 99% dei maestri utilizzano la musica come elemento protagonista. A questo signor selezionatore direi che non ha problemi con la musica nel cinema, ha proprio problemi col cinema: ha sbagliato mestiere. Qui la musica è fondamentale, specie quella di Piazzolla, che io ascoltavo già in sceneggiatura, fortunatamente non avevamo i soldi (il budget) per registrarla con l’orchestra, l’abbiamo fatta in sovraincisione, cercavo delle sonorità che ricordassero quelle di Georges Delerue, un compositore molto importante che ha lavorato con Godard, Bertolucci ( nel “Conformista”, per me il migliore dei suoi) e molti altri”. Oblivion è un tango introspettivo e complesso (naturalmente è su You Tube) di struggente bellezza. Bonifacio riconosce che Walter Fasano è stato determinante, dall’alto della sua professionalità, perché lui avesse il coraggio di fare certe scelte musicali. “Io sono supervisore del montaggio, il film lo ha montato Bonifacio, è una creatura totalmente sua e anche di Alessandro e di Francesca e di Antonio, io non so proprio come abbiano fatto a fare un film così bello, con una musica così romantica e sentimentale, e mi sono commosso nel vederlo anche oggi”. Tocca poi a Gazale rispondere alle domande del pubblico sui presunti “litigi” col regista. “Bonifacio mi chiede sempre di leggere il copione tutto in una volta. Poi ci saranno le mie domande e le sue. Io faccio l’insegnate, faccio un po’ di teatro, nel mondo cinematografico molte cose erano nuove per me, mi ci ha portato lui, ho capito che a lui interessano le emozioni, il dialogo è quasi sempre un pretesto per portare avanti la scena. E sulle emozioni si lavora. Dice una spettatrice: “Qui c’è la Sardegna nei dialoghi, nella parlata, senza cadere nei cliché più vieti che in genere la caratterizzano”. Dice Bonifacio: “Per me sarebbe impensabile non caratterizzare un racconto con un luogo, con gli accenti, con il modo di fare, di camminare, di rivolgersi con intercalari tipici, volevano che usassi attori “noti”, ma l’accento sardo è molto difficile da fare e nei cinema si sente poco. Bisogna sdoganarli questi attori sardi, non è vero che non esistono attori sardi (grandi applausi), sembra che la Sardegna sia un luogo dove tutto è negativo, dove quello che viene da fuori è sempre meglio, non sono d’accordo. Tante maestranze che hanno fatto esperienza coi miei film poi hanno lavorato anche con Cloony , con gli americani, quando sono venuti a girare in Sardegna”. E Francesca dov’è?: “E’ a casa perché abbiamo una bambina di un anno e mezzo, quando abbiamo girato il film la bambina aveva due mesi, la grinta che Francesca mette nel film le deriva anche dal fatto che era diventata madre da poco. Per Antonio è stata una scelta obbligata, non volevo fare il film con lui, e ho visto circa 200 bambini, uno sembrava andare bene ( la madre piangeva dalla felicità) ma quando è tornato per girare sembrava cambiato, lo avevano talmente caricato di responsabilità da fargli perdere ogni spontaneità. Allora ho chiesto ad Antonio se avesse saputo fare le stesse cose che chiedevo all’altro ragazzino: e che ci vuole! Anche se la scena del “furto del tablet “ è più bella nei provini, coi bambini è sempre più bella la prima. Ma tutti gli attori hanno dato il cuore per fare il film e sono stati di una generosità estrema e questo è fondamentale per fare un film che poi abbia una credibilità dei sentimenti dei personaggi”. Alessandro Gazale, eterna camicia azzurra dono del padre (insieme a una chitarra), vive i suoi cinquant’ anni cantando folk-sardo ( le canzoni in scena sono ri-arrangiamenti di un cantautore sassarese: Ginetto Ruzzetta), alterna whisky a Negroni e butta soldi alle slot-machine. Rimorchia ragazze in discoteca. Quando sfascia le suppellettili di sua madre, con cui vive, un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio) lo spedisce in un Centro Psico Sociale dove è ricoverata anche Francesca. E’ lei che lo circuisce.
Ma è lui che se ne innamora. E le va dietro, recuperando anche un mezzo per andare a Cagliari a riprendersi il piccolo Antonio, in una specie di collegio. Lungo la “Carlo Felice” la Sardegna scorre tra i finestrini dell’auto. Alessandro beve una lattina di birra dopo l’altra. La mamma vuole tenersi il figlio (ma allora sei proprio matta). Si separano dopo un alterco ( e una sberla di lei). Alessandro è di nuovo solo, e disperato. Si ritrovano in quel di Ploaghe, Francesca dorme sulla panchina della stazione, Antonio ritrova Alessandro che canta sul palco della festa di San Pietro, lo riporta da Francesca e serio serio gli chiede: “Sta bene mamma?”. “Sta bene”. Non ci crederete ma quel “santo bevitore” riuscirà a proteggerli sino a che si avveri il sogno di Francesca: fare la gelataia a Barcellona. Il film alterna momenti di magia a disperazione, com’è la vita quotidiana della gente comune, la poesia che ne fuoriesce è frutto dell’arte del regista. L’interpretazione dei protagonisti semplicemente magistrale.

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