IL VALORE DEI SARDI NELLA GRANDE GUERRA

Cippo eretto a ricordo del Capitano PORCU ELIGIO del 45° Brigata Reggio, nato a Quartu S. Elena (Cagliari).

di DARIO DESSI’

La citazione della Medaglia d’Oro:  “Costante impareggiabile esempio di salde virtù militari, quale comandante di una compagnia, per due giorni consecutivi con fulgida tenacia fronteggiava il nemico irrompente, contenendolo, infliggendogli perdite ed animando instancabile ed ardente di fede il proprio reparto ad una resistenza incrollabile. Avuto l’ordine di attaccare, trascinava la propria compagnia con irresistibile slancio fin sulle posizioni avversarie, sgominando forze di gran lunga superiori. Ferito ad una gamba e circondato dai nemici, per non cadere vivo nelle loro mani, si toglieva la vita con serena fierezza, opponendo alle ingiunzioni di resa il suo ultimo grido di “Viva l’Italia!”. – Montello 15-16 giugno 1918.  (Bollettino. Uff., anno 1919,  disposizione. 34).

 

Sul Montello le truppe austro ungariche  non riuscirono a passare anche perché il fronte era difeso dalla Brigata Reggio.

A questo proposito ebbe a scrivere  Sardus Fontana:

 

“Le baionette luccicano nel tramonto del sole, un grido poderoso s’innalza, superando il fragore della battaglia: – Forza Paris!  – E’ il richiamo dei nostri fanti, che subito, compatti, si slanciano con impeto travolgente, buttano il fucile per brandire sa guspinesa, (coltello a serramanico prodotto artigianalmente a Guspini) con la quale, nella lotta corpo a corpo, diventano impareggiabili gladiatori”.

 

Poco distante all’incrocio della strada di arroccamento con la presa N. 10, protetto e ornato da rami d’acacia rinsecchiti, per tanti anni dopo la fine della guerra, un cartello aveva continuato  a gridare il grido non vano della fanteria sarda:

 

Qui manchet in nois s’animu

Qui languat su valore

Pro forza o pro terrore

No hapas suspetu, o Re!

 

Che ci venga a mancare il coraggio

Che venga meno il valore

Per forza o per paura

Non devi dubitare, o re!

 

Questa strofa faceva parte del vecchio inno di guerra della Brigata Reggio, sorella della “Sassari” in bravura e in fedeltà.

 

Su una cima del Gennargentu, a perenne ricordo del 45° Fanteria Regio, fu inaugurata una lapide con incise  le seguenti parole:

 “All’alba del 12 luglio Anno XII da questa eccelsa vetta di Sardegna i fanti del 45° Fanteria “Reggio” gridavano al sole nascente il loro amore alla Patria e la loro fede nei Destini Imperiali di Roma.       Punta La Marmora Q. 1834”

 

Non bisogna lasciare che il tempo dimentichi o cancelli la riconoscenza nei cuori di tutti gli italiani. Forse non basterebbero migliaia di pagine per descrivere le imprese  compiute dai sardi a partire dal 25 luglio del 1915 nel Carso Isontino e sino a tutto il  4 novembre del 1918 a Vittorio  Veneto. E tutto questo in terra, in cielo e  in mare,  con ardimento e con sacrificio per garantire giustizia, libertà, progresso e  pace. La disponibilità del sardo a lanciarsi sulle trincee nemiche, aveva stupito lo Stato Maggiore, che dopo essersi sorpreso,  pensò bene di sfruttare a proprio favore questa caratteristica. Decise così di ridurre mano a mano i fanti provenienti da altre regioni , (in fase di costituzione una parte dei coscritti erano di origine romano-laziale), trasferendo alla Brigata Sassari i sardi degli altri reggimenti di fanteria. E visti i risultati, questa operazione si ripeteva  dopo ogni battaglia quando, dopo le conseguenti ingenti perdite, si ricomponeva la brigata, cappellani e carabinieri compresi. Lo Stato Maggiore si era, in tal modo,  dotato di un gruppo operativo unito, culturalmente omogeneo e privo di influenze disgreganti, considerando l’assenza di figure impegnate politicamente contro il governo e la scarsa socializzazione della popolazione delle campagne. Il fine ultimo era quello di riuscire a gestire una forza d’intervento il più possibile incline alle strategie dei comandi militari. Furono quasi 100.000 i sardi che fra il 1915 e il 1918 partirono per la guerra. Per la precisione, secondo i dati ufficiali, furono 98.124: uno ogni nove abitanti dell’isola sarda. Emilio Lussu, Ufficiale  della Brigata Sassari, scrisse che alla chiamata alle armi si sottrassero solo i ciechi. Gli altri, quelli che bene o male erano in grado di vedere e di tenere in mano un fucile, andarono a combattere in terre sconosciute. Non tutti ritornarono: 13.602 furono uccisi e altri 3.500 furono dichiarati dispersi. Questo, in concreto, significa che gli insulti della guerra – i proiettili, le cannonate – i gas asfissianti – i lanciafiamme avevano reso irriconoscibili tutti gli altri corpi. Non esisteva certezza sulla guerra che avevano combattuto;  a parere di alcuni non era stata la stessa della quale avevano parlato gli alti ufficiali, i giornali, gli oratori nelle piazze d’Italia.

I fanti sardi erano insuperabili nella  vita di trincea, delle posizioni avanzate, dei monti percorsi dal fuoco e dalle tempeste di neve. Gli ufficiali di altre regioni spesso rimanevano meravigliati della tranquillità e del buon umore dei valorosi che spesso affrontavano i più aspri cimenti cantando di fronte a un nemico spesso crudele che non esitava a usare  la mazza ferrata per eliminare gli asfissiati e gli agonizzanti.

Il presidente dell’Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d’Africa Lucio Favaron  Elfe era entrato in possesso di un manoscritto, in realtà si tratta del diario personale, redatto dalla sua ultima zia materna. Oltre a certi avvenimenti storici che hanno inciso profondamente sulla sua vita, la zia Ida aveva trascritto anche una poesia composta  dal nonno di Lucio Favaron nell’anno 1917, che ha per argomento la brigata di Fanteria “Sassari”. Durante la prima guerra mondiale, il nonno veneto, con ascendenza Istro Dalmata, aveva prestato servizio nella Sanità Militare. La poesia ha come intestazione; “Estate 1916 – 1917” e narra in dialetto veneto la vicenda umana dei figli di Sardegna e della morte di uno di essi.

 

ESTATE 1916  –  1917.

 

       “Brigata Sassari”                                        “Brigata Sassari”             

Ti xe sempre nel me core                                   ti xe sempre  nele  me orassion.

E co’ ti vegno anca a l’inferno                    parché,  da come xe fato el  corajo,

E, dove che vol  nostro Signore!                        Ti m’a dà vera dimostrassion!

 

       “Brigata Sassari”                                     “Brigata Sassari”

fia della tera  ruspia  de Sardegna                    el  to  sangue mescolo col mio,

da  ti go imparà  a no’  ver  paura                    rancuro  i tò  morti in barò a

e, la tò  vose’ ncora  me lo insegna!                 E pianzo senza voltarne indrio!

 

“Brigata Sassari”                                                      “Brigata Sassari”

un dei tò  tosati, là su l’Altopiano                                         La baionetta mi gò  scavessà,

destirà  in croce, sora i sassi,                                                ma giù ncora la me patada

sigava  in sardegnò  strengedome la man                      tola ti, che la morte xe rivà

“No  lassarme, no tornar  so i tò  passi!                                        ricordame a la me contrada!

 “Brigata Sassari”  cussi,                                                       m’a dito quel poro fio,

  gò  ciamà  el capelan militar                                             mi  ghe gò  serà i oci e que’o

  lo   gà  benedio!

La Sardegna ebbe il maggior numero di combattenti decorati ed il minor numero di imboscati.

 

Alcune Medaglie al Valor Militare.

 

 

Tenente SALARIS IGNAZIO da Bortigali (Cagliari):
      “Costante, fulgido esempio di eccezionale coraggio, di calma e di prudenza, in un combattimento per la conquista di una forte posizione nemica, gli fu affidato il comando d’un reparto scelto, incaricato d’una difficile e pericolosa missione. Ferito una prima volta, continuò a combattere; ferito nuovamente, non appena medicato, volle ritornare al comando del suo reparto, e, mentre arditamente incuorava i suoi all’esecuzione dell’arduo compito, colpito da scheggia di granata perdette eroicamente la vita”. – Monte Sief, 21 maggio 1916.
(Boll. Uff., anno 1917, disp. 3).

46° REGGIMENTO FANTERIA.

 

  Sottotenente FADDA FRANCESCO da Tempio Pausania (Sassari):
       “Al segnale dell’attacco, slanciatosi risolutamente avanti, alla testa dei suoi, giungeva primo sulla posizione nemica, che riusciva ad occupare dopo cruenta e vivissima lotta. Colpito da una bomba che gli asportava metà di una mano con tre dita e poi da una granata che gli troncava ambedue le gambe, con mirabile senso del proprio dovere, conscio della suprema necessita di non interrompere ed infiacchire, in quel momento, la violenza dell’assalto, rifiutava di farsi trasportare, continuando a spronare i suoi ed additando la cima agognata. Dopo che, con un ultimo sforzo, la vide raggiunta, sereno per l’opera compiuta, in piena coscienza, moriva sul posto, mantenendo sino all’ultimo, contegno forte ed eroico”. — Dente del Sief, 21 maggio 1916.
.

 

Cabras Pietro da Orosei, sottotenente bersaglieri. Primo del suo plotone dava esempio di indomito ardore nell’incitare i soldati all’assalto, combattendo egli stesso con fiero valore, cadeva ferito sul ciglio della trincea conquistata gridando Savoia! 21 agosto 1915.

 

Passino Giovanni Maria da Bortigali , tenente artiglieria da campagna. Esploratore di gruppo, avanzatosi oltre le trincee occupate dalle nostre fanterie, fece aggiustare con opportuni segnali il tiro delle batterie del gruppo sulle posizioni avversarie, che furono sconvolte e poi prese dalle nostre fanterie. S. Pietro all’Isonzo 22 ottobre 1915.

 

Carta Egidio da Cagliari capitano squadriglia aviatori . Pilota militare, il 16 maggio 1916, avendo il velivolo più volte colpito dal violento tiro di sbarramento, proseguiva, ciò nonostante, la rotta verso l’obiettivo, mirabilmente assecondato dall’equipaggio. Attaccato da quattro aeroplani avversari due ne abbatteva, e gli altri metteva in fuga. Raggiunto l’obiettivo, lo bombardava efficacemente. Al ritorno attaccato da un quinto velivolo, lo metteva ancora in fuga. Cielo di Ovcia Draga 18 maggio 1916.

 

Corrias Giuseppe da Cagliari. marinaio scelto “con sublime spirito di sacrificio e sommo disprezzo di ogni pericolosi offriva volontario per formare l’equipaggio di un motoscafo destinato a forzare il porto militare di Pola. Con ammirevole freddezza coadiuvava il suo comandante nel forzamento della base nemica. Fulgido esempio di virtù militari e di devozione al dovere. Notte del 15 maggio 1918.

 

Dalle interviste di Giuseppe Sotgiu si legge nel Risveglio: “Ma nelle grandi ore della storia avvengono i miracoli.  Chi sono i vittoriosi della Brigata Sassari? sono i malarici………la giovinezza sarda denutrita e analfabeta, i delinquenti nati di Alfredo Niceforo……gli agricoltori senza terra e senza sementi, i servi pastori vissuti nella disperata solitudine delle tanche!” Da questi sardi, da questi giovani, verrà la nuova Sardegna. Una Sardegna che deve saper sfruttare tutte le sue risorse. La Sardegna sarà redenta dai sardi”.

I soldati sardi avevano una naturale consapevolezza dei propri meriti ed erano animati dal desiderio di fare bella figura oltre che dai sentimenti di rivincita su le innumerevoli mortificazioni sofferte. Vittorio Emanuele Orlando (presidente del consiglio) nel 1918, quando finì la guerra, disse: “L’Italia ha contratto un grande debito di gratitudine nei confronti della nostra isola”. In realtà continuano a permanere le delusione quando qualcuno  scopre che esistono debiti ancora inappagati e che, purtroppo non verranno mai soddisfatti.

 

 

 
 
 

 

 

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