I DIOGENI SARDI SOTTO GLI ARGINI DEL PIAVE: ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA OPERAZIONE ALBRECHT

di DARIO DESSI’

Addossati all’argine, in certe tane ampliate al di fuori con tetti di tavole, in certe botti diogenesche, incastrate nella scarpata e blindate di sacchi di sabbia, i sardi si sono assestati un vivere non disagiato e pittoresco, e vi meriggiano all’ombra dei superstiti pini di un castello merlato”.

Qualcuno ha portato dalla licenza la pipa paesana,  fatta col cannello di canna gurpina e se la fuma  beato presso la sua buca come deve aver fatto per tanti anni laggiù alla grotta del suo isolotto di Sant’ Antioco.

A un gruppo accucciato, senza parlare, a masticare certe erbe di cui sono i soli a conoscerne le virtù rinfrescanti e nutritizie, distribuisco alcuni doni di tabacco e di cioccolato affida timida di uno di quegli americani del Comitato di Assistenza che si fanno presenti dovunque e festeggiano i nostri soldati con una fresca e allegra cordialità che vince ogni ritrosia.

Poi leggo loro un brano di un giornale di Sardegna, che riporta  l’esultanza dell’isola per le  loro gesta.

Uno si avvicina e vuole il foglio per se; a giustificare la richiesta mi dice tutto serio: ‘Leggere so, io’ e se ne va presso un altro gruppetto a comunicare l’elogio nativo.

Ma come vede che non ho finito di dare,ritorna e sbarra occhi, bocca e narici e mi guarda come un incantatore, perché sto distribuendo un pacco di costumi della Sardegna.

 Le donne di Osilo in costume, le orciaiole di Aritzo, gli sposi di Sant’Antioco, le fornarine di Tratalias, le nuoresi dalla grande veste.

Passa tutta l’isola e i piccoli fanti  dimenticano la guerra, la stanchezza, le atrocità di ieri, l’incertezza di domani.              Da  “Giornate sul Piave” di  Ezio M. Gray.

 

Venerdì 19 luglio 1918La Brigata Sassari tenne la linea del fronte  davanti a San Donà di Piave,  sino al 19 luglio,il momento in cui fu sostituita dalla Brigata Avellino, mentre la 33°  divisione lasciava la III Armata per andare a far parte della 9°, comandata dal generale Paolo Morrone.La brigata ritornò agli alloggiamenti a nord di Mestre fra Trevignano e Zelarino, dove rimase accampata sino alla fine del mese d’agosto.

 

Operazione Albrecht – Considerazioni.

 

Nel mese di giugno del 1918 l’esercito italiano aveva combattuto e vinto la più grande battaglia dell’Italia antica e moderna.

 

Le forze impiegate

 

AUSTRIA                                        ITALIA

 

50 divisioni, 5.000 cannoni, 530 aerei – 44 divisioni, 2870 cannoni, 680 aerei.

Quella  grande offensiva,  bloccata con tanta bravura  dalle truppe italiane era costata al

nemico 523 ufficiali e 23.901 uomini di truppa prigionieri, oltre 150mila tra morti e feriti, 63 cannoni, 65 bombarde, 1234 mitragliatrici, 37.105 fucili, 40 lanciafiamme, oltre a numerose  imbarcazioni e tanto materiale da ponte.

Quella grande offensiva aveva impietosamente palesato la perdita da parte dell’esercito sudoccidentale austriaco delle residue potenzialità offensive, la diminuzione delle capacità difensive, la limitata mobilità dell’artiglieria, la difficile situazione degli approvvigionamenti, la fame, la diserzione.

 

“Intuiamo tutti che l’Austria – Ungheria ha combattuto la sua ultima battaglia.

 I cinque giorni di lotta ci sono costati duecentomila uomini tra morti e feriti e una quantità gigantesca di materiale bellico.

Davanti a noi sta, ora, un avversario, al quale questa vittoria restituisce la fiducia  in se stesso; alle nostre spalle, una patria dissanguata, povera e ormai presaga del suo destino.

A una potente forza armata, che per quattro lunghi anni aveva combattuto valorosamente, è stata spezzata, con questa battaglia, la spina dorsale”.

Da Tappe della disfatta di Fritz Weber.

 

La Battaglia del Basso Piave fu, indubbiamente, una grande vittoria delle armi italiane, la prima conseguita dalle potenze dell’Intesa sugli eserciti degli Imperi Centrali.

Le conseguenze della disfatta si ripercossero anche sull’alleato.  Ludendorff si senti:

 

“Turbato e addolorato dall’esito inatteso della battaglia del giugno 1918 sulla fronte italiana.

“Con quell’ insuccesso l’esercito austroungarico aveva cessato di rappresentare una forza viva e terribile in campo internazionale e l’Italia aveva dato il più valido contributo e posto, anzi, la condizione indispensabile per il principio della riscossa alleata”.Il capo di stato maggiore tedesco, generale Hindenburg ebbe ad ammettere:

 

L’offensiva austro-ungherese, dopo i successi iniziali molto promettenti, era fallita…La sfortuna del nostro alleato si ripercosse su di noi”.

 

Bisogna riconoscere che l’Operazione Albrecht o Battaglia del Solstizio del giugno 1918 fu  l’avvenimento militare più decisivo nel  fronte italiano a partire dall’inizio della Grande Guerra e uno dei più importanti per quanto riguardava  le risoluzioni successive sul fronte degli alleati in Francia.

Ancora oggi  le storiografie francese ed inglese, la prima in modo particolare, stentano a riconoscere che, senza l’insuccesso dell’offensiva austro ungarica  di giugno, il conflitto non sarebbe  certamente giunto a conclusione  sul finire dell’autunno di quello stesso anno.Dal punto di vista della valutazione morale dello sforzo italiano, che fu quanto di meglio si potesse sperare, si dovette, senza dubbio,  scontare il troppo chiasso fatto  sugli eventi sciagurati di Caporetto, che però furono, per certi aspetti di sciopero militare, diversi ma non peggiori di quelli inglesi delle Fiandre che segnarono la perdita di ben 400.000 uomini e di quelli francesi con una perdita di 160.000 uomini e con la ribellione di interi reggimenti che arrivarono addirittura a voler marciare su Parigi per imporre una pace separata. I combattimenti  che, nei giorni 15, 16, 17, 18, 19 e 20 giugno, ebbero luogo nel Basso Piave furono tra i più duri di tutta la battaglia di giugno e della guerra intera.Davanti a San Donà di Piave,  il nemico, dopo aver allineato altre due nuove divisioni fresche,  aveva cercato in tutti i modi con manovre aggiranti e attacchi frontali di avanzare al di là della testa di ponte abbastanza profonda, che era riuscito a conquistare  nel primo giorno di battaglia.

Al quinto giorno di battaglia la lotta si era frantumata in tanti combattimenti isolati, accaniti, disumani.

I capisaldi di Fossalta, Osteria, Croce Capod’Argine e Losson erano passati continuamente di mano.

Le case, i canali, i viottoli, i fossi, i campi  erano andati progressivamente infoltendosi  di cadaveri,  testimonianza evidente dell’incredibile  accanimento della battaglia.

Il comportamento delle truppe e dei comandi italiani, impegnati in quella  situazione alquanto critica e disperata  fu, come non mai, encomiabile.

Alla sera del giorno 20 giugno il maresciallo Boroevic si era trovato costretto a impartire alle sue armate l’ordine di ripassare il fiume.

La ritirata ebbe inizio la notte del 23, mentre il bollettino ufficiale italiano del giorno dopo annunziava.

 

Dal Montello al mare il nemico sconfitto ed incalzato dalle nostre truppe ripassa in disordine il Piave”.

.

Lunedì  24 giugno la così detta offensiva della fame era arrivata al teminee pertanto  dopo  una sanguinosa settimana di lotta, l’incessante aggressività  delle truppe italiane, l’efficacia dell’azione dell’artiglieria, la situazione di alto rischio in cui erano venute a trovarsi le truppe austriache in quella  fascia di occupazione sulla riva destra del Piave troppo angusta e lo stato deplorevole di stanchezza e di denutrizione dei loro soldati, avevano consigliato gli alti comandi della duplice corona  a desistere da ulteriori inutili tentativi e a ordinare il ripiegamento sulle linee di partenza.

Erano definitivamente svanite le speranze riposte in un successo rapido e di sorpresa come quello dell’ottobre del 1917,  in un irruzione immediata sulle linee italiane completamente distrutte dal bombardamento di preparazione, in un successivo inseguimento e, dulcis in fundo, in un saccheggio proporzionato alle aspettative.

Già il ricco bottino conquistato dopo la esaltante vittoria di Caporetto era ormai  finito da un pezzo, così come erano finiti i copiosi approvvigionamenti di cereali, di carne da macello e di altri prodotti ortofrutticoli requisiti  in Friuli e nel Veneto orientale.

A Vienna, il 30 aprile, le scorte di farina  erano completamente esaurite, addirittura il 3 maggio non era stato facile reperire il quantitativo di farina sufficiente al sostentamento dello stesso esercito.

Tanti erano stati i soldati che, con ancora in mente la visione dei giorni gioiosi dell’autunno precedente, si erano convinti che l‘offensiva di giugno avrebbe rappresentato l’unico modo per conquistare un ricco bottino ed avere così la certezza di ottenere un vitto più abbondante.

E tanta era la certezza in un successo rapido e travolgente che pare fosse stato già preparato il conio delle medaglie celebrative in occasione di un ingresso trionfale a Venezia e di una  successiva conquista di Milano.

Troppo  lungimiranti erano state, però, quelle previsioni, senza una pur minima preoccupazione  da rivolgere ai combattimenti che avrebbero potuto ostacolare la rapida e travolgente avanzata delle truppe scelte  a. u.  nella zona media fortificata, dove erano state predisposte le trappole del Basso Piave e dove i fanti italiani avrebbero dimostrato  di essere  finalmente diventati degli  esperti ed accaniti difensori delle posizioni assegnategli.

Da Berlino il generalissimo von Hindenburg, visto il disastroso andamento delle operazioni sul fronte italiano chiese agli austriaci di interrompere quell’inutile offensiva e di inviare sei divisioni nel fronte occidentale

 

 “Per la prima volta, ebbe a dire  Ludendorf,  avemmo la sensazione della nostra sconfitta”.

 

Secondo alcuni storici  non fu vinta soltanto una gran battaglia, ma bensì la guerra.

Quella battaglia sarebbe risultata essere una delle più sanguinose della Grande Guerra. Degna pertanto di essere annoverata nel lungo elenco delle battaglie decisive nella  storia del mondo.

Diaz nel suo comunicato del 24 giugno aveva parlato di uno straordinario numero di cadaveri austriaci, abbandonati sul terreno della battaglia a testimonianza dello sfortunato valore e della grande sconfitta nemica.

La sconfitta nella  “Battaglia del Piave”, oltre a rappresentare una gran delusione per l’imperatore Carlo e per gli Alti Comandi  austro – ungarici,  produsse anche gravi ripercussioni nell’interno dell’Impero.

Fu quella la cocente sconfitta dell’ultima offensiva di un grande impero che ormai aveva raggiunto  una fase avanzata di decadenza.

Ludendorff affermò che sia lui che  Hindemburg avevano immediatamente  intuito l’influenza decisiva della sconfitta austro – ungarica sulla conclusione della guerra.

La decisione finale, che sino allora era sempre stata da aspettarsi sulla fronte di Francia, improvvisamente si era spostata sulla fronte italiana.

Il teatro di guerra secondario si era  improvvisamente trasformato  in teatro principale”.

Ci fu una gara tra i giornali austriaci per mascherare il grave scacco  subito e per lenire il notevole disinganno. Il giornale socialista Arbeiter Zeitung si era affrettato a dichiarare  che se all’inizio il pubblico aveva sognato che l’offensiva si sarebbe spinta sino a Venezia, non aveva tardato a capire, a seguito di certi avvenimenti, che si era  trattato soltanto di un impresa locale limitata.

Il giornale viennese Reichspost arrivo, addirittura, ad  affermare che non si era trattato di un iniziativa austriaca, bensì  di una battaglia d’incontro, essendo stati  gli italiani, anche loro  pronti a scatenare un offensiva, preceduti di un solo giorno.

Ma tali opinioni  non erano condivise dal generale tedesco Crammond, che scrisse:

 

“L’imperatore restò ancora qualche giorno sulla fronte e visitò diverse unità.

L’impressione che riportammo  delle condizioni delle truppe fu molto triste; su ogni viso si leggeva scoraggiamento e delusione”.

 

Le condizioni fisiche delle truppe lasciavano, infatti, tanto  a desiderare.A partire dalla fine dell’inverno, il loro nutrimento era stato del tutto insufficiente: al  mattino e alla sera  consisteva in un caffè nero, non moka, ma surrogato con una minima quantità di pane di farina di mais, assieme alla quale venivano impastati grossi pezzi di pannocchie.

Il pranzo consisteva in una zuppa con carne di vitello spesso e volentieri mancante.

Al suo posto c’era della carne in scatola, ma, anche in questo caso, i pezzi di carne, considerati una vera leccornia, erano spesso assenti.

Al posto di entrambi i due tipi di carne venivano a volte  distribuiti polenta e surrogati vari di marmellate.

Anche  con l’abbigliamento e le scarpe la situazione era alquanto deficitaria: A chi mancavano le scarpe,  a chi i pantaloni,  a chi addirittura la biancheria intima.

La situazione dei cavalli era deplorevole,  la nutrizione insufficiente, li si vedeva indebolire di giorno in giorno. A meta giugno, le truppe schierate sulla riva sinistra del Piave non sarebbero state  assolutamente in grado, per le loro condizioni fisiche, di condurre un’ offensiva così impegnativa.

Secondo alcune fonti militari austriache, l’insuccesso era da attribuire  anche  al livello delle acque del Piave innalzatosi per le piogge abbondanti  e alla scarsa  visibilità, dovuta alla  folta vegetazione, costituita in gran parte   da piante di granturco  e da vigneti.

Ma soprattutto, era venuto a mancare nelle truppe l’entusiasmo e un ideale, virtù  che avrebbero potuto sormontare la debolezza fisica.

Un altro fattore determinante, sempre secondo i pareri di comandi a. u. , doveva essere attribuito  all’impossibilità di  annientare le artiglierie italiane, un po’ perché il terreno da attaccare era occultato dalla fitta vegetazione e un po’ perché  il fiume aveva rappresentato  un  ostacolo non indifferente  alla gestione di un efficace supporto logistico.

Ma soprattutto perché il munizionamento  era stato  sufficiente solo durante  la prima fase dell’attacco e perché l’impiego dei proiettili a gas  non aveva sortito alcun effetto, a causa della loro qualità scadente. Per non parlare, poi, del mancato concentramento di truppe valide di riserva, che avrebbero dovuto continuare l’attacco dalle posizioni conquistate nella prima fase dell’offensiva.

Cosa, forse, da considerare  impossibile, sempre a causa delle limitate condizioni fisiche.

Gli austriaci recriminarono anche sul perché Austria, Ungheria e Germania non avessero combattuto uniti, come a Gorlice nel 1915 o a Caporetto nel 1917. Le battaglie, quando le avevano combattute assieme, erano sempre state vittoriose.Rispetto al soldato italiano, gli austriaci  avevano in genere meno punte di depressione e di entusiasmo e maggior senso della disciplina. Tale comportamento andava  visto  alla luce  delle consuetudini  secolari e delle ferree tradizioni del glorioso esercito imperiale.  Più tardi Hidenburg ebbe a commentare:

 

“La calamità del nostro alleato fu la maggiore delle disgrazie anche per noi. L’avversario sapeva al pari di noi che l’Austria Ungheria aveva, in  questo attacco, gettato tutto il suo peso nella bilancia della guerra.

Da quel momento la monarchia danubiana aveva cessato di rappresentare  un pericolo per l’Italia”.

 

Secondo un  ulteriore e accurata valutazione austriaca, il fallimento dell’offensiva di giugno, era da attribuire oltre che  alla fame, anche al numero considerevole di disertori ed alla superiorità aerea italiana.

L’Austria aveva sempre disposto di un grande esercito e grande perciò fu il merito dell’esercito italiano di averlo prima contenuto, poi logorato ed infine battuto.

La vittoria italiana nella seconda battaglia del Piave aveva, quindi, segnato  un decisivo cambiamento, della situazione politico – militare a favore dell’Intesa, mentre in Francia si stava completando  lo schieramento  dell’esercito americano, la cui presenza  stava portando le forze Alleate alla superiorità sull’Esercito tedesco.

Eppure, nonostante la deludente e ingloriosa conclusione della loro offensiva di giugno, gli austriaci vollero ancora indirizzare agli italiani il seguente messaggio in un disperato ed estremo rigurgito  di  spocchia e di tracotanza.

L’inutilità della Guerra Italiana secondo gli Austriaci.

 

In 11 battaglie sull’Isonzo l’Italia aveva perso 1.800.000 uomini (morti, invalidi, feriti e prigionieri).

Nella sola  12° battaglia dell’Isonzo (Caporetto) 449.000. Al Piave 151.000.

Complessivamente  2.400.000 uomini

E, cosa guadagnò l’Italia finora?   NULLA!   Anzi, ha perduto quasi tutto il Veneto!

La ritirata delle nostre truppe su questa riva del Piave non è stata causata dalle forze italiane, ciò che verrà comprovato una volta dalla storia della guerra.

Chi compenserà  le perdite italiane che vanno sempre aumentando e chi pagherà dopo la guerra i debiti dell’Italia che sorpassano oggi già 48 miliardi di lire e che alla fine del 1918 arriveranno ad una cifra di 57 miliardi?

Questo ENORME debito l’Italia lo ha fatto all’ESTERO e cosi  sarà  compromesso per decenni e decenni  ogni ulteriore sviluppo dell’Italia.

L’operaio, l’agricoltore e il borghese italiano dovranno soffrire e lavorare per ammortizzare all’estero i debiti del suo governo.

Ora sembra che l’Inghilterra e l’America prestino generosamente ma guai all’Italia nel giorno in cui presenteranno i conti!

Gli italiani dovranno emigrare, ma invano cercheranno lavoro nei paesi delle Potenze Centrali, mentre dai loro alleati d’oggi saranno sempre trattati come debitori.

E come sarà poi coi guadagni con i forestieri,  la maggior parte dei quali proveniva sempre dalle Potenze Centrali? Gli Inglesi e gli americani non s’interessavano mai troppo della bellezza dell’Italia e delle sue arti.

 

SOLDATI ITALIANI!

 

“Il popolo italiano si dissangua per gli interessi  dei capitalisti inglesi e americani. Dopo la guerra dovrà pagare imposte ingenti, non avrà la possibilità di emigrare nei paesi delle Potenze Centrali e nulla potrà guadagnare sui forestieri.

Davvero una bella prospettiva per l’avvenire, se non vi liberate per tempo dal dominio anglo americano”.In effetti l’esposizione finanziaria della  giovane nazione italiana era eccessiva:

Le importazioni  nel primo anno di guerra, quando ancora l’Italia conservava il suo stato di neutralità, erano state pari a 3 miliardi di lire, per salire tre anni dopo a ben 14 miliardi. Queste somme erano coperte appena per un terzo dalle esportazioni.

Le spese dello stato erano nel frattempo cresciute in modo esorbitante:

 

Nel biennio 1913 – 1914 pari a  circa 2.300 milioni di lire

“       “       1914 – 1915   “    a  circa 5.200 milioni

“       “       1915 – 1916   “    a circa 10.500 milioni

“       “       1916 – 1917   “    a circa 30.900 milioni

 

Nel corso di tutta la guerra erano stati spesi  148 miliardi di lire, somma equivalente al doppio di quanto lo stato italiano aveva speso a partire dal 1861 e sino a tutto il 1913.

Secondo certi dati britannici, contenuti in un documento del 23 ottobre 1919, alla fine della guerra i debiti italiani nei confronti degli Stati Uniti risultarono pari a 325 milioni di sterline, 467 milioni nei confronti della Gran Bretagna e di 35 milioni verso la Francia per un totale di 827 milioni di sterline.

 

L’inutilità dell’offensiva austriaca di giugno.

 

E’ indubbio che la ritirata delle  truppe A.U. su la riva sinistra del Piave fu strenuamente voluta e imposta dalle forze italiane e questo è stato più volte confermato e comprovato nel corso degli anni, così come, dopo un attenta analisi, sono  risultati fondamentali gli errori commessi dai Comandi Austro Ungarici nel valutare le reali condizioni di combattività e di resistenza  dei soldati italiani dopo la rotta di Caporetto.

Al contrario risultarono evidenti la scarsa  combattività  e l’improduttiva capacità offensiva delle loro truppe.

E’ stato spesso detto e confermato che, negli ultimi mesi del conflitto, le condizioni fisiche e morali degli austriaci in patria e al fronte erano tali  dal reputare irragionevole e  demenziale  qualsiasi ulteriore iniziativa bellica di una certa portata.

Ciò nonostante, l’imperatore Carlo e i suoi  Comandanti,  pur di accontentare gli alleati tedeschi, dopo aver fatto intravedere ai più sfiduciati e scettici il miraggio di altre scorrerie e ruberie ai danni delle popolazioni e delle truppe  italiane, non avevano esitato a mettere in campo quelle poche risorse ed energie sulle quali era ancora riuscito a  sostenersi l’impero danubiano.

Estremamente irresponsabile fu, pertanto, la decisione di intraprendere quell’ inutile offensiva che avrebbe  causato ingenti perdite di materiali e di vite umane.

A quanto si apprese da una Agenzia Stefani del 15 marzo 1919,  il maresciallo Ludendorf ebbe a dichiarare al redattore del Social Demokraten di Stoccolma che l’Austria era stata la causa principale della sconfitta della Germania.

Era mancato l’appoggio delle divisioni  austriache, impegnate al massimo nel fronte italiano. Se l’Austria avesse  mandato in Francia  alcune delle sue divisioni, la guerra, nonostante l’arrivo degli americani, sarebbe stata vinta dagli imperi centrali.

Il favorevole andamento della guerra condotta dagli imperi centrali era stato compromesso dall’Italia nel momento in cui, abbandonando il suo stato di neutralità, aveva  abbracciato la causa degli alleati.

Ma soprattutto si era verificato un deciso peggioramento della situazione subito dopo il fallimento dell’offensiva austriaca di giugno, nella quale erano stati inutilmente  impegnati i migliori effettivi dell’impero a.u.

La battaglia di giugno fu in definitiva un iniziativa bellica insensata voluta da personaggi irrazionali e miopi.

Quella inutile ed efferata azione offensiva, pianificata e realizzata in condizioni disperate ed impossibili, non comportò  solamente un abnorme dispendio di vite umane e di risorse materiali, ma ebbe terribili conseguenze sulla vita di tutta la popolazione civile e sulle strutture abitative e gli  insediamenti urbani e rurali. Ingenti furono anche le perdite in termine di pregevoli opere d’arte  distrutte o asportate quale preda bellica.

 

 

 

 

 

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