ATTILIO DEFFENU, DA ESPONENTE DEL SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO A INTERVENTISTA, A COMBATTENTE SUL FRONTE CON LA BRIGATA “SASSARI”, A VALOROSO CADUTO IN GUERRA A 27 ANNI

Foto di Renzo Caddeo. Meolo, Palazzo Cappello, 23 giugno 2018. Da sin. Salvatore Cubeddu, Serafina Mascia, Paolo Pulina

di SALVATORE CUBEDDU

(prima parte)

Pubblichiamo qui di seguito una antologia dei brani utilizzati da Salvatore Cubeddu, a  Meolo(Venezia), presso Palazzo Cappello,  sabato 23 giugno 2018, per la relazione sul tema: “Attilio Deffenu (Nuoro 1890 – Croce 1918): intellettuale, giornalista, esponente del sindacalismo e dell’autonomismo sardo”,  proposti in occasione delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra.  I luoghi della memoria: “Battaglia del Solstizio 15-22 giugno 1918”,  organizzate dalla F.A.S.I. (Federazione Associazioni Sarde in Italia), dai Comuni di Fossalta di Piave, di Meolo, di Musile di Piave e dal Circolo culturale sardo “Ichnusa” di Mestre-Venezia, in collaborazione con Coldiretti Nord Sardegna – Associazioni Combattentistiche e Protezione Civile – Campagna Amica, e  con il patrocinio di Regione del Veneto – Regione Autonoma della Sardegna – Città Metropolitana di Venezia. Prossimamente sarà pubblicato il testo dell’intervento dell’altro relatore, Paolo Pulina, vicepresidente della F.A.S.I.

Salvatore Cubeddu (Seneghe, OR, 1945), diplomato al liceo classico “De Castro” di Oristano, ha completato gli studi in teologia (a Verona), in sociologia (a Trento) e si è specializzato in studi sardi a Cagliari. Direttore del Centro studi della CISL sarda (1975 – 1976). È stato segretario regionale della FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) e fondatore, con i suoi amici, della FSM (FederatzioneSarda Metalmeccanicos), dal 1976 fino al 1989. Ripresa la libera professione e l’insegnamento, è stato segretario aggiunto del PSd’Az (1990 – 1991) e sindaco di Seneghe (2001 – 2006). Con i dirigenti della FSM è stato ideatore di  “Sa Die de sa Sardigna” e promotore, insieme a tanti militanti sardi, dell’assemblea costituente del popolo sardo. È giornalista pubblicista (già editorialista de “L’Unione Sarda” e di “Sardegna24”, con diverse centinaia di articoli) e direttore della Fondazione Sardinia. Tra le sue principali pubblicazioni: Quale sindacato per il futuro della Sardegna, inserto in “Ichnusa”, n. 9, 1985; Sardisti, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, vol. 1° e 2°, 1993 e 1996; Il Sardo-Fascismo, Ed. Fondazione Sardinia, 1993, a cura di; L’ora dei Sardi, Ed. Fondazione Sardinia, 1999, a cura di; con BachisioBandinu, Il quinto moro. Soru e il sorismo, Domusdejanas ed., 2007; L’ultima battaglia, Cuec, Cagliari, 2009. È l’amministratore e il direttore editoriale del sito www.fondazionesardinia.eu 

Sommario:
Nota bibliografica.
1.
Premessa. 2.Attilio Deffenu. 3.Il Congresso di Castel Sant’Angelo (1914).4.La guerra di Attilio Deffenu. Ad Oristano in quel 1917.5. Sogno di un mattino di primavera.

Nota bibliografica.

Di Attilio Deffenu si è scritto molto, a iniziare dalla migliore sua biografia/commemorazione scritta  daCamillo Bellienisu richiesta del fondatore dell’editrice Il Nuraghe, Raimondo Carta Raspi.

Avendo presente letappe e le circostanze della sua esistenza e, soprattutto, della sua fine, la sua figura fu messa in risalto dal combattentismo sardista ma pure da quello fascista, dai socialisti riformisti ma soprattutto da quelli rivoluzionari e poi dai comunisti, dai democratici salveminiani e da tutto l’antiprotezionismo democratico. Nel primo e nel secondo dopoguerra, quando la sua proposta di zona franca applicata alla Sardegna e l’utilizzo antesignano della proposta di rinascita divennero il leitmotiv dell’autonomismo sardo, sulla sua opera si è ampiamente riflettuto, in maniera, si potrebbe dire, completa e pressoché compiuta.

Per questo motivo, nostro compito precipuo è stato quello di riproporre in sintesi, ma pure tramite citazioni dirette, quanto si è ritenuto più utile per delineare la figura di Attilio Deffenunella ricorrenza centenaria del suo sacrificio, là dove esso si compì, a Croce (Musile di Piave), al mattino del 16 giugno 1918.

Oltre la bibliografia generale sulla prima guerra mondiale e sul ruolo dei combattenti sardi in essa, abbiamo direttamente utilizzato due testi, il primo (1925) e l’ultimo (2015) pubblicati sul tema:

1) Camillo Bellieni, Attilio Deffenue il socialismo in Sardegna, edizioni de Il Nuraghe, 1925, nel nostro cap. 5.

2) Mario Cubeddu,  Lontano dall’Italia. Storie di nazionalizzazione della Sardegna (1915-1940), Condaghes, Cagliari 2015, nel nostro cap. 4.

 

  1. Premessa

Estratto dal reading “Da Castel S. Angelo alla Grande Guerra”, elaborazione drammaturgica di Piero Marcialis, su ricerca e documentazione di Salvatore Cubeddu. Atto unico:

Quale era la situazione della Sardegna cinquant’anni dopo l’Unità d’Italia? Quale coscienza si aveva della situazione? Quali progetti animavano i sardi più avvertiti? Con quali speranze per il futuro?

L’Unità con l’Italia aveva avuto il suo precedente il 29 novembre 1847 con la Fusione Perfetta dell’Isola con gli Stati di Terraferma.

Una finta mobilitazione popolare, che in realtà aveva interessato pochi elementi della borghesia sassarese e cagliaritana, aveva consentito quell’operazione politica per la quale la Sardegna perdeva i suoi, pochi, privilegi e le caratteristiche di regno a sé stante: non più un proprio Parlamento, non più un viceré a Cagliari, tutto dipende da Torino, in cambio della presunta parità coi presunti privilegi degli Stati di Terraferma.

La Sardegna manderà al Parlamento di Torino i propri rappresentanti, 24 su 204, eletti dal 2% della popolazione.

Ben presto a chi si era opposto alla fusione, come Giovanni Battista Tuveri, si aggiunsero, nella delusione, anche quelli che l’avevano sostenuta, come Giovanni Siotto Pintor.

La Sardegna di metà Ottocento registra un’esasperata pressione fiscale ed una crescente emarginazione economica.

Dal 1850 al 1870 crescono fenomeni di banditismo, con furti di bestiame, bardane e sequestri.

La prima Commissione d’Inchiesta parlamentare, proposta da Giorgio Asproni e condotta da Agostino Depretis, con Quintino Sella e altri, tra il 1868 e il 1871, se non altro diede il risultato di una maggiore attenzione della pubblica opinione sui problemidell’Isola: spopolamento, agricoltura arretrata, scarse vie di comunicazione, analfabetismo, carenza di scuole tecniche, insicurezza sociale, disimpegno del Governo.

L’avvento della Sinistra al potere nel 1876 non portò modifiche  sostanziali. Se nel 1868 Nuoro si rivoltò (Su Connottu), nel 1881 la rivolta è a Sanluri.

Nel 1885 la relazione sull’agricoltura sarda del deputato Francesco Salaris segnalava l’estrema frammentazione della proprietà fondiaria, il gravame eccessivo delle imposte, gli errori del catasto.

Il finire del secolo, col fallimento delle banche isolane, la guerra doganale con la Francia (che chiuse ai prodotti isolani il mercato dell’allevamento, della viticoltura e dell’ olivicoltura), con la fillossera e la terribile siccità, vide un ulteriore fase di crisi, aumento della disoccupazione, emigrazione e banditismo.

Una nuova inchiesta, affidata a Francesco Pais Serra, nel 1894, oltre ad analizzare la gravità della situazione, fornì numerose proposte che furono in gran  parte raccolte nella legislazione speciale, formulata nel 1897 da Francesco Cocco Ortu.

  1. Attilio Deffenu

Attilio Deffenu

Nasce a Nuoro il 28 dicembre 1890 da Giuseppe e Giovanna Maria Sechi. Proveniente da una famiglia della piccola borghesia di tendenza progressista (il padre, padrone di pasticceria, era presidente della Società operaia nuorese), dopo gli studi ginnasiali nella città natale si trasferisce a Sassari per frequentare il liceo.Aderisce al socialismo e inizia, ancora gio­vanissimo, la sua attività giornalistica in un giornaletto, “La Via”.

Dal libro di Camillo Bellieni, pag. 17:

«Allora l’Isola usciva dalla grande crisi del 1906, che era stata reazione di una economia primitiva a carattere locale, presa ad un tratto fra le spire del commercio internazionale. Il forte e generale rialzo dei prezzi dovuto all’incremento dell’industria casearia, trapiantata in Sardegna dai romani, aveva colpito gravemente le plebi cittadine di Cagliari e Sassari. Contemporaneamente le masse agricole vedevano il latte, la ricotta, il formaggio, alimenti sino allora accessibili, rincarare improvvisamente (sicché il proverbio “Chiemandicatcasu, hatdentes de oro” acquista una triste attualità) e l’alto prezzo dei pascoli sottrae terre all’agricoltura, il cui esercizio rispondeva a necessità di consumo interno, ma dava un basso reddito per la forma estensiva voluta dalle condizioni ambientali.

Le famose giornate di maggio cagliaritano con i falò dei casotti daziari, e l’assalto ai caseifici nell’interno, sono rispettivamente l’aspetto cittadino e quello rurale di un unico motivo economico. Ed ecco, un brivido di Socialismo sembra scuotere la Sardegna …

La storia del socialismo sardo è breve. Cagliari e Sassari: i due centri intellettuali. Il socialismo sorge per influsso culturale di giornali e riviste. Due camere del lavoro che raccolgono gli scarsi operai delle scarse industrie, con periodi di piena improvvisata nell’ora dell’entusiasmo, e di magra improvvisa dopo lo sciopero fallito. Dieci anni di alternative e di tristi esperimenti …

Il bacino minerario e di Iglesias… i fatti di Buggerru del 1904, che avevano provocato il primo sciopero generale dei lavoratori italiani… i battellieri di Carloforte organizzati da Piero Cavallera,  nato in provincia di Cuneo il 2 gennaio 1873,  arrivato a Cagliari con una borsa di studio da studente di medicina, anche per cambiare aria, perché dalle sue parti era già sotto mira per la sua militanza socialista…

…. Tempio … i lavoratori del sughero discendenti degli emigrati corsi e la piccola borghesia cittadina, di fede anche massonica …

… a Bonorva, sede del più notevole esperimento socialista nell’Isola, sotto la guida dell’avvocato Giovanni Antioco Mura, avvocato, organizzatore socialista, che insegnava le forme primordiali di organizzazione: il consorzio agricolo, la cooperativa di produzione e lavoro… quasi reminiscenza nei vecchi delbidattone e del pabariledell’antica civiltà contadina da non molto dismessa».

Il giovane che ha finito il liceo ritorna a Nuoro nel 1908. Lì è nata nel 1871 e vive a Roma, Grazia Deledda. Sebastiano Satta, l’avvocato poeta, ha 41 anni e ne vivrà altri sei, Francesco Ciusa compie venticinque anni e l’anno precedente è stato premiato alla biennale di Venezia per  La madre dell’ucciso.  Gli articoli che il giovane pubblica su “La Via”riportano  l’entusiasmoanche ingenuo delle battaglie anticlericali (lotta contro il prete, libero amore) unita alla guerra al capitalismo e riportano anche iniziale comprensione della realtà sociale locale sul reato di danneggiamento e le pene relative, le rapine … cui invece che con la forza occorre rispondere con la civilizzazione. Bisogna trasformare il sistema economico sardo per rendere il sardo più buono…

Con il suo trasferimento a Pisa – dove fre­quenta la facoltà di Giurisprudenza e dove si laurea nel 1912 – ha modo di maturare nuove esperienze culturali e politiche, fre­quentando gli ambienti anarchici e collabo­rando ad alcune importanti riviste, tra cui “La Lupa” di Paolo Orano: tutte esperienze che lo avvicinano sempre di più alle posizioni del sindacalismo rivoluzionario.

Deffenu approfondisce il tema su “La Lupa” nel 1911:

«Il problema sardo è soprattutto un problema di educazione … da non affidare solo allo Stato, attendendosi soluzioni miracolistiche … anziché il formarsi e il progressivo evolversi di un popolo di uomini arbitri dei propri destini, compresi tutti dell’idea della loro missione, accesi da un lampo di fede e da un desideriodi vita… I giovani consapevoli superano gli innumerevoli disegni di leggi, i provvedimenti speciali … bisogna infondere nelle plebi lavoratrici sarde il vitale nutrimento della fede in se stesse, liberando la loro anima dalle catene del pregiudizio statale, che le ha condannate finora alla sterile genuflessione, non producendo mai altro che amari disinganni, snervandone e indebolendone la volontà, togliendo allo sguardo la netta visione di un migliore avvenire, di una forma più alta e più civile di convivenza sociale».

Commenta Bellieni:

Camillo Bellieni

«Mentre il Deffenu staccava così nettamente la sua posizione ideale da quella degli eterni piagnoni e postulanti delle provvidenze statali, e poneva il problema della redenzione proletaria come problema di autonomia, cercava anche di irrobustire il suo pensiero con l’attento studio della dottrina marxista.

Il carattere di necessità della rivoluzione proletaria e l’ispirato appello all’unione della classe operaia fanno della dottrina una fede che stimola l’azione e l’organizzazione delle masse.

Il marxismo nutrì la comprensione della realtà del giovane Deffenu e ne fa fede la sua tesi di laurea (“La teoria marxista della concentrazione capitalista”) e un lavoro presentato al concorso del seminario giuridico presso l’università di Pisa: “La teoria marxista del valore lavoro e la tendenza dei profitti al pareggiamento”. Concentramento della ricchezza nelle mani di pochi capitalisti e lotta di classe per l’avveramento necessario del socialismo: qui sta, per il Nostro, il fondamento scientifico del metodo marxiano. Ma il capitalismo si dà suoi correttivi con l’intervento di vincoli da parte dello Stato, con i dazi di protezione doganale e le cosiddette leggi sociali (pensioni di vecchiaia, sussidi alle cooperative e alle camere del lavoro, banche del lavoro, leggi sugli arbitrati, il sorgere dei partiti socialisti, che hanno  impresso alle organizzazioni operaie uno spirito opportunista ed utilitario). 

L’accentramento capitalistico trova i suoi limiti nella coscienza e nell’organizzazione operaia, dall’ampiezza di sviluppo e dalla capacità del sindacato operaio. Esso è un prodotto genuino della società capitalistica e non trova esempio in alcun’altra epoca. Il Deffenu rivendica al sindacato un’azione di propedeutica rivoluzionaria sugli operai, dovuta non a motivi d’indole strettamente economica ma psicologico-fantastica (pagg. 50-51) legandosi sempre più, oltre ad  Arturo Labriola, al sindacalismo rivoluzionario predicato da Sorel: l’idea della fabbrica senza padrone, di un’organizzazione spontanea e solidale della produzione, invece di una autoritaria, rampolla per fermentazione naturale nelle masse proletarie organizzate (si veda ciò chenel 1919  scriverà un altro sardo, Antonio Gramsci, a proposito dei consigli di fabbrica, che però libererà dagli impacci solamente economicistici della resistenza economica per affidare loro quello che era successo in Russia con i soviet, il potere politico dalla produzione alla società, allo Stato).

Solo un uomo educato alla scuola del materialismo storico potrà comprendere la questione sarda, come questione morale, come ribellione cioè del popolo ad ogni forma di  oppressione economica, dal semiservaggio della gleba, ancora perdurante nelle ville dell’interno, alla schiavitù doganale che impedisce l’affluire dei capitali nell’isola e l’impiego economico dei mezzi per la sua trasformazione agricola e industriale) (pagg. 52-53).Deffenu è pronto ad esaminare la questione sarda dal punto di vista storico-sociale. (pag. 61).

Nel 1912, dopo la laurea, torna a Nuoro. Qui esercita l’attività giornalistica, come corri­spondente del “Giornale d’Italia” e come col­laboratore di diversi periodici isolani, ma in pari tempo si impegna in una intensa opera di propaganda socialista e di organizzazio­ne sindacale. L’analisi che egli ha così mo­do di condurre sui problemi della Sardegna, lo convince della validità delle teorie antipro­tezioniste, a cui aderisce, avvicinandosi, malgrado le sue convinzioni di socialista ri­voluzionario, alle tesi liberistiche di Gaetano Salve­mini, di Antonio De Viti De Marco, di Luigi Einaudi. Egli ritiene la lotta per la redenzione del proletariato indissolubilmente legata a quella per la libertà doganale.

Nel 1913 fonda una rivista, “Sardegna”, stampata a Milano, dove egli si trasferisce. Lascia Nuoro: “nectecumnec sine tecum vivere possum!”. Milano: dove si forgiavano i primi sindacati rivoluzionari secondo gli schemi tracciati sui libri di Sorel da lui tanto amati, Milano dove si legge e si vive lo scontro tra una giovane borghesia industriale e ancora più giovane proletariato. Pasto per la sua curiosità, la fantasia, l’impegno. Apre uno studio da avvocato con un amico nuorese e diventa consulente legale dell’Unione Sindacale Milanese guidata da Filippo Corridoni. Frequenta tutto quanto fa vivacità di impegno sociale e politico, lotta di massa e pubblicistica, nei due anni prima della guerra. Italiani e stranieri (il cenacolo della pensione di via Eustachio).

È amico dei fratelli Corridoni,di Alceste De Ambris, che così lo ricorda(pagg. 69-70del libro di Bellieni):

«Quest’ultimo eral’unico che non  fosse – dico così, ufficialmente – un organizzatore operaio. Era venuto a Milano dalla Sardegna, dopo aver preso la laurea all’Università di Pisa, per esercitare la professione di avvocato. Ma la sua fede, il temperamento combattivo, l’ambiente suggestivo nel quale era venuto a trovarsi, lo distraevano spesso dai codici. Si contentava di lavorare per i clienti quel poco che gli era necessario alla vita materiale, e poi era tutto felice di abbandonarsi alla sua passione, conforme all’indole pugnace di partigiano che aveva portato dall’isola nativa, di cui parlava spesso con nostalgico desiderio.

Perché Attilio Deffenu era veramente sardo. Non soltanto perché nato in Sardegna, ma anche perché aveva tutte le più evidenti caratteristiche della sua razza. Piccolo di statura, sembrava anche  più piccolo in mezzo a noi che eravamo tutti assai alti. Aveva un viso sbarbato che lo faceva credere assai più giovane di quel che non fosse – addirittura un ragazzo – ma in certi momenti così serio e grave come se nei suoi occhi si rispecchiassero le vaste malinconiche solitudini del nuorese dove aveva trascorso l’infanzia. Era fiero e taciturno, qualche volta un  po’ bizzarro, o piuttosto incomprensibile per noi, come sono generalmente gli isolani. Generoso e coraggioso fino alla temerarietà, nelle ore del pericolo lo si trovava sempre in prima file con una indiavolata audacia di monello che ci faceva continuamente temere di vederlo andare a finire in prigione».

La rivista ha vita breve poiché lo scoppio dellaguerra, nel 1914, lo costringe ad interrom­perne la pubblicazione. Malgrado ciò, “Sar­degna”, che ospita collaboratori di varia ma­trice culturale e politica, ha modo di condur­re una intensa battaglia in favore della linea libero-scambista e antiprotezionista, la so­la, secondo Deffenu, capace di incentivare le energie economiche dell’isola, di avviar­le verso uno sviluppo capitalistico e di favo­rire la maturazione politica della sua classe operaia e del suo mondo contadino.

Tutta la “questione sarda” viene interpreta­ta come un problema da risolvere nell’ambito della più ampia questione meridionale. In analogia con le tesi più avanzate del me­ridionalismo democratico, Deffenu sostiene che la battaglia per l’autonomia della Sar­degna deve essere collocata in una lotta di più vasto respiro per trasformare lo Stato in senso socialista.

Attilio Deffenutentò di superare i limiti delle tradizionali interpretazioni della «questione sarda», fondate essenzialmente sulla denuncia, spesso superficiale, delle inadempienze dello Stato, su pregiudiziali localistiche, su semplici richieste di interventi esterni.

Questi atteggiamenti della classe politica e di molti intellettuali isolani han­no prodotto, egli rileva, «proposte diverse, frammentarie, talora contrastanti» mal inquadrate in una visione organica dei problemi della Sardegna, ed hanno portato i governi nazionali alla logica degli interventi straordinari, delle leggi «spe­ciali», anche di quelle promosse da Cocco-Ortu, i cui risultati gli appaiono dub­bi. In realtà, egli afferma, è necessario affrontare la realtà sarda nella sua globa­lità e, soprattutto, con spirito diverso, con abito scientifico e quindi con metodi di analisi più rigorosi, poiché il «risentimento, la rampogna d’obbligo contro le pretese iniquità governative» impediscono un’ analisi serena e costituiscono «il primo ostacolo al sorgere e al progredire di un’ indagine scientifica sull’econo­mia sarda».

Il brano che segue è tratto da un articolo intitolato “Sul momento attuale dell’economia sarda”, apparso sul primo numero, 1914,  della rivista “Sardegna”, di cui Deffenu fu fondatore e animatore:

«La Sardegna era povera quando entrò a far parte integrante di uno sta­to: povera di uomini e di capitali. La storia – triste vicenda di dominazioni susseguentesi in una triste impresa di sfruttamento e di rapina – le aveva inflitto ferite dilaceranti. Chi voglia rendersi conto della nota predominante, del momento essenziale nelle vicende alterne della storia sarda, deve rifarsi alla sua eterna condizione di vassallaggio economico. La Sardegna ha servito sempre ai governi, non questi ad essa. La sua qualità di strumento è quella che ha caratterizzato e caratterizza la sua fisionomia storica.

È il potere pubblico, l’organizzazione statale che, gravando col peso e coi pesi di una politica imposta di lontano, ha dato il la alla vita sarda attra­verso i secoli.

Orbene, la Sardegna, quando spunta l’alba della nuova vita nazionale si trova nelle condizioni di spirito di chi ha troppo sofferto in passato per non credersi in diritto di attendersi qualche cosa dalla … provvidenza per l’av­venire, di chi è passato attraverso il calvario di troppi dolori per non salutare un nuovo qualunque mutamento come l’inizio della sospirata e sognata era nuova. […]

Poi… venne quel che venne. Gli elementi dello sviluppo economico e in­dustriale della nazione si concentrarono nel Nord, là dove le opere per la di­fesa nazionale e per lo sviluppo economico e civile richiamavano attività fer­vida di uomini, impiego largo di capitali, nel Settentrione dove una febbrile attività industriale – favorita dal naturale allargamento del mercato interno – trovava nello Stato stimolo e incoraggiamento, nello spontaneo afflusso di forti capitali gli elementi della sua espansione, nel Mezzogiorno e le Isole un meraviglioso campo di sfruttamento. Così di pari passo colla crescente fortuna del Nord si accentuavano le ragioni della cronica depressione dell’economia meridionale. Ad un regime fiscale che si risolveva in un sistema di sperequazioni regionali stridenti, in una forza ostacolante il risparmio e il pro­cesso di capitalizzazione della ricchezza, si aggiungeva l’inasprimento del regime doganale che colpisce in pieno petto il Mezzogiorno nella sua doppia qualità di consumatore di manufatti e di esportatore di derrate, a tutto bene­ficio del Settentrione.

La Sardegna partecipava direttamente alle conseguenze di queste dolorose vicende economiche che travagliavano le regioni consorelle del Mezzo­giorno in quel tumultuoso periodo di vita nazionale: conseguenze che furono per essa ancor più decisive, date le condizioni di sviluppo della sua economia e la sua povertà di uomini e di danaro e il maggiore isolamentoe l’assenza di quelle condizioni esterne favorevoli al progresso economico e civile – primi i mezzi di comunicazione – che esistevano in uno stato meno irrisorio e rudimentale in altre regioni del Mezzogiorno.

Com’era naturale che avvenisse, di questo periodo critico della vita sar­da caratterizzato da una tragica alternativa di speranze e di disinganni, di smisurate aspirazioni e di realtà scoraggianti, di fede alta e di delusioni ama­re è il riflesso nel prodotto intellettuale della nuova generazione sarda che dopo il 1870 si diede attorno a indagare, talora con pretese di procedimento scientifico, le vicende e le condizioni economico-sociali dell’Isola.

I sardi che scrivono di cose sarde in quest’epoca si ricordano per prima cosa d’essere sardi, cioè d’esser figli di una regione per la quale è ormai d’ob­bligo assumere il ruolo di cenerentola in cospetto dell’Italia ufficiale. La pre­giudiziale regionalistica inficia i loro ragionamenti. In tutti è la preoccupa­zione di enumerare e mettere in risalto le malefatte governative –l’argomento si presta letterariamente e trova rinforzo nelle scorribande storiche – ogni scritto si conclude con una requisitoria. Come avviene tutte le volte che forti passioni agitano la vita di un popolo e l’esplosione di sentimenti estremi incendia l’atmosfera sociale, la sfera pratica e quella teorica si confondono. Chi impugna la penna per scrivere di cose sarde s’illude di fare della storia della indagine condotta con abito scientifico, cioè con piena libertà di giudizio: inrealtà stende un atto di accusa, denuncia un’offesa, vendica un’ingiustizia.       

La passionalità dell’uomo che si sente offeso ed esprime il proprio risen­timento,la rampogna d’obbligo contro la pretesa iniquità governativa: ecco, dunque, il primo elemento che perturba la serenità del giudizio ed oblitera all’occhio dell’indagatore la visione chiara della realtà, ecco il primo ostaco­lo al sorgere e al progredire di un’indagine scientifica sull’economia sarda.

Ma vi ha dell’altro. Le piaghe dell’Isola sanguinano, il disagio si accen­tua, la miseria cresce, almeno nel senso psicologico; la rassegnazione e la mo­destia tanto diffuse nel passato vanno dileguando per cedere il posto ad un’in­tensa insofferenza e coscienza dei propri mali, la “maledetta mancanza di bisogni”, che il Lassallelamentava negli operai, scema rapidamente. Si chiede con insistenza da tutte le parti: le querele solcano la torbida opaca at­mosfera della vita isolana, bisogna, dunque, trovare il rimedio. Il male è ­–o pare – estremo. Perdersi in analisi complicate, in diagnosi analitiche, in ricerche sulla genesi della malattia quando si tratta di applicare un rimedio d’urgenza, appare ridicolo!

Ed ecco la moltitudine dei medici improvvisati affollarsi attorno alletto dell’infermo, ecco la generale, assillante preoccupazione di dettar la ricetta, di trovare lo specifico, di escogitare il rimedio sovrano, ecco i sapienti dotto­ri della farmacopea regionale pullulare a migliaia, esibirsi senza risparmio per la cura ultima, razionale, infallibile!

Non soltanto, dunque, la pregiudiziale antigovernativa, il preconcetto, l’idea fissa, il sentimento che prende il posto della fredda intelligenza indagatrice, la preoccupazione di far prevalere una tesi, di fare omaggio a una scuola (già ci furono anche quelli che, fingendo reazioni agli eccessi statolatri, dissero: facciamo tutto da noi! e scrissero un articolo), vi è anche il buon cuore, l’amor patrio isolano che intendono a sanar piaghe, ad applicare cerotti, a raddrizzare gambe storte! …

Ora nessuno si attenterebbe a negare a questa brava gente la buona volontà e le generose intenzioni. Ciascuno fa quel che può e, infin deiconti, ricetta più ricetta meno, non per questo la Sardegna si potrà dire più disgraziata se ha al suo attivo l’invasione periodica delle cavallette e diverse società accademico-sociali per gli studi economici sull’Isola. Quel che ci preme rile­vare si è che una tale disposizione di spirito non poteva fare a meno di allontana­re sempre più la possibilità di una costruzione teorica di qualche importanza sulle cose economiche sarde.

È chiaro, difatti, che una ricerca viziata da elementi estranei e ripugnanti al procedimento scientifico, doveva necessariamente addurre a conclusioni affrettate unilaterali, insufficienti. Il sardo osservatore rimane colpito dalle manifestazioni più appariscenti, per così dire esterne, superficiali, dei fenomeni, dai sintomi patologici, che sono effetto di cause che non si vedono, né si ricercano. La sua attenzione è attratta da quelli fra gli elementi del malessere sardo che si presentano sot­to una luce di maggiore evidenza e di più cruda realtà; non indaga, attraver­so il viluppo di fattori che pare contrastino a causa di una loro caratteristica individualità, e pure sono stretti da un legame di mutua interdipendenza che li spiega e li illumina, la causa ultima che non si può ridurre ad alcuna altra e ci dà il perché di questa particolare forma di economia.

Così li abbiamo veduti questi vari elementi del malessere sardo – mala­ria, disordine idraulico, spopolamento, insufficienza dei mezzi di comunica­zione ordinamento giuridico della terra, scarsezza di capitale, ecc. ecc.–,­assunti volta a volta ciascuno a causa unica ed esclusiva del ristagno dell’eco­nomia sarda: e la realtà veduta attraverso questo ristretto angolo visuale doveva necessariamente dar credito ora a questo ora a quel gruppo di provvi­denze regionali e doveva porgere al legislatore un materiale di proposte di­verse, frammentarie, talora contrastanti, fra cui era difficile orientarsi nel­l’atto di dar mano ad un qualunque tentativo di azione legislativa. Prodotto di questa incertezza, di questo empirismo o semplicismo teorico nella considerazione del problema sardo fu quel cumulo di provvidenze regionali che si conoscono sotto il nome di “leggi speciali”, e che destarono allora tanto entusiasmo di consensi e di speranze, mentre oggi, ahimè,molti  ne procla­marono il fallimento! La questione è sub judicee certo un’indagine spassio­nata s’impone sul valore e gli effetti di questa legislazione a chiunque voglia cacciarsi nel pelago delle discussioni regionali.

E che dire dell’azione dei partiti politici e delle scarse organizzazioni economiche esistenti nell’isola, che dire della loro condotta sul terreno delle rivendicazioni regionali? Anche qui è la stessa incertezza, la stessa confusione, lo stesso semplicismo che si risolvono, com’è naturale, nell’assenza di sicuri e sani criteri di scelta riguardo ai metodi di lotta, alle modalità dell’azione: attività incoerente ed oscillante, di scarsa o nulla efficacia pratica perché ba­sata su formule pseudo-scientifiche o dogmi di partito che vorrebbero sovrap­porsi ad un ambiente economico-sociale refrattario, di cui sono impotenti a scalfire o modificare menomamente la struttura.

Son tutti gruppi di colore diverso e di varia etichetta, ma affratellati da un programma regionale unico: quello di ignorare la propria terra, di non sentire un patriottismo sardo superiore ad ogni patriottismo o nazionalismo italiano o … cosmopolita, di non vedere una questione regionale al disopra di ogni diatriba di partito, d’ogni velleità di differenziazione positiva, d’ogni rivalità di loggia o interesse di bottega!

A nessuno verrà in mente di pensare che l’azione dello Stato il quale vo­glia agire come fattore economico, che l’azione dei partiti i quali intendano condursi come partiti di realizzazione storica in un determinato ambiente politico-sociale, di cui mirano a modificare la struttura ed orientare in una certa direzione le forze e gli elementi di progresso, possano rinunziare, senza loro grave danno, ad una scorta di luce teorica, e cioè a trar profitto dai ri­sultati delle investigazioni scientifiche, se per scienza s’intenda chiarimento dei fenomeni nei loro aspetti, nei loro rapporti generali, nelle loro cause, ri­cerca delle uniformità che essi presentano, cioè delle leggi che regolano le azioni umane, e il moto storico. Fuori di questo c’è l’empirismo, c’è il regno fanta­stico dell’utopia, c’è, nell’economia delle energie sociali, la violazione della legge edonistica.

Il benefizio pratico d’indagini, che appaiono a primo aspetto rilevanti solo nel riguardo della bellezza della ricerca, balza da queste elementari con­siderazioni evidente.

E dal punto di vista meramente scientifico, cioè della pura speculazione, quale e quanto interesse, quale e quanto fascino non promanano da questo sterminato e inesplorato campo d’osservazione e di indagini che è “l’arretra­ta” economia sarda!

Lo studioso il quale vi si approssimi con animo sgombro d’ogni precon­cetto di scuola, d’ogni sentimento di malinteso amor patrio, di ogni pregiu­diziale politica, ne rimane subito conquiso; lo stimolo della curiosità scienti­fica più intensa lo spinge innanzi nella ricerca, lo fa passare di meraviglia in meraviglia, con un crescendo di entusiasmo febbrile che lo esalta e lo ine­bria. E non solo perché, come s’è detto, si tratta di un campo per gran parte inesplorato, di una terra vergine su cui l’aratro dell’indagine scientifica ha scavato solchi brevi, ma anche, e soprattutto, per un’altra ragione che fu posta in rilievo da quanti osservatori intelligenti si occuparono dell’Isola. La Sardegna è un paese che si distacca nettamente, per il complesso delle sue manifestazioni sociali, non solo da ogni altra regione d’Italia, ma anche da ogni paese d’Europa. Tutto da noi è caratteristico, ogni aspetto, ogni ele­mento della nostra vita –economica, sociale, morale, demografica, ecc. –ha un’impronta di rude eccezionalità che stupisce dapprima e invoglia poi alla ricerca più profonda, per concludere ad una veduta d’insieme della vita sarda che ci lascia perplessi, perché non afferrata ad un’osservazione superficiale e mai sospettata.

Francesco Coletti, economista colto e osservatore dallo sguardo acuto, ha dedotto da questo fatto la convenienza di una serie di studi sulla vita eco­nomica e sociale dell’Isola nostra. “E invero – egli dice – chi si pone a stu­diare la vita sociale della Sardegna per farsene un’idea meno vaga di quanto generalmente se ne abbia, rimane ben presto come sorpreso da un fatto addi­rittura eccezionale. Mentre altre regioni italiane si distinguono vivamente in più e in meno dalle altre consorelle solo per uno o per alcuni degli aspetti della demografia, dell’economia, della vita morale, ecc., la Sardegna invece si trova fra i primi o gli ultimi gradini, anzi spesso proprio nel primo o nel­l’ultimo, in una serie grandissima di fenomeni, certamente in un numero com­plessivo di casi di gran lunga superiore a quanto non avvenga per qualsiasi altra regione!”.

Dalla constatazione della rude emergenza di questi fenomeni, della loro estrema o acuta espressione, della loro caratteristica individualità che li fa spesso diversi da zona a zona, da paese a paese – come dalla induzione o intuizione della loro stretta interdipendenza – deriva, secondo l’egregio scrit­tore, la convenienza scientifica singolarissima che ci presenta la Sardegna co­me oggetto di studio, come grande laboratorio naturale per le ricerche massi­mamente d’indole demografica, economica, sociale».

 

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