1918: COSI’ COMINCIO’ L’OPERAZIONE ALBRECHT SUL FIUME PIAVE

di DARIO DESSI’

Sulla riva destra del fiume Piave,a ridosso dell’argine alcuni fanti italiani sembrano attendere l’inizio dell’offensiva nemica. Tutto il fronte era stato allestito in modo da  attenersi scrupolosamente alla più pura e semplice difensiva.

 “Le voci di un imminente offensiva erano ormai divenute talmente insistenti,al punto che chiunque avesse avuto un po’ d’esperienza vi prestava fede.

Come mai era possibile, dopo quattro anni di guerra, parlare con tanta disinvoltura di cose, il cui successo sarebbe, in gran parte, dipeso dalla loro segretezza.

Ma un bel giorno, non fu più possibile  dubitare della fondatezza di quelle voci. Gigantesche quantità di munizioni erano trasportate in avanti dalle ferrovie e in piena notte risuonava il fragore delle colonne di autocarri e di carriaggi.

La pianura aveva incominciato a brulicare di truppe, mentre nuove batterie venivano trasportate vicino alle linee, assieme a numerose Lancia granate alte come un uomo, ognuna delle quali pesava la bellezza di settecentocinquanta chili.

Secondo quanto fu possibile  stabilire, esse erano state distribuite lungo un   fronte di  sessanta chilometri e questo in modo ché non si potesse avere un idea sul  punto dove sarebbe stato sferrato l’attacco principale.

Nel settore del Basso Piave erano stati sistemati due giganti: un cannone da 420 mm  posizionato in località presso Gorgo al Molin, nei pressi di casa Veltrame  e un mortaio da 305 mm, ubicato sulla linea ferroviaria vicino a  Ponte di Piave. Il primo era un vero mostro;la sua canna era lunga diciannove  metri e la messa in opera dell’affusto aveva  richiesto uno scavo  talmente profondo da poter contenere un caseggiatoalto tre piani.

Ilsuo  trasportoera stato laboriosissimo.

Quel cannone, sistemato a Salvore, sulla punta occidentale dell’Istria, doveva difendere il golfo di  Trieste da eventuali attacchi dalla parte del mare.

Per rendere possibile il trasporto dei vari pezzi di quel gigantesco obice era stato necessario rinforzare tutti i ponti e i soprapassaggi della linea ferroviaria. In precedenza, nel sito della sua destinazione, erano stati costruiti un doppio binario e una piazzola, oltre a degli argani speciali per il caricamento del cannone. Per il suo funzionamento sarebbero stati impiegati un centinaio di artiglieri.

Questo complesso d’opere, che si allungava  per circa un chilometro, era stato  mascherato con graticci di legno e con fili di ferro sui quali era stato steso  fogliame di viti.

Dovendo questo pergolato essere abbastanza alto per  accogliere un intero treno corazzato, e dovendosi  sostituire, quasi ogni giorno, i tralci di vite che si seccavano rapidamente, è possibile  immaginare quale estensione di colture viticole sarebbestatosaccheggiata per riuscire a celare il  micidiale ordigno agli occhi attenti degli aviatori nemici.

“Ormai l’offensiva era una cosa certa.  Gigantesche quantità di munizioni erano state  trasportate in avanti dalle ferrovie e durante la notte risuonava il fragore delle colonne di autocarri e di carriaggi.  Montagne di proiettili s’innalzavano all’aperto, mascherate soltanto con rami d’albero, poiché era impossibile costruire dei magazzini e dei depositi.

Tuttavia quell’ offensiva suscitava dei dubbi tra  gli stessi avversari.

Perché quella era un offensiva,  alla quale nessuno credeva, su i cui piani il comando austro-ungarico aveva discusso ormai da mesi e nei cui riguardi le persone responsabili avevano perduto ogni speranza, prima ancora che venisse sparato il primo colpo.

Un avvenimento d’importanza storica, senza anima,  se così si può dire, senza quella volontà di distruzione  che soltanto potrebbe giustificarlo. I risultati corrisponderanno ai pronostici?”.

Da  “La fine di un esercito Tappe della disfatta” di Weber Fritz.

 

La vera offensiva avrebbe avuto inizio alle 3 del 15 giugno, il giorno del solstizio d’estate, con l’operazione Radetzky,organizzata da Conrad, che avrebbe ordinato alla 11° armata di  raggiungere Vicenza, una volta superate le linee difensive italiane sull’Altopiano d’Asiago e sul Monte Grappa,  e con l’operazione Albrecht di Boroevic che avrebbe  lanciato la 6° armata con l’obbiettivo di superare le nostre linee sul Montello e arrivare a Treviso, contemporaneamente all’Isonzo Armee, la quale  avrebbe dovuto infrangere la resistenza italiana tra il ponte della Priula e Ponte di Piave, sempre con l’obbiettivo di raggiungere Treviso, e tra Ponte di Piave e San Donà di Piave con l’obbiettivo di raggiungere Mestre e Venezia.

Ma, questa volta l’artiglieria italiana, posizionata sulla riva destra del Piave, dopo l’amara lezione di Caporetto, non si sarebbe fatta  sorprendere, ma avrebbe immediatamente aperto il fuoco di contro preparazione, anticipando, in alcuni settori del fronte, il fuoco nemico con lo scopo di  provocare sensibili perdite nel dispositivo di attacco avversario, dai pontoni di barche montati sul Piave ai centri di comando.

Il morale delle fanterie avversarie fu scosso in modo tangibile, al punto da incidere in maniera determinante sullo sviluppo dell’intera offensiva.

Il Servizio Informazioni aveva lavorato bene; rendendo noti i luoghi dove il nemico avrebbe attaccato e dove, purtroppo per loro, avrebbero trovato  schierati ben 7.000 cannoni, 17.000 mitragliatrici e una copertura aerea di 4.000 aeroplani.

La conquista di Treviso era l’obbiettivo immediato del Gruppo Austro-Ungarico di armate dell’ est comandate dal generale Boroevic.

Un apposito  ordine di operazioni  disponeva che le truppe d’assalto ungheresi entrassero nella capitale della Marca alle ore 15 del 15 giugno 1918, esattamente il primo giorno della battaglia così detta del Solstizio.

I generali avevano progettato e gli uomini fiduciosi s’aspettavano di andar dritti col primo slancio a Treviso, dove erano state già assegnate le caserme  ai vari reggimenti e le abitazioni ai diversi ufficiali.

Gli attaccanti vennero tuttavia fermati dai contrattacchi italiani lungo tutta la sponda destra del fiume Piave e la capitale della Marca non ebbe così la triste esperienza di essere invasa da un orda di soldati di etnia eterogenea, in preda alla fame e impazienti d’imporre qualsiasi loro possibile diritto d’occupazione.

 

Operazione Albrecht  –  Offensiva di giugno

Dopo l’arresto da parte italiana dell’ operazione diversiva austriaca Lawine del 13 giugno sul passo del Tonale e dopo l’insuccesso della 11° Armata sul settore montano tra l’Astico e il Piave, la lotta  si era ridotta in pratica ad uno scontro frontale a ridosso di un corso d’acqua, specialmente nel tratto compreso tra Pederobba e il mare Adriatico.

In effetti quella tanto attesa e conclamata offensiva austriaca di giugno dall’Astico al mare  si era trasformata in una battaglia combattuta tra le due sponde  del  Piave. Ed era  appunto  sugli esiti  di quella  battaglia che il Comando Supremo Austriaco riponeva ormai le residue  speranze  di  vittoria,  anche se il feldmaresciallo SvetozarBoroevich von Bojna, comandante del III  gruppo di armate austro ungariche, fosse convinto che, senza un adeguato alleggerimento sul fronte del Tirolo, sarebbe stata pura follia proseguire l’offensiva verso Treviso e Venezia.

Dislocazione della  Brigata  “Sassari”

Sin dal mese d’aprile  la Brigata “Sassari” era stata impiegata in esercitazioni nei dintorni di Padova.

Il 2 giugno si era trasferita a Vigonza.  Il 3  a Salzano.

Il 7 giugno aveva raggiunto la zona di Carpenedo.

Sabato 8 giugno  il comando di Brigata era a Villa Camoli.

Il comando del 151° si trovava a Villa  Galante e il comando del 152° a l’Osteria la Favorita, sul Terraglio tra Mestre e Mogliano Veneto.

Il 1/151 si trovava accantonato ad est della strada Zelarino  –  Osteria.

Il 2/151  ad est della strada C. Pontida  –  C. Contea.

Il 3/151 ad est della strada Trevignano  –  Turbine.

Il 1/152  a Borgo Nuovo.

Il 2/152  era accantonato nella strada tra Mestre e Treviso (Terraglio), nel tratto compreso  tra  C. Puderighe e C. Canal.

Il 3/152 lungo la strada tra Mestre e Treviso  nel tratto compreso tra Km. 1 e V. Groggia.

Le compagnie mitragliatrici 1371 ° e 1372°  erano accantonate nel forte Mezzocapo.

Il battaglione complementare  ad ovest  della strada Trevignano- Turbine.

Sabato 15 giugno il 152° reggimento era stato trasportato dalla Favorita a Fornaci nella zona del fiume Meolo, dove giungeva alle ore 22.

Nello stesso giorno il 151° veniva dislocato nella zona dell’Albera a Losson.

Il comandante della Brigata era stato chiamato d’urgenza al Comando della 33° Divisione, per ricevere le prime informazioni sull’iniziativa offensiva austriaca e da lì veniva subito inviato al comando del XXIII Corpo d’armata, dove, oltre a ricevere ulteriori chiarimenti sulla  situazione della battaglia in corso direttamente dal comandante, il generale Petiti di Roreto,  apprendeva che il nemico aveva traversato il Piave nella zona tra S.Donà e Musile di Piave.

Il terreno su entrambi i lati di quel tratto del fiume era densamente ricoperto  da una vegetazione rigogliosa.

Nella  pianura  i filari delle vigne, si alternavano ai gelsi e ad altri alberi, separati da siepi e da muretti, oltre alle acque di  numerosi canali d‘irrigazione e di fossati di scolo. Qua e là la s’intravedeva la presenza di qualche villaggio e di numerosi casolari, allo stato rustico,  i quali, in men che non si dica, sarebbero potuti essere trasformati in preziosi  capisaldi difensivi.

Poiché, nel mese di giugno le piante di grano e  di granturco erano abbastanza alte,mentre alquanto folta era la vegetazione arborea e arbustiva, quella situazione avrebbe potuto contribuire a rendere complicata l’efficacia dell’azione dell’artiglieria austriaca.

 

Al 152° Reggimento era stato, subito, affidato  il compito diriconquistare i capisaldi d’Osteria,  di Fossalta e di Croce, e di proseguire l’ avanzata lungo l’argine del fiume  Piave in direzione del canale delle Mille Pertiche.

Il 151° Reggimento,  invece, avrebbe dovuto riconquistare il caposaldo di Capod Argine per  proseguire, quindi,  l’avanzata fino a collegarsi con le truppe del 152° lungo il canale delle Mille Pertiche.

Le vittoriose operazioni dell’inverno sull’Altopiano, un’accurata preparazione morale, numerose esercitazioni compiute sia in terreno collinoso sia in terreno di pianura, ( a quella dell’11  maggio a Monte Grande aveva assistito anche il Re) avevano  fatto della Brigata Sassari  un’unità allenata alle fatiche, ben tenuta alla mano dai capi, animata da altissimo spirito offensivo e pronta a contrattaccare gli invasori.

Sabato 15 giugno, intanto,  i primi assalitori austriaci avevano varcato il Piave  dalle curve tra San Donà e le scuole di San Rocco ed erano  apparsi, tra la nebbia artificiale,  sulle prime linee dei difensori, armati con  mitragliatrici leggere sulle spalle, lanciafiamme e bombe a mano.

Dappertutto, le seconde linee italiane si erano  trovate circondate dagli assalitori, che avevano continuato a  infilarsi a piccoli nuclei, progredendo  di sorpresa. I pontoni, ormai gettati sul fiume, avevano continuato ad alimentare l’ irruzione. Il terreno sembrava fatto a posta per tali azioni d’infiltramento e il nemico era riuscito ad  approfittarne con abilita.

Dovunque spuntavano le mitragliatrici austriache con i mitraglieri che assalivano le pattuglie italiane ai fianchi e alle spalle.

Alle ore 11 del 15 giugno il caposaldo stradale di Croce era stato conquistato dal nemico che, dopo aver preso le scuole di S. Rocco, stava continuando ad avanzare. Reparti di fanteria erano  accorsi per riprenderlo e mentre lì si combatteva l’irruzione continuava a dilagare con le mitragliatrici austriache che crepitavano in continuazione tra gli alberi.

Erano azionate da nuclei sparsi costituiti da tre uomini, dei quali uno portava una mitragliatrice leggera del  peso di 23 chili, e gli altri due la manovravano.

Uno di questi nuclei, che avanzavano seminascosti nella vegetazione, era stato attaccato dagli arditi del maggiore Allegretti e mentre il portatore dell’arma  aveva fatto finta di arrendersi gli altri due serventi avevano continuato a sparare.

Gli scontri erano stati brevi, ma terribili. Le truppe austro ungariche provenivano anche da sud e, dopo aver avuto ragione della strenua resistenza dei fanti del 145° reggimento, erano riuscite ad occupare Case Sperandio.

Ancora più a sud, a Case Bellesine, il Comando dell’81°  fanteria Brigata “Torino” era stato circondato ed attaccato da un centinaio di soldati austriaci.

Dopo una tremenda lotta corpo a corpo, dei nemici ne erano rimasti vivi appena  sette, che furono, subito,   fatti  prigionieri.  La prima linea italiana era stata, però,  costretta ad arretrare per essere ricostituita lungo il canale della Fossetta, dove,in un primo momento era sembrata in grado di poter reggere l’avanzata degli invasori.

Intanto i reparti della 33^ Divisione stavano ultimando i preparativi per entrare in linea. Già nella prima mattinata la Brigata “Sassari” aveva ricevuto l’ordine di tenersi pronta alla partenza e pertanto alle ore 11.30 i fanti si trovavano già  pronti per essere caricati su autocarri incolonnati sulle strade Mestre – Treviso,  La Gatta – Trivignano e La Gatta – Zelarino.

Per i veterani delle trincee delle Frasche e dei  Razzi, degli Altopiani di Asiago, della Bainsizza, di Col del Rosso andare in linea in camion significava evitare lunghe e faticose marce e giungere freschi sul campo di battaglia.

Alle ore 14 gli autocarri iniziarono a muoversi lungo le strade polverose che attraversano la pianura trevigiana, verde d’alberi e di viti.

S’incrociava  qualche convoglio di feriti e di profughi e poca gente, che era, però, fiduciosa di non rivivere un’altra “Caporetto”.

La strada da percorrere per raggiungere il settore assegnato ai fanti della “Sassari” passava per Mogliano Veneto, Zerman, S. Michele al Quarto (oggi Quarto d’Altino), Musestre, Roncade, Monastier, Meolo e dovunque passavano i soldati sardi suscitavano entusiasmo, ammirazione e stupore. Sembrava quasi che non stessero andando a combattere lungoun  fronte sconosciuto, perché a bordo degli autocarri non facevano altro che cantare e sparare in aria, quasi in segno di festa e allegria.

E queste manifestazioni  contribuivano  a conferire sicurezza e conforto in coloro, soprattutto donne, bambini e persone anziane, che li salutavano dai bordi della strada. Restavano sulla zona di Marocco, Zelarino e Trevignano il grosso carreggio dei reggimenti e il battaglione complementare.

Anche le due compagnie mitragliatrici di brigata e le quattro compagnie mitragliatrici divisionali, assegnate alla brigata, non furono in grado di procedere verso il Piave, per mancanza di mezzi di trasporto.

Le prime due, riuscirono ad arrivare sul luogo loro assegnato poco prima delle 5 del giorno 16, e poteronocosì  partecipare alla controffensiva.

Altrettanto  non poterono fare,  le quattro compagnie  divisionali, giunte più tardi sul luogo dove stava infuriando la battaglia.

La dislocazione della  Brigata prima della controffensiva

Il comando di brigata a C. Meneghel.

Il comando del 151° a  l’Albera (Losson)..

Il comando del 152° a Pralungo.

Il  II e il III battaglione del 151° e la compagnia mitragliatrici 1371° sulla strada Albera –  Capod’argine all’altezza dello scolo Palumbo.

Il  II e il III battaglione del 152°, una compagnia fucilieri con una sezione mitragliatrici del I battaglione e la compagnia mitragliatrici 1372°  attestati sulla strada Fornaci  Fossalta all’altezza dello scolo Palumbo.Il III battaglione del 151°,  due compagnie fucilieri con due sezioni mitragliatrici del I battaglione del 152° presso C. Meneghel in riserva di brigata.Non esistevano dubbi, per i veterani della trincea delle Frasche, di quella dei Razzi degli Altopiani, della Bainsizza, di Col del Rosso. Bisognava  combattereil nemico di sempre per fermarne l’offensiva  e costringerlo a ritornare nelle sue precedenti posizioni, nella sponda sinistra del fiume Piave.

 

“Questo fiume è oggi la vena profonda del cuore della Patria. Se si spezza il cuore si arresta”. Gabriele D’Annunzio.

Queste furono  le parole  minacciose e sprezzanti, che il Gen. Petiti di Roreto rivolse alle sue truppe  da Villa Graziani a Musestre di Roncade, la nuova sede del comando del XXIII Corpo d’Armata, dal quale dipendeva la 33° Divisione e pertanto la Brigata Sassari.

“ Tutte le truppe che occupano l’attuale prima linea dovranno cooperare all’azione passando inesorabilmente per le armi i nemici che si presentassero armati e gli eventuali fuggiaschi … E’ giunta l’ora in cui tutti dobbiamo morire anziché cedere un unghia”

 

 

All’alba di sabato 15 giugno 1918  iniziava l’offensiva austrica

Non era mai successo, come in quella occasione, che due eserciti formidabili stessero per cozzare l’uno contro l’altro con pari volontà e sicurezza di trionfo.

Alle ore 03. 00, dall’Astico al mare, non meno di 7500 bocche da fuoco austriache aprirono il fuoco di preparazione all’attacco che, intercalato con tiri a gas e rafforzato gradualmente, fu mantenuto della stessa intensità per oltre quattro ore.

Il Comando Supremo italiano, bene informato, aveva, però, già fatto intervenire le sue batterie alle 2,35 ed un violento tiro di contro preparazione si era abbattuto su Comandi austriaci, osservatori, mezzi di comunicazione, truppe in linea e di rincalzo, riuscendo a disarticolare e disorganizzare il dispositivo d’attacco nemico.

Il fuoco italiano era così violento che  il nemico pensò,  addirittura, che la sua offensiva si stesse scontrando con un’ analoga iniziativa italiana. Le truppe  austro – ungariche, sottoposte a gravissime perdite, mossero all’assalto con minore impeto, ottenendo solo successi parziali e locali.

Una battaglia cruenta svoltasi, dal 15 al 24 giugno del 1918, su tutto il fronte dall’altopiano di Asiago, al Monte Grappa, alla linea del Piave fino all’Adriatico, e con particolare forza, da parte degli austro-ungarici, nella zona del “Basso Piave”, la dove era schierata la “Brigata Sassari” che dal 1915, costituita soltanto con soldati e ufficiali sardi, aveva già subito pesanti perdite. Una battaglia vittoriosa che, a costo di tante giovani vite umane, consentì di respingere l’ultima disperata offensiva dell’esercito austro-ungarico verso Treviso e verso Venezia, e indirizzare invece le sorti della Grande Guerra, che apparivano disperate dopo la rotta di Caporetto dell’anno prima, verso la vittoria finale che sarebbe stata raggiunta, da lì a qualche mese, il 29 ottobre di quel 1918.

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