UN RITROVAMENTO VICINO AD ALGHERO DI UN FRAMMENTO OSSEO RISALENTE AL PLEISTOCENE: UNA TIBIA SVELA IL PASSATO DEI MAMMUT NANI DELLA SARDEGNA

di Simone Repetto

Pensare alla Sardegna come ad una terra in cui vivevano gruppi di elefanti pressoché indisturbati può apparire paradossale. Se poi questi elefanti erano dei mammut in miniatura ed esclusivi della grande isola mediterranea, diventa un fatto sorprendente ed ai più sconosciuto. Ciò che era stato anticipato dai paleontologi che si sono occupati della materia nel 1800, è stato confermato dal recente ritrovamento di un frammento di tibia nel territorio di Alghero, risalente al tardo Pleistocene, e oggetto di una pubblicazione sulla rivista Comptes Rendus Palevol, a cura di Maria Rita Palombo, Marco Zedda e Rita Teresa Melis, che hanno ulteriormente analizzato il fenomeno degli elefanti nani della Sardegna.

Si tratta della specie Mammuthus lamarmorai, istituita nel 1883 dall’eminente zoologo e paleontologo Charles Immanuel Forsyth Major che, sulla base dei resti segnalati dal naturalista Luigi Acconci nel 1831, diede notizia di uno scheletro incompleto trovato nel sud ovest sardo a Gonnesa (località Funtana Morimenta), durante i lavori di costruzione della ferrovia. Da allora, vennero scoperti solo denti isolati, rinvenuti in sedimenti pleistocenici di varia età, ma non più antichi di 150 mila anni  fa, nei pressi della costa occidentale sarda (Tramariglio, San Giovanni di Sinis e Campu Giavesu).

“Complessivamente, è stato trovato uno scarso numero di resti di mammut sardo, riferibili a denti e limitate porzioni dello scheletro. Pertanto, ogni nuovo ritrovamento, come la parte di tibia oggetto dello studio, ha la sua importanza per approfondire le conoscenze su questo elefante”, spiega Marco Zedda, archeozoologo del Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Sassari. “Nell’immaginario collettivo, il mammut è considerato un mammifero di enormi dimensioni e legato ad ambienti molto freddi. Il fatto che fosse presente anche in Sardegna, con una specie caratterizzata da una statura più bassa di una persona media, suscita curiosità e interesse”, aggiunge Zedda.

Secondo le ricostruzioni fatte dai paleontologi, il mammut sardo doveva essere alto non più di un metro e mezzo, per circa 700 – 800 kg di peso. Ma l’aspetto più interessante per il mondo scientifico è come i mammut possano essere giunti in Sardegna e vi siano rimasti per un certo periodo, adattandosi al nuovo ambiente e riducendo le proprie dimensioni, in base al fenomeno evolutivo del cosiddetto “nanismo insulare”, osservato in tante isole e specie diverse a livello mondiale.

“Tra i ‘giganti in miniatura’, i più affascinanti e diffusi in ambienti insulari sono indubbiamente gli elefanti, che, nel corso del Quaternario, tra circa 800 mila e 3.500 anni fa, hanno abitato varie isole del Mediterraneo, raggiungendole casualmente a nuoto dal continente, avendone le capacità come gli attuali elefanti”, sottolinea Maria Rita Palombo, paleontologa dell’Università La Sapienza di Roma e dell’istituto IGAG del CNR. “La maggior parte degli elefanti endemici insulari deriva dai cosiddetti ‘elefanti a zanne dritte’ (Palaeoloxodon antiquus), mentre le specie miniaturizzate del genere Mammuthus erano presenti nelle Channel Islands, di fronte alla California (Mammuthus exilis) e nel Mediterraneo solo nell’isola di Creta (Mammuthus creticus) ed in Sardegna (Mammuthus lamarmorai). Il progenitore continentale degli elefanti sardi – precisa l’esperta di faune insulari ed elefanti – era il cosiddetto mammut di steppa (Mammuthus trogontherii), alto circa 3,9 metri al garrese, con un peso di 9 tonnellate, che, presumibilmente, raggiunse la Sardegna durante una fase glaciale, quando l’abbassamento del livello marino determinò una riduzione della distanza tra le coste insulari e dell’Italia continentale”.

In assenza di predatori naturali, gli elefanti sardi condividevano il territorio con altri mammiferi endemici: cervi anch’essi di taglia ridotta, un canide di media taglia, lontre e piccoli mammiferi, roditori, insettivori ed ocotonidi (come l’assai diffuso prolago sardo, un antenato dell’attuale coniglio), che invece avevano taglia maggiore dei loro progenitori continentali, denotando un altro aspetto curioso dell’evoluzionismo insulare. Una fauna destinata a scomparire nelle epoche successive al Pleistocene, per il progressivo cambiamento degli habitat e la comparsa dell’uomo. Ma il fascino indotto dai particolari meccanismi evolutivi della fauna ancestrale delle isole porta i ricercatori a proseguire nell’appassionante ricerca di nuovi indizi e reperti in grado di ricostruire un quadro ad oggi frammentato e fornire ulteriori dettagli sulla presenza di specie, come il mammut nano della Sardegna, ancora poco conosciute dalla comunità scientifica. 

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