“SAS PRIMAS ABBAS”, UN ROMANZO IN LIMBA DEL POETA GIOVANNI FIORI

ph: Giovanni Fiori

di Tonino Oppes

“Ci sono pezzi di verità storica, ma è quasi tutto inventato anche se a volte quello che è inventato coincide con la realtà.” C’è nella premessa dell’autore la chiave di lettura del romanzo Sas primas abbas, di Giovanni Fiori: una storia di grande effetto, interamente scritta in logudorese, la lingua madre del poeta di Ittiri.

Tutto si svolge a Bonifaghe, un nome di fantasia, che può ricondurci a Ittiri oppure in qualunque altro paese dell’Isola perché, a volte, le storie sono tutte uguali. Sono inventati pure i nomi dei protagonisti ma nulla cancella i pezzi di verità, che sono tanti e che si susseguono come pagine di cronaca.

“Se vuoi scrivere una grande storia racconta il tuo paese. E la storia diventerà universale”, è l’operazione tolstojana che fa Fiori soprattutto quando descrive i protagonisti che sembrano tratti da un romanzo russo come il possidente Antiogu Trobeas, il vecchio medico Babbai Pedru Tenaju, la moglie Caterina Prammas, l’avvocato Simone Punzudu, tiu Tilippu Derosas, il maresciallo Mandras, il giovane agricoltore Doddore Coricaldu e soprattutto il fabbro, su mastru e ferru, Pitzendte Solianu, a mio avviso il personaggio più importante del libro.

Ha fatto la guerra, è stato in Francia. Ha visto abbastanza prima di tornare in paese con il desiderio di sconfiggere le ingiustizie. Lui sa che “i pilastri che reggono il mondo sono storti come le zampe del cane, però mentre le zampe del cane non le puoi raddrizzare i pilastri del mondo quelli si. Ma bisogna volerlo e, soprattutto, bisogna muoversi tutti insieme.”

Mastru Pitzente è persona capace nel lavoro che sa usare la parola con la stessa abilità con cui usa il martello quando batte il ferro caldo sull’incudine. Per questo la sua officina, in sa carrela e sa mendula, si trasforma presto in agorà prima che tutti gli incontri si svolganoin una piccola abitazione presa in affitto nella stessa strada: l’arredo è spartano. Bastano qualche sedia e un po’ di libri perché leggere vuol dire conoscere e conoscere vuol dire “guardare la realtà con occhi aperti.”

Si discute bevendo Muristellu convinti che all’origine delle rivolte, a Bonifaghe come in tutto il Mondo, ci siano sempre le diseguaglianze.

Le idee di Pitzente Solianu si diffondono tra i braccianti del paese generando preoccupazione tra i pintzipales che vedono affacciarsi all’orizzonte qualche crepa nel loro dominio sulla comunità.

Sono anni difficili. La seconda guerra mondiale è appena finita lasciando ovunque lutti e macerie. Ovunque le cattive notizie sono sempre più numerose delle buone.

A Bonifaghe, quelle cattive entrano, senza bussare, nelle case basse di Montijeddu dove vive la povera gente. Le buone attraversano esclusivamente i palazzi alti di Sa punta ‘es’elighe.

La casa di Antiogu Trobeas, uno dei prinztipales, ha porta d’ingresso a due ante, pilastri in pietra rossa e architrave in arenaria su cui sono scolpiti un leone e una distesa di grano maturo: sono i simboli della potenza e dell’abbondanza, pronti a intimidire chi quella porta vuole varcare per una richiesta di lavoro.

Qualcosa comincia a scricchiolare anche a Bonifaghe. La sottomissione, determinata dal bisogno del lavoro, si trasforma in protesta quando le idee di Pitzende Solianu cominciano ad attecchire.

Nasce la cooperativa dei braccianti, Avreschida. L’alba di un nuovo giorno si porta appresso una grande mobilitazione che sfocia ben presto con l’occupazione delle terre.

“Il lavoro per molti era la terra e la terra per molti era la vita” dice un protagonista del libro. Ma non c’è solo il desiderio di riappropriarsi delle tancasserradas a muru a s’afferra afferra. C’è la precisa volontà di dare attuazione ai decreti del ministro calabrese Fausto Gullo sulla concessione delle terre incolte. A Bonifaghe, i printzipales fanno di tutto per bloccare l’avanzata di Avreschida ma, ormai, il percorso è avviato.

Un romanzo di sostanza, questo di Fiori. Scritto molto bene, con gran ritmo ed eleganza linguistica. Il poeta cerca le parole come fossero versi, ma la scrittura resta ugualmente fluida dalla prima all’ultima riga.

Sas primas abbas, (le prime acque sono quelle della germinazione) oltre a essere un omaggio alla lingua sarda è anche un romanzo di memorie e di riflessione. Che riporta il lettore agli anni in cui la politica era passione civile, spirito di servizio. E le lotte si facevano per migliorare le condizioni degli ultimi. E tutti potevano fare politica. Come ci insegna la bella storia del fabbro Pitzente  Solianu.

copertina del libro (Soter editrice, pagg 246)

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