BONARCADO, SULLE FALDE DEL MONTIFERRU: IL CONFORTO DEL PASSATO PER VIVERE L’OGGI

Bonarcado: Santuario della Madonna di Bonaccattu

di Elisabeth Ledda

“Bonarcadu, imponente costruidu ti ana in mesu ’e costa a bella vista” (Frantziscu Sale)

Sulle falde del Montiferru, non lontano dal mare, sorge un piccolo paese che, a dispetto delle sue dimensioni, serba una grandezza naturalistica, artistica e storica di pregio. Bonarcado, antico borgo di origine medioevale di circa 1600 abitanti, propone ai suoi visitatori la bellezza di un rigoglioso paesaggio, da gustare in piacevoli escursioni naturalistiche, e il fascino della storia dell’arte, testimoniata dai suoi rinomati edifici romani, un vero elogio della pietra basaltica. I suoli locali, resi fertili dall’origine di natura vulcanica, abbondano di vigne, oliveti e piante da frutto, in particolare ciliegi. Il territorio che circonda Bonarcado offre interessanti percorsi di visita e suggestive passeggiate tra i boschi, un mix salutare tra natura e relax.

Tra i luoghi più suggestivi, sono gli stessi abitanti a citare la gola di Sos Molinos, una famosa cascata di quindici metri che, giunta a valle, alimenta un piccolo lago. Più in basso scorre il Rio Mannu, con accanto un ponte medioevale e i resti di un antico mulino ad acqua. Percorrendo la strada per Santu Lussurgiu si raggiunge la sorgente di Pranos, ottima acqua oligominerale, e l’area di Pabarile, caratterizzata dalla presenza di numerosi alberi da frutto. La vetta più alta del territorio è rappresentata dal monte Armiddosu, circondato da distese di timo da cui prende nome. Il fertile suolo vulcanico, unito all’abbondanza dell’acqua, ha favorito i primi insediamenti umani in questa zona.

La presenza di numerosi siti archeologici distribuiti ovunque nel territorio dimostra che l’area conobbe una presenza umana fin dall’antichità. Qui si ha infatti la più alta concentrazione in Sardegna della tipologia di nuraghe a corridoio. La maggior parte di essi è nell’altopiano confinante col vicino comune di Paulilatino: Ziligherto, Serra Crastula, Scovera, Campu Scudu, Sas Losas e Livandru. Non mancano resti di tombe dei giganti, rimaneggiate per vari scopi in epoca medievale. L’esistenza di un santuario a partire dal VII-VIII secolo, poi, fa pensare alla presenza di una comunità qui già in quel periodo. Sappiamo che Bonarcado ebbe notevole importanza durante il Medioevo, mantenendo un saldo legame col giudicato di Arborea di cui costituiva una delle più importanti cittadine. Il toponimo deriva quasi certamente dal nome dell’antico santuario dedicato alla Madonna di Bonarcado o di Bonacattu, ancora presente nel centro storico del paese. Questo appellativo deriverebbe a sua volta da quello medievale di Bonarcanto o Bonacranto, corruzione del titolo bizantino del santuario che era dedicato alla Vergine Panachrantos (Immacolata).

L’assetto urbanistico del paese mantiene ancora una disposizione tradizionale, con viuzze lastricate e le caratteristiche abitazioni in cui predomina l’uso della pietra locale. Gioielli architettonici di inestimabile valore sono il santuario bizantino e la chiesa romanica dedicati a Santa Maria di Bonarcado: un complesso religioso che si affaccia su una piazzetta del centro storico ed è sede del più antico culto mariano nell’Isola. Il santuario fu costruito in mattoni tra il VII e l’VIII secolo riutilizzando parte di un precedente edificio termale di epoca romana.

La facciata ovest, riccamente decorata, fu realizzata nel XIII secolo, quella nord, in stile neoromanico, risale al 1933. Verso la prima metà del XII secolo, di fronte al santuario fu realizzata l’abbazia camaldolese di Santa Maria impiegando la scura pietra basaltica. Alla prima fase edilizia appartiene la caratteristica facciata con le sue ampie arcate, mentre ad una fase successiva appartengono le altre strutture. Proprio all’interno di questa abbazia fu redatto, intorno al XII-XIII secolo, il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, uno dei più antichi testi in lingua sarda, preziosa fonte di informazioni relative al periodo giudicale. La sua più antica carta ci informa infatti della fondazione, attorno al 1110 per volontà del giudice arborese Costantino I de Lacon-Gunale, di un monastero camaldolese affiliato alla abbazia pisana di San Zeno e riccamente dotato di chiese, terre, uomini e bestiame. Un’altra carta commemora poi la consacrazione della “clesia nuova” di Santa Maria, avvenuta nel 1146-47.

I Camaldolesi, trasferitisi a Bonarcado, ne sfruttarono i terreni dando un forte impulso all’agricoltura, in particolare olivicoltura, viticoltura, allevamento del baco da seta e cerealicoltura. Una tradizione antica che continua a perpetrarsi nel tempo. Per cogliere appieno lo spirito gioioso e ospitale del paese, occorre prendere parte ad alcune delle feste e sagre programmate in diversi momenti dell’anno. A giugno quella famosa delle ciliegie, a settembre la sagra dedicata al torrone, in concomitanza con la festa più sentita dai bonarcadesi, in onore di Nostra Signora di Bonacattu. Sono migliaia le persone che, per questa ricorrenza, accorrono da tutta l’isola. La tradizione vuole che chiunque abbia chiesto una grazia speciale, sciolga il voto trasportando la statua della Madonna in processione lungo un tratto di strada.

Religiosità, prodotti genuini, storia e natura. Bonarcado non lascia nessuno insoddisfatto, conquista con la graziosità e la cura delle sue strade, affascina con un passato ricco e in parte ancora misterioso, delizia con i sapori squisiti dei suoi orti e frutteti, unitamente alla pregiata bontà del bue rosso, gustosa eccellenza di questo territorio incontaminato.

Nel 1110 circa il giudice d’Arborea Costantino de Lacon, insieme a sua moglie Anna de Zori, fornisce di numerosi beni immobiliari la chiesa di S. Maria di Bonarcado, la affilia all’abbazia di San Zenone di Pisa e la dona all’Ordine benedettino di Camaldoli, secondo la scheda 131 del condaghe di S. Maria di Bonarcado. Questo importante documento, un registro di carattere puramente amministrativo riguardante il patrimonio dell’abbazia, ci permette di venire a conoscenza di alcuni degli aspetti culturali e sociali del periodo giudicale che va dai primi del XII secolo fino alla metà del XIII. Notevole è l’importanza che i condaghi, in generale, rivestono dal punto di vista filologico e storico-giuridico. Non solo uno dei più antichi documenti in lingua sarda, ma anche testimonianza di grande interesse per quanto riguarda le istituzioni politiche, economiche e sociali nel giudicato d’Arborea.  La parola condaghe e le sue varianti derivano dal vocabolo bizantino kontakion, rotolo. Nel Medioevo tale termine assunse il significato di “documento (ufficiale)”, o anche “tomo”. In sardo il vocabolo si usò per indicare i documenti che attestavano atti di compravendita, di donazione e simili, e in particolare i registri che raccoglievano tali atti.

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