COSI’ LA RIVISTA “TEOREMA” DI CRITICA CINEMATOGRAFICA SUL “VISIONI SARDE” DELLA F.A.S.I.: A BOLOGNA IL BAMBINO, DOMENICA, A CASA MIA


di Antonello Zanda

Il cortometraggio della cagliaritana Silvia Perra, Il bambino, si è aggiudicato il primo premio della 4ª edizione di Visioni Sarde, concorso che costituisce una delle sezioni di Visioni italiane, progetto della Cineteca di Bologna, giunto nel 2017 alla sua 23ª edizione con la direzione di Anna Di Martino. Al concorso della sezione sarda, promossa dalla FASI (la Federazione delle 70 associazioni sarde presenti in Italia), possono partecipare corti, mediometraggi e documentari realizzati da autori isolani o che abbiano come location la Sardegna, per un premio unico di 1.000€ assegnato al miglior film. In giuria per attribuire il premio FASI c’erano quest’anno Paolo Pulina (presidente), Marcello Fois , Alberto Masala, Bruno Mossa, Antonello Rubattu, Sergio Naitza, Antonello Zanda, Antonio G. Pirisi, Franca Farina, Giacomo Ganzu e Mario Ledda, con il coordinamento di Bruno Culeddu. L’obiettivo dichiarato della FASI è quello di “fare emergere e sostenere i talenti sardi, nonché valorizzare cortometraggi e mediometraggi ambientati in Sardegna”. Per la fase finale hanno superato la selezione 9 cortometraggi: A casa mia (Italia, 2016, 19’) di Mario Piredda, Il bambino (Italia, 2015, 15’) di Silvia Perra, Border (Italia, 2016, 1’) di Paolo Zucca, Del prossimo orizzonte (Italia, 2015, 14’) di Tomaso Mannoni, Domenica (Italia, 2016, 18’) di Bonifacio Angius, A girl like you (Italia, 2016, 15’) di Massimo Loi, Gianluca Mangiasciutti, Nella mia città (Italia, 2016, 5’) di Andrea Marras, Noi siamo il male (Italia, 2016, 16’) di Gianni Cesaraccio, Waiting For (Italia, 2016, 15’) di Matteo Pianezzi.

Silvia Perra, classe 1988, si è laureata in Comunicazione presso l’Università di Cagliari. Poi ha studiato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma diplomandosi in regia con il saggio La finestra (2016), ma nel 2012 aveva già realizzato Jovid, con cui ha vinto diversi premi, tra i quali il Premio Giovani Fasi in una precedente edizione di Visioni Sarde. Questa la motivazione della giuria per il corto che ha vinto in questa edizione 2017: “La trama che viene proposta allo sguardo contemporaneo risiede in uno scrigno difficilmente comprensibile se non attraverso la chiave di una naturalità distante e formalmente inverosimile per la morale occidentale. Ma il film è sostenuto dal respiro di una regia, che compie la felice scelta di distanziarsi dal giudizio, per condurre con sapiente abilità lo sguardo verso una riflessione sull’amore”. Il bambino è un film costruito sull’assenza, sul silenzio, sugli sguardi: è un progetto familiare, ma è anche il principio ordinatore del racconto e della forma cinematografica. L’occhio femminile interno della regista scruta il tessuto psicologico di una cultura  lontana, ma vivente dentro il nostro crogiuolo di tradizioni figurative, sociali, giuridiche. Il bambino è l’attesa e ciò che cambia intorno a questa attesa. Il corto Jovid, prodotto con il Celcam di Cagliari, aveva già messo in evidenza la sensibilità dell’autrice nel sondare il mondo interculturale e in particolare i nodi dell’immigrazione in Europa, in Italia, in Sardegna. Jovid è un ragazzo afghano che vive e lavora a Cagliari e cerca di tenere vivo un legame con la famiglia che sta attraversando una situazione difficile nel suo paese. Silvia Perra cura gli interni del set come guarda all’interno dei suoi personaggi, cerca di vederne i momenti essenziali e a questi affida l’emergenza espressiva sullo schermo. Il bambino non c’è, ma è appunto il desiderio che agisce con una sua presenza, perché riconfigura la trama familiare di un uomo che affida a una seconda moglie, più giovane, il compito di dargli un figlio maschio. Con la necessaria distanza etica la nostra giovane regista mostra gli slittamenti sentimentali che questo determina nella prima moglie. Il silenzio e la luce, ma soprattutto i gesti dicono quello che le parole non sanno dire. Hassan e Sara si sposano secondo la legge islamica, ma vivono in Italia, e la regista apre subito la finestra che disegna il contesto. La prima moglie osserva da lontano la cerimonia e non manifesta disagio: è naturale, dirà, anche quando confesserà a Sara che per la notte non deve preoccuparsi dei rumori. Ma ci tiene e sottolineare come, comunque, lei sia la prima moglie. In una delle scene madri Sara si lascia prima truccare dalla prima moglie, ma quando si accorge del meccanismo che si sta generando, riprende subito in mano la matita del trucco per continuare da sé. Per costruire il contesto la regista gioca sugli equilibri delle inquadrature: tutto è normale e la convenzione religiosa crea una sorta di naturale condizione di vita quotidiana che, però, non cancella i moti dell’animo. In questa luce quotidiana, governata dalla voglia di integrazione interculturale della famiglia, la regia affida alla figlia di Hassan, Omneya, il delicato ruolo di disinnescare una cena fatta di cous cous e sguardi, di silenzi e pensieri latenti. Tutti i bambini dicono le cose senza troppe mediazioni e mettono a nudo tutto ciò che gli adulti danno per scontato. Una regia controllata pesa i volumi e la luce per isolare i grumi di tensione, fino alla magistrale scena finale rivelante quanto la sovrastruttura religiosa non possa cancellare i desideri dall’animo umano.

Il Premio speciale FASI è stato assegnato al film di Mario Piredda, A casa mia  e, così, si è aggiunto al prestigioso David di Donatello appena assegnatogli per il miglior cortometraggio italiano. La motivazione della giuria: “Si apprezza la narrazione del contrasto tra due mondi paralleli che procedono senza possibilità di incontrarsi: la fragilità di una vita ricca di piccoli gesti quotidiani, echi di silenzi, affetti e memorie, contrapposta all’invadenza imperterrita, spietata e volgare, della contemporaneità. È la Sardegna di oggi in un’attualità problematica, umiliata, sterilizzata e falsificata nei dépliants turistici. Un grande talento pittorico della fotografia sottolinea le scelte di una regia asciutta ed essenziale, senza cedimenti a scontate formalità. Notevole la sceneggiatura e la mirabile capacità interpretativa dei due protagonisti. Il film è una poetica affermazione dell’istinto desiderante”. Il film quindi conferma un talento,  peraltro, già manifestatosi in precedenti opere. Il regista, pur vivendo a Bologna, continua a mantenere vivo un immaginario i cui occhi interni abitano nell’isola. In un certo senso lo sguardo di Piredda racconta una distanza, sottolinea lo sradicamento che il soggetto avverte dentro di sé, rimanda all’intensa relazione, costruita anche su piccole cose, che ognuno di noi mantiene con le proprie origini. Il regista, originario di Badesi, mette in campo una intensità figurativa e pittorica che affonda con forme anche simboliche dentro gli strati narrativi. Però, c’è anche la consapevolezza di una contemporaneità che preme sull’immobile temporalità della nostra isola. Sembra di avvertire sulle (nelle) immagini una presenza metafisica dominante e rimanda a un destino segnato per noi imperscrutabile, a una sorta di ineluttabile disegno di cui noi siamo attori rassegnati. Sembra, dicevo. Perché, in fondo, il regista sardo mostra la capacità di ribaltare il gioco e, affidandosi al sogno e all’immaginazione, è capace di inventare un progetto da realizzare, si rimette in discussione. La Sardegna sembra immobile… eppur si muove. Grazie ad una meravigliosa interpretazione, l’anziana protagonista – una icastica Giusi Merli – pare riscattarsi dall’abbandono della propria casa per cause di forza maggiore. Capita qualcosa all’improvviso, inatteso, che non sai come affrontare, che ti costringe a cambiare le tue coordinate, e, dopo un momento di sbandamento o di immediata resistenza, riesci a vedere l’orizzonte che cambia e in cui riesci a dare nuovo senso al presente. Basta poco per viaggiare: immaginarlo. E, in un certo modo, il senso del fare cinema di Piredda è qui. Anche per questo c’è qualcosa di intimamente biografico in questo film… E non parlo della storia, ma del come la si racconta.

La giuria ha anche riconosciuto una Menzione d’onore per Domenica di Bonifacio Angius, con questa motivazione: ”Il corto consegna, direttamente e senza moralismi, uno sguardo che punta sul percorso chiuso della marginalità inguaribile di periferia. È il conflitto del sogno di un’irraggiungibile “normalità” costretta all’inestricabile legame con la dura realtà. Una narrazione intensa e l’interpretazione convincente dei due protagonisti ci dicono che, anche nella precarietà, anche di fronte alla cieca assenza di prospettive, si può ancora vivere un’illusione”. I tre premi scalano giudizi solo perché è necessario farlo, come da copione imposto dal regolamento. In realtà c’è una paritaria forza nei tre film. Il film di Angius, autore di pochi film, ma così intensi che sembrano tanti, è dominato da una tale contemporaneità da uscire dallo schermo per investire le fragilità etiche dello spettatore. La frizione tra il titolo e la giornata del nostro protagonista ci costringe a calarci su un livello di spiazzamento che tiene incollati al congegno narrativo, cercando uno spiraglio, una soluzione catartica, la via d’uscita dentro un vicolo cieco. È un talento che va riconosciuto allo sceneggiatore, indipendentemente dal soggetto, ovvero lo stesso Angius. Le figure afflitte da un’instabilità esistenziale confliggono con interpretazioni solide e concrete, che dimostrano la grande capacità del regista di applicare un materialismo interpretativo forte e acido, ma istintivo, immediato. Quel senso di morte respirato dal  protagonista fa a pugni con la voglia di vivere che lo tiene in piedi, ma regge la narrazione, anima le battute, le fa sentire vere, le proietta su un orizzonte di senso che spezza la trama dell’ineluttabile. Bonifacio ama la provincia, la periferia, la marginalità, ma, in un certo senso, portare queste sullo schermo le rimette al centro. Rimetterle al centro non è uno sfizio: è il meccanismo che induce lo spettatore-soggetto a rimettersi in discussione nella sua centralità. Quindi non è soltanto ai margini della società civile pacificata, ma è anche ai margini del soggetto che si trovano le storie degne di essere raccontate, perché vi si trovano emozioni sopravviventi all’incandescenza del vuoto, al terreno che viene meno sotto i tuoi piedi, alla sensazione di aver perso tutto. Angius mostra come basti guardare per vincere la cecità. E tutto questo non servirebbe, se non fosse raccontato da un film che restituisce la luce giusta, si avvale di interpretazioni ottime, è nitido nel montaggio e gode di una buona scrittura.

La qualità dei film che hanno partecipato alla 4ª edizione di Visioni Sarde era complessivamente ottima, per cui io credo che sia importante sottolineare che gli altri 6 lavori non premiati meritano comunque questa precisazione. Personalmente, tra i sei non premiati, vorrei segnalare in particolare, altri due lavori interessanti, Del prossimo orizzonte di Tomaso Mannoni e A girl like you di Massimo Loi e Gianluca Mangiasciutti, su cui spero di ritornare in seguito per un approfondimento.

Silvia Perra, al centro, tra giurati e organizzatori.

IL BAMBINO Italia, 2015 – Regia: Silvia Perra – Soggetto e Sceneggiatura: Silvia Perra – Montaggio: Julien Panzarasa – Costumi: Ludovica Bargellini, Nika Campisi – Scenografia: Silvia Di Francesco – Suono: Bernard Bursill-Hall, Daniele De Angelis (II), Roberto De Cruto, Simone Panetta – Aiuto regista: Edoardo Ferraro – Operatore: Martina Diana – Interpreti: Sara El Debuch, Hoda Said Ali Osman, Ahmed Hafiene, Omneya Ahmed Eid, Anna Grazia Soccorsi – Produzione: CSC Production – Centro Sperimentale di Cinematografia

A CASA MIA Italia, 2016 – Regia: Mario Piredda – Soggetto: Mario Piredda – Sceneggiatura: Mario Piredda, Giovanni Galavotti – Musiche: Gabriele Oggiano – Montaggio: Corrado Iuvara – Costumi: Stefania Grilli – Scenografia: Pietro Rais, Francesca Melis – Fotografia: Fabrizio La Palombara – Suono: Piergiuseppe Fancellu (Presa Diretta), Giovanni Frezza (Sound Designer) – Interpreti: Giusi Merli, Giulio Pau, Monica Corimbi, Federico Saba, Edoardo Atzori – Produttore: Fabrizio Tito Cabitza, Ivan Olgiati – Produttore Esecutivo: Fabrizio Tito Cabitza – Produzione: Elenfant Film, Articolture

DOMENICA Italia, 2016 – Regia: Bonifacio Angius – Soggetto, Fotografia: Bonifacio Angius – Sceneggiatura: Bonifacio Angius, Marina Satta – Interpreti: Alessandro Gazale, Francesca Niedda – Produzione: Bonifacio Angius, ISRE – Istituto Superiore Etnografico della Sardegna

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