GIORNATA OMAGGIO A VITTORIO DE SETA A FIRENZE CON L’A.C.S.I.T. E LA PROIEZIONE DEL FILM “BANDITI A ORGOSOLO”

storico fermo immagine del film "Banditi a Orgosolo" di Vittorio De Seta


di Angelino Mereu

Nell’ambito del festival Il Cinema Ritrovato alla 50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze, il Quaderno del Cinemareale, mercoledì 23 novembre, ha presentato un evento curato da Pinangelo Marino, una  Giornata omaggio a Vittorio De Seta, in collaborazione con Festival dei Popoli e con il patrocinio dell’ACSIT, l’Associazione Culturale dei Sardi in Toscana.

L’evento, presso il Cinema-Teatro La Compagnia, caratterizzato dalla proiezione dei capolavori di Vittorio De Seta (1923-2011) restaurati dalla Cineteca di Bologna, ha permesso, nel pomeriggio, di poter rivedere l’intera produzione dei documentari realizzati dal regista, tra cui “Pastori di Orgosolo” (1958) e “Un giorno in Barbagia” (1958).

La serata, invece, è stata inaugurata con la proiezione del film d’animazione “Vittorio De Seta | Maestro del cinema” (3 min.) di Simone Massi, che già era stato presentato, in anteprima mondiale, alla 73a Mostra del Cinema di Venezia – rassegna MigrArti.
Al film di animazione è seguita la proiezione del film “Banditi a Orgosolo” (1961) nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna.

Dalla visione del film appare chiaro come Vittorio De Seta, il regista del film, si sia formato ed abbia iniziato la sua carriera realizzando una serie di documentari, prima di approdare al lungometraggio. in “Banditi a Orgosolo, il suo primo film, infatti, traspare proprio questa voglia di “documentare”, di raccontare una terra e la sua gente facendola parlare in prima persona.

Una caratteristica, questa, che De Seta non abbandonerà mai e che, ad esempio, riutilizzò anche nello sceneggiato TV sul Maestro di Pietralata.

Banditi a Orgosolo è il suo primo film, e del film ha la trama e la storia che, però, diventano secondarie rispetto al messaggio “reale”, non recitato, implicito nel racconto e, soprattutto, nella persona dei suoi interpreti..

E proprio questa si rivelò essere la forza dirompente del film: il fatto che, per la prima volta, una storia sarda veniva rappresentata in Sardegna e interpretata da sardi veri: Michele Cossu, Peppeddu Cuccu, Vittorina Pisano, questi i nomi degli interpreti, orgolesi veri che si sono prestati a interpretare se stessi.

Se si prova a immaginare a comela Sardegna, fino ad allora (ma anche dopo), sia stata rappresentata al cinema, ritroviamo una lunga sequela di luoghi comuni, poco credibili e a volte irritanti.

Mi viene da ricordare l’ Amedeo Nazzari di “Proibito” del 1954, sardo come interprete ma poco credibile come sardo interpretato, gli improponibili “banditi” Don Backy e Terence Hill diretti da Lizzani in “Barbagia”, un irresistibile comico e poco sardo Tognazzi che nel film “Una questione d’onore” di Zampa uccide la moglie che l’ha disonorato (un delitto d’onore ambientato a Orosei, in Baronia, dove vive la gente più docile della Sardegna, va giusto bene per un film comico), per finire con una assurda coppia quali Enzo Jannacci e Monica Vitti, sardi emigrati a Torino che Monicelli, in un episodio del film “Le coppie”, presenta in un quadro dove i luoghi comuni sfiorano il ridicolo.

Banditi a Orgosolo” traccia una netta linea di demarcazione. Diventa un fatto culturale che denuncia con le immagini quello che Orgosolo e la Barbagia, in quegli anni, vivono tutti i giorni. Con il film, De Seta riprende e continua il discorso avviato dal giornalista Franco Cagnetta nel 1954 sulla rivista Nuovi Argomenti diretta da Alberto Moravia.

Cagnetta pubblicò un’inchiesta “antropologica” sul banditismo e su Orgosolo, denunciando una serie di soprusi e ritardi da parte dello Stato e dell’Autorità costituita. L’allora Ministro dell’Interno Scelba denunciò all’autorità giudiziaria sia Cagnetta che i direttori della rivista, per “reato di vilipendio delle forze armate” e “pubblicazione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico” e chiese – ottenendolo – il sequestro della rivista.

Cagnetta, per questa inchiesta subì un processo che, addirittura, lo portò a stabilirsi per diversi anni in Francia da dove poté rientrare solo nei primi anni 70.

Il film di De Seta, dunque, riprende il discorso di Cagnetta e racconta una storia. Ma la storia è solo un pretesto: è una storia troppo vera per essere percepita come fiction.

Il film non è un articolo su una rivista letteraria per addetti ai lavori. Il film è “sentito” dai sardi che l’hanno condiviso e vissuto in prima persona. Non è un prodotto imposto e diventa quasi un manifesto, un atto di denuncia su fatti e soprusi che il mondo pastorale sardo è costretto a subire da “sa Justissia”,la Giustizia, come viene chiamatala Legge dello Stato nell’isola.

E qui De Seta coglie pienamente lo stato d’animo di un mondo arcaico ma che cerca disperatamente un “contatto” che non sia solo repressione.

Con le sue immagini, De Seta riesce a trasmettere un messaggio universale, per lo meno per quanto riguarda l’universo dei sardi. Riesce a tirare un sasso in un vespaio sollevando critiche e consensi; costringendo comunque tutti a discutere di un problema vero: la condizione dei pastori e della Barbagia.

Basta pensare che quelli sono gli anni in cui personaggi come Kennedy o come Papa Giovanni XXIII lanciavano grandi messaggi di cambiamento. Anni in cui Il mondo discuteva di missili a Cuba o di uomini nello spazio, di progresso e di benessere.

in Italia si parlava di boom economico, di sviluppo, di ricchezza, e tanti sardi il boom economico, in quegli anni, se lo andavano a cercare altrove, emigrando e spopolando l’isola di tanta forza lavoro come neanchela Prima Guerramondiale era riuscita a fare.

Sono gli anni in cui, con una scellerata equazione che vedeva pastore uguale bandito, si dava vita a tutta una serie di norme speciali di polizia che ebbero l’unico effetto di ritardare ancora lo sviluppo dell’isola. Anni in cui lo stesso Piano di Rinascita della Sardegna, la cui discussione iniziata nel 49 e conclusa solo nel 62 (grazie anche alle pressioni avviate dal film di De Seta), contribuì non poco a dare un colpo di grazia alla pastorizia, andando a prediligere un improbabile sviluppo industriale.

Banditi a Orgosolo” è l’unica denuncia reale fatta in quegli anni, delle condizioni di vita “primitive” che esistevano nei paesi dell’interno. Anni in cui da noi, in Sardegna, c’erano pastori che rientravano a casa due volte l’anno, costretti a una vita grama condizionata dalle leggi imposte dai proprietari terrieri e dai grossisti del latte.

In questo clima il film inizia a girare nelle sale e nelle piazze. Personalmente ricordo una scena di quando ero bambino, con proiezione del film in piazza Santa Gruche a Orani, con tanto di sedie portate da casa e dibattito politico (se non vado errato è stata la prima volta che ho visto e sentito Emilio Lussu).

Il film è la scintilla che da il via ad una serie di iniziative organizzative che portano alla creazione di un “movimento” legato alle rivendicazioni dei pastori. Non mancarono le interrogazioni parlamentari e la onnipresente commissione d’inchiesta sulla situazione economica della Sardegna che, periodicamente, viaggiava proponendo soluzioni per l’isola.

Fu quel film, comunque, che diede il via alla nascita di quel “sindacalismo agro-pastorale” che interessò per oltre un decennio il centro della Sardegna. Un sindacalismo che riuscì a organizzare vere e proprie battaglie per il prezzo del latte o per l’uso dei pascoli. Memorabile, in tal senso, e la lotta condotta con l’occupazione delle terre, per far si che i pascoli di Pratobello, in territorio di Orgosolo, non divenissero sede di una base militare.

Una considerazione, infine, su De Seta.

Lui, siciliano, è riuscito a fare il più sardo dei film. E per farlo si è dovuto “sardizzare”. Ha vissuto a lungo nell’isola, a contatto con l’ambiente e col mondo che intendeva raccontare. Ha “masticato” Sardegna per diversi mesi per entrare nello spirito e nel mondo che voleva riprendere. C’è riuscito perfettamente “documentando” uno spaccato di mondo e lacerando un velo che copriva una realtà ai più sconosciuta.

Un documento, quindi, quello di De Seta, da guardare con attenzione perché, al di la della fruibilità cinematografica, rappresenta un pezzo di storia e una chiara testimonianza che ha contribuito non poco a far conoscere il “problema” Sardegna, nell’isola e fuori dall’isola.

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