LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE: A GESUINO NEMUS IL “PREMIO CAMPIELLO OPERA PRIMA 2016”


La giuria del Premio Campiello Opera Prima ha annunciato la vittoria del romanzo  La Teologia del cinghiale, l’esordio di Gesuino Némus. Il riconoscimento, secondo regolamento, viene attribuito dalla Giuria dei Letterati e annunciato nel corso della Riunione di Selezione. Nel 2004 la Fondazione Il Campiello ha istituito il riconoscimento Premio Campiello Opera Prima che viene assegnato al romanzo di un autore al suo esordio letterario.  Il vincitore viene premiato nel corso della cerimonia di premiazione del Premio Campiello letteratura che si terrà a Venezia il 10 settembre.

La teologia del cinghiale – Gesuino Némus

A Telévras, paesino della Sardegna, il 22 luglio del 1969, si potevano incontrare i seguenti personaggi:

Don Cossu, un prete anomalo, amante del cannonau e della caccia al cinghiale. Chiamato un giorno per un esorcismo e avendo dimenticato di riempire l’aspersorio con l’acqua santa, riuscì lo stesso nel suo intento, aspergendo il povero malcapitato in preda a convulsioni con del fil’ e ferru trovato su una mensola e finendo poi il contenuto della bottiglia di acquavite solo perché i diavolazzi non entrassero anche dentro di lui.

Il maresciallo De Stefani, che viene dal continente e in anni di servizio nel paese di Telévras non è mai riuscito a prendere né un latitante né un cinghiale. Ai suoi ordini c’è  il carabiniere semplice Piras Jacheddu, che non disdegna di tanto in tanto di alzare il gomito insieme al parroco. Questi due sono gli inquirenti che devono risolvere il caso dell’omicidio di Bachisio Trudìnu, di cui vi è un testimone, ma non un indiziato, né l’arma del delitto, né il movente e… nemmeno il corpo della vittima.

Il dodicenne Matteo Trudìnu, figlio del morto ammazzato, nell’ordine: organista, capochierichetto, lettore delle epistole, un vero e proprio professionista dei sacramenti, sotto il controllo di Don Cossu. Un bambino di un’intelligenza viva e precoce. Dotato dell’orecchio assoluto e a conoscenza dei nomi di tutti i 333 diavoli presenti sulla terra: da Amicol, demone dell’insonia a Vantus, portatore della malaria.

Gesuino Némus, amico di Matteo, è un orfano, come indica il suo pseudocognome, dove Némus sta per “nessuno”, ovvero figlio di NN (nomen nescio). Una sorta di Ulisse contemporaneo che racconta la sua personale odissea, in una lingua per niente impersonale, ma quasi schizofrenica per come passa da un registro all’altro.

Gesuino Némus è il braccio destro di Matteo e ne racconta le gesta. La sua è una prosopopea che si arricchisce di un fritto misto di citazioni auliche e dialettismi. La sapienza di ciò che sta in alto decade con uno schianto e ciò che ne rimane sono frantumi di una lingua che Gesuino ricompone a favore del lettore. Affastella sapere e nomenclatura, ma facendoli passare attraverso la lente deformante di un minus habens.

Gesuino sovente perde le briglie del discorso e si lancia al galoppo lungo interminabili periodi che sono praterie incontaminate, nelle quali la punteggiatura si perde per strada fuoriuscendo dalle bisacce, trasformando la narrazione in lunghe cavalcate selvagge, che risultano essere incongrui monologhi interiori che impressionano la pagina come fotografie mentali.

Impressionando anche il lettore, per tale sfoggio letterario.

Forse per questo romanzo, più che per qualsiasi altro edito recentemente, è lecito associare una citazione shakespeariana, in quanto tanto simile alla vita che «non è altro che un racconto narrato da un idiota, pieno di urlo e di furore, che non significa nulla» (Macbeth, Atto V, Scena V, vv. 23-28).

Altri innumerevoli personaggi costellano la volta celeste di questo romanzo. Tutto il paese recita infatti in questa commedia, nel tentativo di risolvere l’enigma dell’omicidio di Bachisio Trudìnu, anche se spesso il loro intervento risulta più un depistaggio e un piacevole diversivo all’interno della trama di questo rutilante e pirotecnico romanzo.

E infine c’è il cinghiale, in odore di eresia. Quello del titolo. Vagamente blasfemo. Perché il cinghiale è una preghiera. Il cinghiale è l’unica dimostrazione vivente dell’esistenza di Dio. Don Cossu ha scritto una vera e propria Teologia del cinghiale, su un quaderno dalla copertina nera, bordata di rosso e ne legge alcuni passi, quando dopo la caccia è ora di “sacrificare” la preda. L’incipit della Teologia recita più o meno così:

«Il cinghiale è una preghiera. Coi cani è un rosario. Senza cani un Te Deum. Senza cani, di notte e di frodo, è l’Osanna»

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Un commento

  1. giuseppe de martis

    un abbraccio a Locci e tutti voi con nostalgia e dolore per la nostra sofferente cara Sardegna, a proposito non sopporto più di vedere quello sguardo stupido dei nostri nuovi 4MORI lo considero un ulteriore insulto alla nostra storia

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