I GIGANTI NEL SUPERMERCATO E LA VERGOGNA DEI SARDI: LA “GUERRA” DEGLI ARCHEOLOGI ALLA STORIA DELL’ISOLA

foto di Anna Ardu


di Fiorenzo Caterini

Era come una fiumana, una fiumana di folla presa da una strana frenesia. Dagli atri e dai lunghi corridoi del solenne Louvre, la folla seguiva uno strano richiamo, un canto di sirena muto, e si dirigeva tutta nello stesso punto. Assorto nelle riflessioni, di fronte ad una statua romana che ritraeva con impressionante realismo le fattezze di chissà quale personaggio di duemila anni fa, mi ritrovai pure io a seguire quella corrente. Giunti nella sala, la folla si accalcava di fronte ad un piccolo e insignificante quadro.

Era la Gioconda.

Osservai quella moltitudine: forse appena l’uno per cento poteva avere una reale cognizione del valore del capolavoro artistico che si trovava di fronte. Quella gente era là, molto semplicemente, come davanti a una star, una diva, una roba vista nei libri e nella televisione, come si ammira la sfilata degli attori a Cannes.

Gente che pagava il biglietto, però, e con quei soldi permetteva la manutenzione e il restauro dei capolavori del più visitato museo del mondo, una delle più riuscite industrie culturali del pianeta, in grado di dare ricchezza e lavoro a migliaia di persone.

Girovagando per Parigi, ti rendi conto di quanto la Gioconda sia parte dell’immaginario collettivo del genere umano. La sua immagine è sfruttata in tutte le maniere, i gadget che la riguardano sono per numero inferiori solo alla Torre Eiffel, il suo merchandising è impressionante. Le parodie con i suoi ritratti impazzano: la gioconda con i baffi, con un cappello buffo, con il culo de fora.

Potenza che può avere un quadro del Rinascimento italiano e di quel genio universale che è stato il grande Leonardo.

E tuttavia nessuno si sogna di dire che lo sfruttamento dell’immagine del quadro riduca la portata culturale dell’opera. E’ chiaro che la vulgata popolare è cosa ben diversa dalla critica artistica. Questo vale per la Gioconda e per tutti gli altri monumenti.

Ve lo immaginate Hollande che si arrabbia per l’uso dell’effige della Gioconda o per i portachiavi con la Torre Eiffel?

In tutto il mondo l’industria culturale si sostiene grazie alla popolarità e al cosiddetto merchandising, cioè lo sfruttamento dell’immagine dell’opera. Così a Roma il Colosseo e il “Cupolone” li ritrovi dappertutto, a Londra il Big Ben, a New York la Statua della Libertà, a Rio de Janeiro quella del Redentore, a Il Cairo la Sfinge e le Piramidi e ad Atene il Partenone. Gadget, souvenir, immaginette, targhe, quadretti, portachiavi, magliette, le immagini dei monumenti e delle opere che caratterizzano il luogo tracimano dai bazar e dai mercati.

Ovviamente, in nessuno paese del mondo, l’establishment sarebbe così stupido da dichiarare guerra a questo gigantesco movimento d’affari, anche quando raggiungono alti livelli di volgarità o di “trash”, spazzatura, per il semplice motivo che la popolarità di un’opera ne garantisce la sua sopravvivenza e i costi del suo mantenimento, oltre a dare lavoro a tante persone.

Spesso all’opera o al monumento si aggiunge una vera e propria mitologia: si pensi alla letteratura o alla filmografia fantasiosa sugli antichi egizi, con tanto di alieni e di mummie che si risvegliano.

Ma nessuno in Egitto, né gli archeologi, e neppure i governanti, si sognano di dire che tutto ciò svilisce la portata culturale della civiltà egizia.

Non sono mica scemi.

In nessun paese della terra si sognerebbero di fare una campagna denigratoria contro le fantasie archeologiche che nascono, inevitabilmente, di fronte ad un rilevante monumento che va oltre l’interesse degli addetti ai lavori. In nessun paese della terra si sognerebbero mai di fare una campagna per bloccare il merchandising che inevitabilmente nasce attorno all’effige di un’opera che, per la sua importanza, tracima dal mero interesse degli addetti ai lavori.

In nessun paese del mondo sarebbero così scemi.

In nessun paese del mondo.

Eccetto uno.

La Sardegna.

In Sardegna da alcuni anni è in corso una feroce guerra, condotta in particolare da archeologi “ufficiali”, contro tutto ciò che riguarda la storia della Sardegna che provenga da ambienti alternativi, dai cosiddetti outsiders. Non solo dunque le vulgate fantasiose, quelle più ridicole, ma anche le teorie, spesso discutibili ma talvolta rispettabili, che non sono state ufficialmente battezzate dall’accademia. Tutto nello stesso calderone, con un po’ di maliziosa confusione.

Una guerra, forse, condotta al fine di detenere l’esclusiva degli interessi che ruotano al mondo dell’archeologia.

Oggi a questa feroce guerra, che non risparmia denunce e calunnie personali, si affianca anche la politica, con le dichiarazioni dell’Assessore alla Cultura della Regione Sarda che si scaglia contro l’uso delle immagini dei Giganti di Monte Prama che ne svilirebbero il loro valore scientifico.

Come se un valore scientifico di un opera dipendesse da un ciondolo con la testa del gigante o da un poster davanti al supermercato.

Intanto molti gadget sui giganti sono prodotti fuori dalla Sardegna.

Ci sarebbe da riflettere su questa caratteristica tutta sarda. Verrebbe da pensare che siamo talmente benestanti, senza disoccupati, per poterci permettere il lusso di fare cultura con il massimo della sobrietà.

Ma sappiamo che così non è. E allora?

Credo che occorra riflettere molto sul cattivo rapporto che i sardi hanno con la loro storia e con quella vergogna di sé sulla quale indagava un antropologo come Placido Cherchi.

Un discorso molto lungo sulla quale non mancherò di dare il mio contributo nel libro che sto scrivendo.

Per il momento direi: godiamoci questi capolavori che riemergono dal passato e che la terra ci ha restituito dopo 3000 anni. E proviamo a produrre qualche posto di lavoro, che ci sono tutte le potenzialità. Rilancio, ancora una volta, la mia proposta sul parco archeologico di Mont’e Prama.

Lo so che queste cialtronerie non si adattano al carattere dei sardi, tuttavia le alternative, sappiatelo, sono quelle che altri centri di potere vorrebbero imporci, l’industria pesante, la piattaforma energetica per l’esportazione dell’energia più o meno rinnovabile, le trivelle per il metano proprio vicino ai Giganti, nel Sinis.

Che verrebbe da pensare che è proprio la storia e la cultura che danno fastidio, e che si pongono come alternativa a ben altri affari.

E se proprio vogliamo contribuire allo studio e al valore scientifico dei Giganti di Mont’e Prama, domandiamoci, piuttosto, come mai la scienza ufficiale, dopo tutto questo tempo, ancora definisce “pugilatore” una statua con uno scudo in testa.

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Un commento

  1. E direi anche di più Fiorenzo, che l’operazione dell’abbinamento Giganti-Dinamo, sdegnata da molti, è stata un’operazione geniale e di grande successo, e non solo perché poi lo scudetto lo abbiamo vinto veramente.

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