CARLO BOLDETTI, INGEGNERE CAGLIARITANO, DAL 2001 VIVE IN INGHILTERRA: E’ IL PAPA’ DEL TELAIO DELLA McLAREN 2015

Carlo Boldetti


di Giovanni Runchina *

Lead structural engineer che, tradotto, significa grossomodo capo ingegnere strutturista, Carlo Boldetti è il  “papà” del telaio della McLaren 2015. Laurea in ingegneria meccanica all’università di Cagliari, PhD a Sheffield, ha un ruolo di primissimo piano nelle strategie di sviluppo delle vetture: «Progetto parti facendo in modo che non si rompano, che siano rigide, leggere e che soddisfino tutti i test FIA. Alla McLaren sono il diretto responsabile del telaio e dei pezzi che stanno dal motore in avanti». Arrivato in Inghilterra nel 2001 con l’Erasmus «volevo imparare l’inglese, poi il Paese mi piacque e rimasi per il dottorato», Carlo è entrato nel mondo delle corse (quasi) per caso. «Un anno prima della fine del dottorato – racconta – cominciai a contattare varie aziende. La Formula 1 mi ha sempre appassionato, quindi mandai il mio profilo all’allora Renault F1 che – in quegli anni – vinceva tutto. La mia fortuna fu che i programmi e i metodi d’analisi che avevo usato sino a quel momento erano gli stessi che la casa automobilistica voleva implementare. Fu una strada che tentai al pari di altre, tant’è vero che quando feci il colloquio, circa un anno dopo l’invio del curriculum, avevo un’altra occupazione». Da allora le sue giornate sono un susseguirsi più o meno frenetico di studi, calcoli, riunioni e verifiche. «I carichi variano in relazione al periodo. Da agosto a gennaio, quando si pensa e si costruisce la macchina, si fanno dalle 12 alle 14 ore di lavoro giornaliere. Nella restante parte dell’anno posso dedicarmi anche alla ricerca e alle collaborazioni con le università (tesi, dottorati) o a provare nuovi strumenti di progettazione». La corsa continua è quella contro il tempo, complicata spesso da imprevisti. «Le strutture devono essere molto leggere ma in grado di sopportare carichi elevatissimi, nell’ordine di diverse tonnellate. I test della FIA sono diventati durissimi, ovviamente per salvaguardare la vita dei piloti. In Formula 1, spesso, le analisi di un componente durano pochi giorni, raramente qualche settimana. Per elementi quali telaio o cambio si parla di un paio di mesi massimo. Per questo, quando ci troviamo di fronte a un problema complesso, dobbiamo sforzarci di semplificarlo il più possibile, così da risolverlo nei tempi a disposizione senza intaccare l’accuratezza dei risultati. L’ambiente è stressante perché le scadenze sono quasi impossibili; gli ingegneri ragionano e agiscono sotto pressione continua e il rendimento deve essere sempre altissimo. Mi ritengo comunque molto fortunato perché posso progettare un elemento in due giorni, spedirlo in produzione la sera, trovarlo sulla scrivania la mattina dopo, testarlo e mandarlo in pista il giorno stesso. Il meglio che possa capitare. Le risposte sono rapide e, se si fanno errori, s’impara immediatamente. La soddisfazione maggiore è poi vedere quel pezzo sulla macchina al gran premio». Nei nove anni spesi in Formula 1, l’ingegnere cagliaritano ha portato avanti molte idee di cui va orgoglioso: «La maggior parte è ancora in uso per cui non ne posso parlare. Tuttavia ricordo con grande piacere l’impegno sugli scarichi laterali della Lotus/Renault 2011 sotto la guida del bravo e coraggioso James Allison, ora direttore tecnico della Ferrari. Fu molto impegnativo. Io mi occupai della parte finale del tubo di scarico che doveva deformarsi in un modo specifico durante il crash test laterale. Alla fine passammo tutte le prove ma purtroppo il concetto non funzionò a livello aerodinamico». Carriera in crescendo, basata su competenze elevatissime, acquisite grazie a una solida preparazione acquisita in Italia e soprattutto Oltremanica. «Siamo convinti che il nostro Paese produca i migliori ingegneri al mondo. Personalmente posso dire che se non fosse stato per il mio dottorato in Inghilterra non avrei mai lavorato in F1, perché solo grazie a questa esperienza ho imparato a usare ciò che occorre per la progettazione meccanica. Ho anche insegnato in Inghilterra durante il dottorato quindi posso dire di conoscere l’università locale. Ebbene, quella italiana prepara bene per un dottorato e per la ricerca, ma non per la realtà del lavoro; contrariamente a quella inglese che insegna molte meno cose, ma ti dà gli strumenti che poi andrai a usare nel concreto. Consiglio a chi vuole percorrere la mia strada di prendere una qualifica nel Regno Unito, magari dopo un triennio in Italia. Poi inizierei in una serie minore o in una delle tante compagnie che fanno motorsport e lavorano nell’indotto. È fondamentale avere le idee chiare e concentrarsi su quello. Bisogna inoltre essere accurati nello stendere un curriculum e una lettera di presentazione adatti al ruolo e alla squadra specifica. Per i più bravi la McLaren fa un “graduate scheme” per neolaureati, ma la selezione è davvero dura». Il team britannico, tra i più attesi in assoluto, ha svelato le vetture alla fine del mese nel quartier generale di Woking, contea inglese del Surrey. La nuova stagione inizierà il 15 marzo col gran Premio d’Australia nel circuito di Melbourne; al volante ci saranno due fuoriclasse: Fernando Alonso e Jenson Button. Lo spagnolo, ex ferrarista, è tra i piloti di maggior talento, non solo in pista: «Bisogna sfatare un mito, il pilota ha qualche influenza sul set up ma nessuna sul progetto. I rapporti si limitano a una conversazione nel caso ci sia qualche comportamento anomalo; ciò non toglie che alcuni di loro siano davvero bravi a individuare problemi specifici. Mi ricordo che ai tempi della Renault F1, Alonso si lamentò in radio di una vibrazione a basse frequenze, a 5Hz. Guardammo i dati e trovammo un picco proprio a 5Hz».

* Sardinia Post

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