L’ESPERIENZA IN SUDAN DI SEBASTIANA ETZO, PAESE SCONVOLTO DALLA GUERRA: IN AFRICA ANCHE SUCCESSI, SPESSO IGNORATI


di Giovanni Runchina *

Sebastiana Etzo, 41 anni, di Sorgono, è in Sud Sudan dal mese di aprile con l’incarico di consulente per un’organizzazione non governativa britannica, Marie Stopes International, che si occupa di salute riproduttiva e pianificazione familiare. Appassionata d’Africa sin dai tempi dell’università, ha studiato Lingue e Civiltà orientali, sezione Africa Sub-Sahariana, all’Orientale di Napoli, l’ha percorsa in lungo e in largo – soprattutto le parti sud e orientale – sia per studio sia per lavoro. «Dopo la laurea sono andata a Johannesburg dove ho frequentato un corso in sociologia all’Università del Witwatersrand. Poi sono tornata a Napoli per un dottorato in Africanistica di quattro anni. Mi sono occupata della riforma del governo locale nel Sudafrica post-partheid con l’emergere di nuovi movimenti sociali urbani; le ricerche successive sono state perlopiù incentrate sulle questioni urbane, sui movimenti sociali e sui diritti socio-economici. Nel 2006 sono partita a Londra come visiting fellow all’Institute of Commonwealth Studies; qui per otto mesi ho studiato i diritti sociali ed economici e i processi di democratizzazione. Nel frattempo ho iniziato a lavorare per una charity che si occupa di Africa e, da allora, ho progressivamente abbandonato la ricerca e fatto diverse esperienze nel no-profit». Nei suoi lunghi soggiorni ha toccato con mano le drammatiche contraddizioni di un Continente che, pur ricco di risorse naturali, non riesce a garantire i diritti di cittadinanza più elementari a gran parte della sua popolazione. Si potrebbero definire Lost Citizens, cittadini perduti, prendendo in prestito il titolo del cortometraggio che ha realizzato di recente assieme alla sorella Carla, giornalista professionista, e al cameraman Vincenzo Rodi per illustrare un altro dramma ben diverso ma non per questo meno duro: quello dei senza lavoro del Sulcis, la provincia più povera d’Italia. «Forniamo principalmente servizi di pianificazione familiare e cure pre e post-natali attraverso due centri e cinque unità mobili che coprono tre dei dieci stati del Sud Sudan. La salute riproduttiva e la pianificazione familiare – chiarisce Sebastiana – sono parte integrante del più ampio progetto che intende diminuire la mortalità materna e infantile. Il Sud Sudan è uno dei paesi con il più alto tasso di mortalità durante il parto, soprattutto tra le donne che si sposano molto giovani e hanno i primi figli a 13-14 anni». A complicare ulteriormente le cose, quasi ce ne fosse il bisogno, la ripresa nel dicembre scorso del conflitto tra le forze governative, guidate dal Presidente Salva Kiir, e i cosiddetti ribelli, vicini all’ex vice-Presidente Riek Machar. «Il Paese sta vivendo una duplice crisi, politica e umanitaria. La guerra, tutta politica e volta al controllo degli immensi giacimenti di petrolio e d’oro, ha assunto toni etnici anche se parlare semplicemente di scontro tra Dinka e Nuer è superficiale». All’atto pratico ciò ha comportato non solo migliaia di morti ma anche un numero indefinito di sfollati che cercano riparo nei campi gestiti dalle Nazioni Unite. «Il sovrappopolamento di queste aree sta innescando il pericolo di epidemie. Molti stati del nord – dove si combatte e dove c’è il petrolio – sono isolati e la comunità internazionale ha lanciato l’allarme carestia. Infatti, nonostante i contendenti abbiano firmato un accordo di pace e si siano impegnati a cessare le ostilità, le armi non sono state deposte e la fornitura degli aiuti umanitari è bloccata. Inoltre, l’inizio della stagione delle piogge complica tutto perché il Paese è privo delle più elementari infrastrutture. Nella stessa capitale, Juba, dopo una notte di pioggia ci si risveglia inondati. Proprio Juba è il focolaio di un’epidemia di colera che si sta diffondendo rapidamente nonostante gli sforzi di molte organizzazioni. Per capirci, in Sud Sudan non c’è elettricità, né acqua corrente e la larga maggioranza della popolazione vive in abitazioni fatte di fango e paglia. Solo pochi, perlopiù stranieri, hanno il generatore e si possono permettere di purificare l’acqua del fiume. Insomma, oltre trent’anni di guerra per l’indipendenza hanno lasciato il paese allo stremo. In una situazione come questa le donne e i bambini sono particolarmente vulnerabili. Ovviamente questa drammatizzazione ci impone continuamente di aggiornare i nostri piani. Allo stato attuale, ai sud sudanesi è negato qualsiasi diritto di cittadinanza». Apocalisse che si consuma nella quasi totale indifferenza mediatica. «Purtroppo i mezzi d’informazione italiani sono sempre stati poco interessati all’Africa, vista come una realtà lontana che non ha niente a che vedere con noi. Ma non è così. Tutto ciò che succede qui, si ripercuote sull’Europa. Si pensi ai flussi migratori, all’interesse per le risorse naturali e al loro controllo da parte di aziende europee o stati occidentali. Ma non ci sono solo i conflitti; molte nazioni sono cresciute enormemente sotto il profilo economico e tante capitali sono centri culturali vivacissimi, di tendenza. Vorrei che si facesse uno sforzo maggiore per capire l’Africa nella sua diversità e per parlare di più dei suoi successi».

* Sardinia Post

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