L’OSPEDALE SAN RAFFAELE DI OLBIA PER UNA NUOVA “SERVITU’ SANITARIA”? UNA PARTITA DA GIOCARE CON LA MASSIMA ATTENZIONE

Il presidente del Consiglio Renzi, il presidente della Regione Sardegna Pigliaru e Lucio Rispo (investment project manager della Qatar Foundation Endowment), posano dopo la firma del protocollo per il completamento e per il rilancio dell’ospedale San Raffaele di Olbia (che in realtà da oggi si chiamerà Bambin Gesù)

di Vito Biolchini

È l’ora delle fanfare e del trionfalismo, del miliardo di euro (in dieci anni) e dei mille posti di lavoro: e tutto a pochi giorni dalle elezioni europee. Ma una domanda non può essere elusa: a chi serve il San Raffaele di Olbia? Alla Sardegna o all’Italia? Il prossimo mese sarà decisivo per capire se il nuovo ospedale gallurese sarà una grande occasione per la sanità sarda o se la farà saltare per aria, azzerando l’ospedale pubblico di Olbia, fagocitando nella sua orbita quello di Nuoro e depotenziando perfino la sanità sassarese, oltre che spazzare via una manciata di piccoli ospedali. I ritmi imposti alla trattativa sono folli: in 34 giorni la Regione dovrà fare ciò che non è riuscita a fare in cinque anni e passa: cioè dotarsi di una rete ospedaliera, la quale dovrà essere alleggerita non solo dei posti letto in eccesso già certificati, ma che dovrà essere privata anche di quelli ora destinati al San Raffaele. Che ancora non si sa ufficialmente quanti saranno. Il pre-accordo sottoscritto tra la Regione Sardegna, la Qatar Foundation Endowment e l’Ospedale Bambin Gesù non dice niente a riguardo, se non che sarà necessario “un percorso armonico con il processo di riorganizzazione e razionalizzazione della rete ospedaliera della Sardegna”, che serve “una proposta soddisfacente per tutto il sistema regionale” e che il Governo “dovrà impegnarsi a facilitare l’inserimento armonico del nuovo ospedale nella nostra rete”. Parole evidentemente vaghe. Ma se il presidente del Consiglio Matteo Renzi dice che alla fine il nuovo ospedale olbiese avrà 1000 dipendenti, vuol dire che si stanno mettendo in conto la bellezza di almeno 250 posti letto. A chi verranno tolti? L’ultima versione del Patto per la Salute del governo Renzi parla chiaro: la Sardegna deve tagliare 281 posti letto e cioè potrebbe vedersi chiudere otto ospedali che hanno meno di 60 posti letto: il Marino di Alghero (43 posti), il Merlo di La Maddalena (30), il Zonchello di Nuoro (44), il San Camillo di Sorgono (36), il San Giuseppe di Isili (34), il Cto di Iglesias (36), il San Marcellino di Muravera (36), il Microcitemico di Cagliari (22). Ma il Patto non tiene evidentemente conto della novità San Raffaele, dunque la chiusura di otto piccoli ospedali non basta a compensare l’apertura della nuova gigantesca struttura. Quindi è semplice ipotizzare che almeno 150-200 posti letto dovranno essere tagliati agli ospedali dei grandi centri, Cagliari e Sassari in primis. L’effetto combinato del Patto per la Salute e dell’accordo sul San Raffaele potrebbe avere dunque il devastante risultato di far chiudere diverse piccole strutture e di depotenziare i grandi ospedali urbani. A meno che il Governo non voglia realmente “facilitare l’inserimento armonico del nuovo ospedale nella nostra rete”, cioè rivedere i parametri per l’isola, evitando un tracollo di colossali proporzioni. Senza dimenticare poi la questione di costi: se il San Raffaele dovesse essere accreditato per 250 posti letto potrebbe pesare sulle casse della Regione (della Regione, non dello Stato, perché i sardi la sanità se la pagano di tasca loro) per 70 milioni di euro all’anno. Soldi dati ai privati, evidentemente. Il loro investimento annunciato di un miliardo di euro in dieci anni è da considerarsi al netto di quanto la Regione dovrà versare per il convenzionamento della struttura? Perché se così non fosse l’investimento privato non sarebbe di un miliardo ma di 300 milioni in dieci anni… Il quadro dunque è preoccupante: se mal gestita questa partita rischia di far saltare in aria il sistema sanitario sardo, gettando le basi perché nel medio periodo le prestazioni più importanti vengano erogate su due poli (Cagliari e Olbia) e non più sugli attuali tre (Cagliari, Nuoro e Sassari, anche se nel capoluogo turritano la presenza dell’Università dovrebbe quantomeno tenere alto il livello della quantità di prestazioni). Di sicuro con l’apertura del San Raffaele l’ospedale Giovanni Paolo II di Olbia è spacciato e anche il polo nuorese rischia di essere spazzato via. E per fortuna che alla guida della Regione c’è un sassarese e a quella dell’assessorato alla sanità un nuorese, altrimenti avrebbero accusato la massoneria cagliaritana di avere tramato contro il resto dell’isola… Un aspetto comunque è evidente: nel testo della pre-intesa si capisce una sola cosa, l’ospedale ad Olbia si deve aprire, punto e basta. Con quali conseguenze per la sanità sarda è quasi secondario. Anzi, adesso il nostro sistema rischia di essere ridisegnato proprio sulla necessità di tenere fede a tutti i costi all’accordo con il Qatar. Il San Raffaele rischia quindi di essere tutto tranne che una struttura “strettamente integrata con l’offerta ospedaliera pubblica”, come si legge nel Piano Sanitario varato dal presidente Soru e dall’assessore Dirindin nel 2007 e che prevedeva per il nuovo ospedale tra i 150 e i 180 posti letto, un’indicazione quest’ultima però non vincolante perché la parte relativa alla rete ospedaliera fu affossata da un ricorso delle cliniche private e nei cinque anni della giunta Cappellacci il centrodestra non riuscì a colmare questo vuoto. In ogni caso, i tempi sono strettissimi: entro il 24 giugno bisogna dare una risposta definitiva. L’assessore regionale alla Sanità Luigi Arru è preoccupato ed ha ragione. Subito ha messo in campo due squadre di tecnici che dovranno capire come riorganizzare la rete ospedaliera e soprattutto che specialità destinare al San Raffaele. Scelte delicatissime. Nella pre-intesa si parla della “realizzazione di un polo di eccellenza nel campo della riabilitazione funzionale”, si parla di una struttura dedicata ai bambini e alla medicina sportiva e ad un centro di ricerca sul diabete. Ma è ancora tutto, troppo vago. Ripeto, di certo c’è solo che il San Raffaele deve aprire a tutti i costi. Il governo così ha deciso e non stiamo certo parlando solo di Renzi ma di Monti prima (che perfino andò in Qatar portandosi dietro Cappellacci) e di Letta poi. La Sardegna ha un mese per capire che strada prendere: può salvaguardare la sanità pubblica e porre condizioni strettissime al San Raffaele in grado di impedire alla nuova struttura di determinare l’assetto complessivo del nuovo sistema sanitario, oppure può arrendersi davanti alla forza politica del governo ed economica del Qatar e accettare che la sanità in Sardegna sia decisa da un intervento privato di colossali dimensioni. In tal caso la nostra isola sperimenterebbe una nuova forma di servitù: dopo quella militare ed energetica, sarebbe la volta di una servitù sanitaria. L’errore è stato fatto anni fa, quando si consentì di costruire una gigantesca struttura ospedaliera senza aver deciso prima esattamente cosa metterci dentro e con quali soldi. Ora purtroppo la frittata è fatta, e quel casermone in molti si sentono in dovere di riempirlo a tutti i costi. È chiaro che se poi il centrodestra di Cappellacci non avesse lasciato alla deriva la sanità negli ultimi cinque anni non saremmo a questo punto. Certo è che Pigliaru ha giocato questa partita col governo a fari spenti, e adesso l’opinione pubblica sarda si trova praticamente davanti ad un fatto compiuto, mentre la sanità sarda teme che il nuovo ospedale di Olbia sfasci i fragili equilibri su cui il sistema da anni si regge. Di sicuro l’assessore Arru non deve essere contento ed io non vorrei essere nei suoi panni. In mezzo a tanti dubbi, una certezza. Il presidente Pigliaru è stato chiaro: “Avendo incontrato sia Qatar holding che Qatar Foundation è stato detto subito che dovevano essere iniziative separate, sono ambiti di investimento completamente diversi”. Meno male.

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