LE CROCI DEI SOLDATI SARDI SUL MONTE DEL SACRIFICIO: LE 62 TOMBE DEL CIMITERO SUL MONTE ZEBIO NELL'ALTOPIANO DI ASIAGO

i partecipanti alla manifestazione del 20 luglio promossa dall'Associazione "Un Ponte fra Sardegna e Veneto" di Noale (VE)


di Ilaria Muggianu Scano e Mario Fadda *

«Sull’Altopiano di Asiago si salva l’Italia e l’onore dell’esercito, va mantenuto a qualsiasi costo» all’impeto del generale Cadorna, inneggiante la resistenza ad oltranza, fa seguito il pianto sommesso, fiero e implacabile: «Peppino, in cale rupe, orrenda gosas s’eternu sonnu in s’eternale avellu privu de caldas lagrimas e rosas?» (Peppino, in quale orrendo dirupo trascorri dolorosamente il tuo sonno eterno nella tomba senza il conforto di calde lacrime e di fiori?). Peppino Baldino, morto nell’Altopiano di Asiago, nei pressi di Monte Zebio, ricordato tra le lacrime poetiche del cognato, soldato, Gavino Ruggiu, è uno dei novecento giovani, giovanissimi fanti della Brigata Sassari incaricata di arginare l’offensiva austriaca durante la Grande Guerra. Il pianto del poeta bosano trova requie soltanto ottantotto anni dopo quando, in seguito al ritrovamento, nel 1997, della fossa comune in cui giacevano le salme dei soldati sardi, si decide di dedicare ai valorosi combattenti un cimitero a Casara Zebio, sull’altopiano di Asiago, inaugurato dall’allora presidente della Regione Mauro Pili e trentatré sindaci isolani, dieci anni orsono.

I caduti individuati con esattezza sono solo sessantadue, tanti quante le croci erette nel campo santo in ricordo del sacrificio dei novecento sardi. Tutto parla di Sardegna tra il verde e i dirupi a 1646 metri di altitudine, parlano di Sardegna quei muretti a secco che recintano il cimitero in un abbraccio virtuale alla “Sassari” immolata nel maggio 1916 al fine di neutralizzare l’offensiva nemica. La forza asburgica consta di quattrocentomila uomini e duemila cannoni e gli italiani non possono sottrarsi alla morsa della Strafe-Expedition ordita come estremo supplizio verso chi ha tradito la Triplice Alleanza Italia-Austria-Germania. Il Comando assegna il compito di arginare l’avanzata austriaca alla Brigata Sassari, rinvigorita dall’arruolamento dei ventenni sardi, classe 1896, provenienti da tutta la Sardegna, destinati alla carneficina. È in questi giorni che germina un ideale di “sardità”, una forte coscienza politica, sebbene in nuce, culla del futuro Partito Sardo d’Azione.

«La guerra la fa il contadino»: l’espressione popolare trova concreto riscontro nella realtà numerica della Brigata, composta nel suo 95% da pastori e contadini. Questa espressione accoglie i prodromi della visione di Emilio Lussu, il più amato tra gli ufficiali per il quale la Brigata Sassari è «la rappresentanza armata della Sardegna».

«Quando io vidi quei valorosi della Brigata Sassari, sentii l’impulso d’inginocchiarmi dinanzi a loro, perché vidi in essi riassunte tutte le virtù dell’Esercito. L’Italia ha contratto un grande debito verso la Sardegna e questo debito lo pagherà». Queste le parole pronunciate davanti all’alto consesso dei rappresentanti di tutt’Italia, dall’onorevole Orlando, allora capo del governo. Ed a queste belle parole fanno seguito quelle amare della direzione (Pantaleo Ledda e Giovanni Russino) riportate nello stesso articolo di “Rivista Sarda”: «Le popolazioni sarde hanno aspettato per tanti anni l’azione benefica del Governo: i provvedimenti non sono mai venuti; le risposte ai molti mali non si sono mai fatte, e invece promesse vane, leggi inutili o dannose, abbandono! Eccellenza, voi che avete in mano il potere, non dovete sprofondare nell’oblio ciò che ieri avete detto con tanta solennità, commovendo ed esaltando gli animi. L’azione da svolgere vi è conosciuta, il dovere è grave!».

Queste parole sdegnate, rivolte 95 anni fa al coevo capo del governo, sembrano cronaca recente. Debito mai saldato quello da Orlando, debito dilatato dagli interessi di uno spirito di popolo corroborato dalla progressiva coscienza e memoria del sacrificio. «Ecco un giovane italiano, ecco un adolescente Alberto Riva della casata di Villa Santa, un italiano di Sardegna, diciottenne. Suo padre era caduto nella battaglia il 7 giugno 1916. Quattro dei suoi consanguinei erano caduti in battaglia. Al suo fianco un suo fratello era stato ferito. E non gli bastava. Stirpe più che ferrea, silenziosa sublimità Sarda, eroismo dalle labbra serrate, sacrificio senza parola. L’Isola non s’è rinsaldata al Continente?» è Gabriele D’Annunzio a consegnare con precisione fotografica il lineamento delle genti sarde, per le quali valore ed eroismo sono straordinarietà quotidiana.

* Unione Sarda

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2 commenti

  1. Come ben sottolineano gli autori dell’articolo e come giustamente ha fatto a Monte Zebio sabato scorso l’On. Mauro Pili, quel grandissimo debito con la Sardegna non è stato ancora efficacemente saldato, anzi, si è andato via via ingigantendo.
    Dal libro di Omar Onnis, "Tutto ciò che sai sulla Sardegna è falso": <<L’esito paradossale di questa operazione, di suo cinica e razzista quant’altre mai, fu che i sardi al fronte si sacrificarono sì più degli altri (13 su 100 non tornarono a casa, contro una media italiana di 10 su 100) ma, anziché maturare per questo il senso della propria appartenenza all’Italia, si convinsero invece che si stavano sacrificando per la Sardegna. Non per una Sardegna piegata e subalterna, ma per una Sardegna più libera e più forte. Così, mentre i bollettini di guerra e la propaganda governativa esaltavano le virtù dei sardi "eroici combattenti" e insignivano i due reggimenti isolani di medaglie d’oro e menzioni speciali, quelli cominciavano a pensare se stessi diversamente e proiettavano la propria immaginazione in un dopo, in un futuro postbellico, che sarebbe dovuto esser diverso e migliore per sé e per la propria gente. Poiché quella guerra fu la guerra della Sardegna al fronte. Su circa 800.000 abitanti ne vennero richiamati sotto le armi 100.000. Un ottavo della popolazione. Della popolazione, non degli uomini abili! Un uomo su quattro, compresi vecchi e bambini, partì in guerra, lasciando la propria occupazione, famiglia, villaggio, sottraendo alla comunità braccia, forze e presenza. L’assenza prolungata e ancor di più il mancato ritorno di un soldato spesso corrispondevano alla miseria di un’intera famiglia>>. Questo fa comprendere pienamente la drammaticità degli effetti di quella guerra, non solo all’interno di ogni famiglia e di ogni paese, ma altresì i suoi gravi riverberi sull’economia della nostra Isola … qualcuno se lo ricordi e cerchi di riparare, dando il giusto ristoro a questo immane Debito nei confronti della Sardegna.

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