I "MAMUTHONES" A BOLOGNA. SUCCESSO PER LA MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DAL CIRCOLO "SARDEGNA"


di Antonello de Candia

“Se vuole io posso considerare Bologna una città sarda”, ricordava scherzando il sindaco Imbeni, negli anni

della sua amministrazione. Non per niente andò ad inaugurare la nuova sede del Circolo “Sardegna” di Bologna al Parco Nord. Lo diceva sorridendo, ma quella sua affermazione conteneva una punta di verità. I sardi bazzicano Bologna già dal Medioevo e da allora non l’hanno quasi più abbandonata. Molti sono stati i sardi illustri che hanno contribuito a fare importante questa città, nelle professioni liberali, ma anche nella cultura, nelle arti, nei mestieri artigiani e nel commercio. Una delle osterie oggi più frequentate di Bologna, “Il Montesino”, nella popolosa via del Pratello, è stata messa su da un sardo, che ai suoi clienti faceva assaggiare del profumato pane guttiau scaldato al momento, accompagnato da formaggio pecorino prodotto da alcuni allevamenti sardi che occupavano (e occupano) alcuni dei terreni collinari intorno alla città; e vini, che manco a dirlo, si chiamavano “vermentino”, “cannonau”, vernaccia”, seguiti da liquori al mirto e “villacidro”. Perciò, niente di strano se anche i Mamuthones sono sbarcati in questa città. Ed è stata davvero una bella giornata quella che li ha accolti in piazza Santo Stefano insieme a “sos issocadores” e a un nutrito gruppo di sardi decisi a gustarsi l’evento. Il suono dei loro campanacci e le maschere di legno che coprivano i volti dei partecipanti al corteo hanno animato e incuriosito i bolognesi, accorsi a vedere questi strani personaggi che con le loro “soghe” e il loro passo rituale hanno ballato la loro antica danza di benvenuto al ritorno della bella stagione. “È stata un’iniziativa di quelle da ricordare come riuscite, organizzata dal circolo dei nostri emigrati in questa città. Una manifestazione a cui abbiamo lavorato con molto piacere e senza risparmiarci”, sottolinea Giulio Cesare Pittalis, attuale commissario del Circolo. “Organizzare un evento del genere vuol dire organizzare l’accoglienza, la comunicazione e i contatti con le autorità della città per ottenere i permessi e tutto il resto. Ma è stato anche un bel modo per far conoscere la cultura dei sardi e quello di cui sono portatori – dice ancora Pittalis –. Perché ogni tanto, male di certo non fa”. Importante il luogo dove si è svolta la rappresentazione, piazza Santo Stefano, che molto più di piazza Maggiore è per i bolognesi un simbolo della loro cultura millenaria. La piazza è infatti lo scenario ancora intatto che accoglie l’antico complesso monastico delle “sette chiese”, forse il monumento più antico della Bologna cristiana. La sua edificazione è cominciata nel V secolo dopo Cristo e una delle sue cripte ha ospitato per molti secoli le spoglie di san Petronio, patrono della città. La piazza oggi ospita manifestazioni culturali di grande respiro artistico e viene concessa con il contagocce a chi la richiede. A regolarne il cartellone ci pensano direttamente i padri della congregazione dei benedettini olivetani, una delle tante famiglie che formano l’ordine monastico più antico della cristianità. Gli olivetani sono infatti i curatori di questo complesso architettonico da tutti considerato fra i più importanti in Europa. Un luogo, perciò, da trattare con tutto il dovuto rispetto. Ma bisogna anche dire che il circolo Sardegna di Bologna, che ha ospitato i mamuthones insieme al circolo di Fiorano Modenese, ha potuto contare sull’aiuto insperato di un monaco, padre Ildefonso, di origini sarde – da secolare il suo nome è infatti Mario Chessa di Ittiri – approdato in questa città negli anni Settanta da studente universitario e da quel momento più andato via. Uno che alla Sardegna ci tiene e già in un’altra occasione ha fatto conoscere alla città i canti della nostra Missa majore. Ma l’attrazione, come dicevamo, sono stati i “mamuthones”: la gente che si è assiepata nella piazza, gli sguardi stupiti dei bambini che seguivano quegli uomini intabarrati di pelli e di maschere che saltavano ritmicamente al suono dei campanacci e che ogni tanto si facevano catturare dai lazzi degli “issoccadores”. Per un giorno, quella piazza è diventata un palcoscenico per un rito fra i più antichi della cultura mediterranea che i sardi sapientemente conservandolo hanno saputo valorizzare mantenendolo intatto per millenni. Perché, bisogna ricordare ad onor del vero, i mamuthones, come “sos merdules” e tutto il complesso di altri riti carnevaleschi che ancora oggi popolano le regioni interne della nostra isola, non sono un’invenzione sarda, ma vagano e ogni tanto rispuntano in luoghi impensabili del Mediterraneo, arrivando a lambire con la loro rievocazione di riti di fine inverno le popolazioni delle Alpi, la Romania, l’Ungheria con i Telfs del Tirolo, i Maramures romeni, i Busò di Mohacs in Ungheria. Insomma, proprio tutte quelle popolazioni che, partendo dal Caucaso, nei millenni precedenti le grandi migrazioni ariane, hanno popolato il mondo mediterraneo e le terre confinanti. Perciò, è giusto ricordarlo, quello che i Mamuthones hanno fatto, in questa calda giornata di inizio primavera bolognese, è stata una lezione di storia delle civiltà europee e una lezione di storia delle migrazioni. Un modo non formale per parlare di viaggio dei popoli e di incontri fra diversamente uguali. “Speriamo che questo possa continuare e che i nostri circoli siano sempre di più luoghi in cui non solo si ricorda, ma si parla e si riflette su quello che si è: portatori di un modello di civiltà in grado di rispettare chiunque, uomo o donna, ne faccia parte. E tutto questo senza retorica, ha voluto sottolineare ancora Giulio Pittalis. Proprio come hanno fatto a Bologna i Mamuthones.

* dal Messaggero Sardo

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Un commento

  1. Io c’ero , mi sono presa cura di tutto il gruppo cercando di farli sentire come a casa loro, e’ stata una giornata indimenticabile per tutti coloro che hanno preso parte a questa meravigliosa manifestazione.
    Nata e cresciuta in Sardegna non avevo mai visto uno spettacolo dei mamuthones , con i loro costumi e i rumorosi campanacci hanno dato alla citta’ di Bologna un tocco di magia ed e’ per questo non ho voluto perdere
    nessun istante della loro esibizione .

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