Sabato 24 al "Logudoro" di Pavia, convegno in memoria di Antonio Pigliaru, filosofo sardo

ci riferisce Paolo Pulina

 

"LA RICERCA DI ANTONIO PIGLIARU (1922-1969)

SULLA VENDETTA BARBARICINA"

Convegno in memoria

del grande filosofo sardo a 40 anni dalla morte 

che avrà luogo

SABATO 24 OTTOBRE 2009,

con inizio alle ore 16,30,

presso il Salone del

Circolo culturale sardo "Logudoro",

Via Santo Spirito 4/a, 27100 Pavia

Tel. 0382/470209 – fax 0382/460759

circolosardopv@libero.it

circolosardopv@virgilio.it

PROGRAMMA

Apertura dei  lavori

Gesuino Piga, presidente del Circolo "Logudoro"

Saluti delle autorità e dei familiari del filosofo

Coordinamento dei lavori

Amedeo Giovanni Conte,

Accademia Nazionale dei Lincei

Relazioni

Benedetto Meloni, docente della Facoltà di Scienze Politiche

dell’Università di Cagliari e autore di una recente ricerca storico-critica

sull’opera di Pigliaru relativa al "codice della vendetta barbaricina"

 

Salvatore Tola, pubblicista, autore del volume  "Gli anni di ‘Ichnusa’:

la rivista di Antonio Pigliaru nella Sardegna della rinascita"

 

Dibattito

 

Intervento

Paolo Pulina, vicepresidente vicario del "Logudoro"

e responsabile Comunicazione

della Federazione delle Associazioni Sarde in Italia (FASI)

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Antonio Pigliaru ( 1922-1969)

Il 27 marzo del 1969 moriva a Sassari, appena quarantasettenne (era nato a Orune il 17 agosto del 1922), Antonio Pigliaru, certamente l’intellettuale più originale e stimolante della cultura sarda di questo ultimo mezzo secolo. Professore nella Facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Sassari (insegnava Diritto dello Stato) è stato autore di numerose opere. La più conosciuta è quel trattato su "La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico" (Milano 1959) che può essere considerato una pietra miliare per la conoscenza e l’interpretazione della società pastorale sarda. E che troverà maggior compimento nel "Banditismo in Sardegna" pubblicato postumo nel 1970. Testi che, se meglio letti e meditati, aiuterebbero ancor oggi a capire i nodi storici di questa piaga della società isolana.

Il segnale più stimolante della sua lezione d’intellettuale rimane comunque il suo apporto alla rivista   "Ichnusa"  dal 1949 al  1964, con i suoi lucidi editoriali in cui la difficoltà della scrittura viene superata dalla chiarezza delle idee. Il primo numero di quella rivista tenacemente voluta dal  ventisettenne Pigliaru, uscì il 27 novembre del 1949, con la direzione di Salvatore Piras. La collaborazione di Pigliaru vi sarà sempre intensissima, n
on soltanto come editorialista, ma soprattutto come organizzatore e stimolatore di collaborazioni. I cinquanta e più numeri di quella rivista  (che ha ormai, per l’isola, un valore storico-culturale di prim’ordine) testimoniano l’intensità e il valore del suo impegno intellettuale e politico. E l’impegno e la preoccupazione per quella "sua" rivista  rimasero sempre in lui fortissimi, anche quando le sofferenze si fecero più intense e pesanti, fino a quella mattina del 27 marzo del 1969 in cui venne a mancare.

Antonio Pigliaru non era però soltanto un uomo da tavolino. Era un organizzatore di cultura e superava in questo suo attivismo le difficoltà d’una salute cagionevole.

( "L’Unione Sarda", 31 marzo 1999)

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Un commento

  1. Ahimè questa volta scrivo mossa da un sentimento di indignazione e di profonda comprensione nei confronti di coloro che escono da quest’isola piena di contraddizioni. Non è possibile che nel 2009 la mia generazione sgomiti in maniera poco onesta per ottenere dei sussidi spettanti di diritto a chi davvero ne ha bisogno, per uscire dal proprio paese e provare a creare un futuro, non migliore, ma almeno una speranza di ‘campare’ con i propri mezzi. Ho sentito qualcuno che mi ha detto: “c’è troppo assistenzialismo…”. Ma dove?? Dico io, dove?? E’ possibile che un figlio di medico e infermiera professionale, fra l’altro residente nella città in cui studia, riesca a prendere la borsa di studio? E’ possibile che un altro figlio di una delle famglie più benestanti del paese riesca a prendere la borsa di studio? E quello che davvero ne ha bisogno, magari di una famiglia monoreddito, rimanga ‘idoneo non beneficiario’? Non ci sono controlli, è un ‘Diritto allo studio’ ipocrita. Ma mi domando: questa gente che ha tipo tre macchine, ha un po’ di coscienza? Come fa a fare anche solo la domanda? Non sono una che si lamenta facilmente, però quasta volta la delusione è stata così forte che il pensiero di uscire e andare a lavorare balza alla mente, anche perché nalla Sardegna centrale siamo proprio messi male, e parlo proprio a livello di mentalità, di cultura. Diciamo che ognuno pensa al suo e poco al bene dell’intera isola e della crescita comune. Ognuno pensa a scavalcare l’altro. C’è poca solidarietà tra di noi. Mi spiace dire questo però i fatti mi stanno spingendo a pensarlo. Scusatemi per lo sfogo che poco c’entra col blog.

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